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Responsabilità degli enti: società condannate solo se il reato è causato da deficit organizzativi
Andrea Castaldo
La Corte di Cassazione chiarisce, con tale pronuncia, come in tema di responsabilità degli enti, la stessa non si fondi su un’estensione della responsabilità individuale della persona fisica alla persona giuridica, ma sulla idonea e motivata dimostrazione di una difettosa organizzazione da parte della stessa, nonostante l’obbligo di prevenzione del rischio di reati, così come previsto dal D. lgs. 231 del 2001.
In primis, è utile evidenziare come nel caso di specie la posizione della persona fisica autrice del presunto reato si sia estinta per prescrizione, infatti la Corte afferma che: «la sentenza (per l’imputato persona fisica, ndr) deve essere annullata senza rinvio agli effetti penali per essere il reato estinto per prescrizione».
A tal uopo, è utile evidenziare come «in tema di responsabilità degli enti, in presenza di una declaratoria di prescrizione del reato presupposto, il giudice, ai sensi dell’art. 8, comma primo, lett. b) d.lgs. n. 231 del 2001, deve procedere all’accertamento autonomo della responsabilità amministrativa della persona giuridica nel cui interesse e nel cui vantaggio l’illecito fu commesso che, però, non può prescindere da una verifica, quantomeno incidentale, della sussistenza del fatto di reato».
Infatti, la responsabilità dell’ente sussiste – come previsto dal legislatore all’art. 8, cit. – anche quando il reato presupposto si estingue per una causa diversa dall’amnistia, in tal caso si è avuta la prescrizione.
Così facendo si addiviene ad una scissione tra le due posizioni – persona fisica e persona giuridica – realizzandosi un processo autonomo, avendosi una autonoma posizione giuridica; anche se in via incidentale, comunque, si procede ad una verifica del fatto di reato assunto come presupposto.
«In altre parole, per il principio di autonomia della responsabilità dell’ente (art. 8 cit.), la prescrizione del reato presupposto nei confronti della persona fisica autrice, anche se dichiarata nello stesso processo in cui è imputato l’ente, non fa venir meno la sussistenza della sua eventuale responsabilità».
La Quinta sezione penale della Corte di Cassazione, con la sentenza oggetto di analisi, ha ulteriormente evidenziato, sempre in tema di responsabilità delle persone giuridiche, che per i reati commessi dai soggetti apicali, «ai fini del giudizio di idoneità del modello di organizzazione e gestione adottato, il giudice deve adottare il criterio epistemico-valutativo della c.d. “prognosi postuma”».
Il giudicante «deve cioè idealmente collocarsi nel momento in cui l’illecito è stato commesso e verificare se il “comportamento alternativo lecito”, ossia l’osservanza del modello organizzativo virtuoso, per come esso è stato attuato in concreto, avrebbe eliminato o ridotto il pericolo di verificazione di illeciti della stessa specie di quello verificatosi, non richiedendosi una valutazione della “compliance” alle regole cautelari di tipo globale».
La Corte fa suo un nuovo orientamento espresso dalla dottrina e giurisprudenza maggioritaria votato ad una nuova frontiera ermeneutica in tema di illecito delle persone giuridiche, che ricostruisce la struttura dell’illecito dell’ente secondo un modello di tipo colposo[1].
«Il giudice di merito dovrà dimostrare, al fine di giustificare l’affermazione di responsabilità dell’ente, di aver valutato il suo deficit di autoorganizzazione, vale a dire la carenza di quel complesso delle regole elaborate dall’ente per la prevenzione del rischio reato, che trovano la loro sede naturale nei “Modelli di organizzazione, gestione e controllo”, delineati, su un piano generale di contenuti, dagli artt. 6 e 7, D. lgs. n. 231/2001».
Altresì, considerando la ratio del D. lgs. 231, la Cassazione evidenzia come la responsabilità della persona giuridica deriva da una attenta e approfondita valutazione del modello organizzativo di cui si è dotato l’ente.
Tra l’altro, un modello organizzativo idoneo ed efficace potrebbe far sì che l’ente vada esente da responsabilità, pur se il reato presupposto sia stato commesso nel suo interesse o a suo vantaggio (artt. 6 e 7 D. lgs. 231/2001), incentivando gli enti nell’adozione di modelli di compliance aziendale e prevenzione dei reati presupposto.
In conclusione, la Corte analiticamente esemplifica l’attività che dovrà essere svolta dal giudice di merito, nel caso di specie, ed in generale, e cioè «verificare se il reato della persona fisica sia la concretizzazione del rischio che la regola cautelare organizzativa violata mirava ad evitare o, quantomeno, tendeva a rendere minimo; ovvero deve accertare che, se il modello idoneo fosse stato rispettato, l’evento non si sarebbe verificato».
[1] Su tutti vds. Cass. pen., sez. 6, sent. n. 23401 del 15/06/2022.
Sezione:
(Cass. Pen., Sez. V, 19 maggio 2023, n. 21640)
Stralcio a cura di Giovanni de Bernardo
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