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L'atto d'obbligo è elemento accidentale del titolo edilizio che lo ingloba

Alessandra Scaffidi

Con sentenza del 19 gennaio 2021, n. 579, la II Sezione del Consiglio di Stato si è pronunciata in materia di urbanistica relativamente alla natura e alla finalità degli atti unilaterali d’obbligo richiamati dall’ art. 11 della Legge n. 241/90. 

 La vicenda affrontata riguarda il trasferimento della proprietà di suolo sulla base di un atto unilaterale d’obbligo. Nello specifico, il ricorrente agiva contro una diffida della Pubblica Amministrazione locale che gli ingiungeva di cedere una particella di terreno oggetto di un atto unilaterale sottoscritto già nel 1984 nell’ambito di una complessa operazione di edilizia convenzionata.  
Nello specifico, il ricorrente lamentava un’errata applicazione delle regole sottese all’interpretazione degli atti d’obbligo “con riferimento ai quali, non sussistendo una «comune volontà delle parti», si sarebbe dovuto scrutinare l’intento del  soggetto firmatario, tenendo conto della portata complessiva dell’atto, giusta il rinvio alle regole sui contratti rinvenente dall’art. 1324 c.c.”.  

 Focalizzandosi sulla quaestio iuris principale avente ad oggetto l’esatta portata degli atti d’obbligo sottoscritti dal privato con la Pubblica Amministrazione, il Consiglio di Stato ha dichiarato infondato il ricorso. 

 Attraverso una disamina sostanziale prima e giuridico-normativa poi, i giudici di Palazzo Spada sono entrati nel merito della sintesi tra la capacità contrattuale della P.A. e i principi che connotano l’autonomia negoziale,  sintesi che si sviluppa ai fini del perseguimento dell’interesse pubblico. 

L’art. 11 della legge n. 241/90 disciplina  le diverse possibilità di accordo configurabili tra la Pubblica Amministrazione e i privati, positivizzando la capacità di concludere un contratto da parte della P.A. e individuando nel procedimento amministrativo “il luogo tipico nel quale potestà e autonomia negoziale possono trovare un giusto momento di sintesi, sì da asservire la seconda, in quanto modalità ritenuta più conveniente in relazione al singolo caso di specie, al perseguimento dell’interesse pubblico che connota la prima”.  

 In materia urbanistica, in cui si è sempre avvertita l’esigenza di ricondurre l’esercizio dello ius aedificandi a un contesto di buon governo del territorio, si è reso conveniente e appropriato nel tempo “contrattare” con il privato richiedendogli ulteriori sacrifici in termini di dare ovvero di facere in virtù del fine pubblico da realizzare e della possibilità concessa al privato di ottimizzare e trarre vantaggio dalla sua proprietà. Tutte le convenzioni urbanistiche riconosciute dall’ordinamento giuridico vengono ricondotte nell’alveo della disciplina prevista dall’art. 11 della legge n. 241/90, «ove non diversamente previsto» e «in quanto compatibili». 

 In materia urbanistica, gli atti d’obbligo essendo atti unilaterali vengono trattati in maniera differente nell’ambito del dibattito dottrinario e giurisprudenziale e ciò perchè, nonostante appartengano al più ampio genus degli atti negoziali e dispositivi con cui il privato assume obbligazioni, sono di norma orientati al rilascio del titolo edilizio, nel quale sono destinati a confluire. Lo Stesso Consiglio di Stato, pronunciandosi con diverse e precedenti pronunce (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 26 novembre 2013, n. 5628; Cass., Sez. Un., 11 luglio 1994, n. 6527; id. 20 aprile 2007, n. 9360), ha affermato che gli atti d’obbligo “non rivestono un’autonoma efficacia negoziale, ma incidono tramite la stessa sul provvedimento cui sono intimamente collegati, tanto da divenirne un elemento accidentale”, mutuando la terminologia di cui alla nota sistematica civilistica che distingue tra essentialia e accidentalia negotii”. 

 La normativa in materia urbanistica ha sempre contemplato la possibilità per la P.A. di concludere con il privato accordi aventi contenuto negoziale. Inoltre, già nell’ambito della c.d. legge Bucalossi, n. 10/1977, gli atti unilaterali erano considerati una valida alternativa alla convenzione urbanistica quale tipico strumento di “edilizia convenzionata”, intendendosi quella “finalizzata alla realizzazione di complessi residenziali per i quali l’Amministrazione intende farsi carico in via pattizia di calmierare i futuri prezzi di cessione o canoni di locazione delle unità immobiliari, sì da conciliare le esigenze di sviluppo urbanistico con quelle di politica sociale, avuto riguardo in particolare al soddisfacimento di quel bisogno primario dei cittadini che è la casa di abitazione”. 

 Ancorchè tali contenuti siano stati estesi ad altre tipologie di obblighi, il dibattito giurisprudenziale, amministrativo e costituzionale, con specifico riguardo agli atti d’obbligo, non è sempre stato omogeneo. Le più recenti pronunciano valorizzano l’individuazione convenzionale del contenuto di un provvedimento che la P.A. emette a conclusione del procedimento preordinato all’esercizio della funzione urbanistico-edilizia.  

In termini pratici, si è affermato che l’accordo stipulato tra un Comune e un privato costruttore, con cui quest’ultimo si obblighi ad un facere o a determinati adempimenti nei confronti dell’ente pubblico, al fine di ottenere il rilascio di un  titolo edilizio, non costituisce un contratto di diritto privato non avendo neppure “specifica autonomia e natura di fonte negoziale del regolamento dei contrapposti interessi delle parti stipulanti, configurandosi come atto intermedio del procedimento amministrativo volto al conseguimento del provvedimento finale, dal quale promanano poteri autoritativi della pubblica amministrazione. [..] Con la conseguenza che” specifica il Consiglio di Stato, “non potendosi qualificare l’atto d’obbligo come contratto a loro favore, ai sensi dell’art. 1411 c.c., i privati acquirenti dell’immobile edificato non hanno alcuna possibilità di rivendicare alcunché sulla base di esso, né, quindi, di agire per il suo adempimento, salva l’ipotesi che detto obbligo sia stato trasfuso in una disciplina negoziale al momento del trasferimento delle singole unità immobiliari - (Cass. civ., sez. II, 10 febbraio 2020, n. 3058; id., 23 febbraio 2012, n. 2742)”.   

 L’atto unilaterale d’obbligo è stato pertanto ricondotto ora all’accettazione della proposta pubblica, dato che persegue obiettivi urbanistici programmati, ora al contratto con obbligazioni a carico del solo proponente, ai sensi dell’art. 1333 c.c. ovvero, infine, a un mero atto negoziale, funzionale all’accordo oggetto del provvedimento finale, che si iscrive nel procedimento di rilascio del titolo abilitativo edilizio (cfr. Cons. Stato, n. 5628/2013, cit. sub § 10, ove si finisce per optare per tale ultima ricostruzione). 

 Viene statuito pertanto che gli atti d’obbligo non rivestendo un’autonoma efficacia negoziale, vanno a incidere tramite questa sul provvedimento amministrativo cui sono legati, così da rappresentarne un mero elemento accidentale.  

Difatti, con riferimento alla sentenza in commento, il Consiglio di Stato chiarisce che “Quale che sia l’opzione ermeneutica preferibile, di certo l’atto d’obbligo, seppure riconducibile al modulo negoziale, non si esaurisce nello stesso, in quanto «accessivo» rispetto al titolo edilizio che lo ingloba”. 

Argomento: edilizia
Sezione: Consiglio di Stato

(Cons. St., sez. II, 19 gennaio 2021, n. 579)

Stralcio a cura di Rossella Bartiromo

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"L’art. 11 della l. n. 241 del 1990 ha di fatto portato a sistema tutte le astratte possibilità di accordo cui la pubblica amministrazione può addivenire con i privati, in passato già previste in singole norme spesso oggetto di letture riduttive, preoccupate di valorizzare la preponderanza del profilo pubblicistico, in qualche modo percepito come messo in pericolo o depotenziato dal suo attingere a strumenti e ambiti privatistici. Con tale norma si è dunque definitivamente positivizzata la capacità negoziale delle amministrazioni pubbliche, individuando nel procedimento il “luogo” tipico nel quale potestà e autonomia negoziale possono trovare un giusto momento di sintesi, sì da asservire la seconda, in quanto modalità ritenuta più conveniente in relazione al singolo caso di specie, al perseguimento dell’interesse pubblico che connota la prima. A fronte, peraltro, di un iniziale disinteresse per l’istituto, sono state successivamente ricondotte sotto l’egida dell’art. 11 numerose fattispecie consensuali tipicamente in uso proprio nella materia urbanistica, dove l’immanente esigenza di ricondurre l’esercizio dello ius aedificandi ad una più vasta cornice di buon governo del territorio, rende talvolta conveniente per l’Amministrazione “scendere a patti”, richiedendo sforzi aggiuntivi al privato in termini di dare ovvero di facere, onde orientarne la maggiore libertà di movimento verso i propri obiettivi di programmazione, nel contempo ottimizzando le aspirazioni dello stesso a ricavare i maggiori vantaggi possibili dalla proprietà. Oggi pertanto tutta la vasta pletora di convenzioni urbanistiche comunque denominate vengono di regola ricondotte all’alveo di tale disciplina, caratterizzata dall’aggiungere al paradigma pubblico generale i canoni del diritto civile «ove non diversamente previsto» e «in quanto compatibili» (art. 11, comma 2, della l. n. 241/1990).  10. Gli atti d’obbligo, tuttavia, proprio in quanto “unilaterali” presentano peculiarità tali da aver meritato nel tempo un autonomo spazio nel dibattito dottrinario e giurisprudenziale. Essi, cioè, pur appartenendo al più ampio genus degli atti negoziali e dispositivi coi quali il privato assume obbligazioni, si caratterizzano per essere teleologicamente orientati al [continua ..]

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