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La Cassazione esprime importanti principi di diritto in tema di morosità del socio nell´esecuzione dei versamenti

Federico Domenico Enrico De Silvo

Cass. Civ., Sez. I, 23 gennaio 2020, n. 1185

(…) Correttamente la corte territoriale ha ritenuto che l’art. 2466 c.c. trovi applicazione anche qualora il debito in capo al socio, rimasto insoddisfatto, derivi dalla sottoscrizione della quota di capitale in aumento a lui spettante, trattandosi di disposizione che (al pari dell’art. 2477 c.c. anteriore alla d.lgs. n. 6 del 2003), mira a preservare l’effettività del capitale sociale. La norma prevede un procedimento in cui, dall’iniziale richiesta di adempimento entro trenta giorni rivolta al socio, si perviene, attraverso scansioni alternative o successive, all’azione giudiziale di condanna all’adempimento, alla vendita proporzionale ai soci secondo il valore risultante dall’ultimo bilancio approvato, alla vendita all’incanto, ed, infine, all’esclusione del socio, con la conseguente riduzione nominale del capitale sociale (dunque, operata solo in tale ultima ipotesi). Ciò palesa come il procedimento abbia di mira, anzitutto, la tutela della situazione patrimoniale della società, tutela che non ha ragione di essere limitata al momento della sua costituzione e dell’inadempimento all’obbligo dei conferimenti iniziali, essendo essa applicabile – in via diretta, e non estensiva od analogica – all’esecuzione dei conferimenti in sede di successivo aumento del capitale sociale (…) L’amministratore della società, una volta accertato l’inadempimento del socio al versamento dei decimi mancanti, ha deliberato, quindi, in mancanza di compratori, l’esclusione del socio, trattenendo le somme riscosse, mentre l’assemblea del 30 giugno 2011 ha deliberato la riduzione del capitale, ai sensi dell’art. 2466, comma 3, c.c. (…) Invero, l’art. 2466 c.c., in esito al procedimento di legge e laddove non siano state possibili soluzioni meno drastiche, prevede che il socio venga escluso dalla società, con corrispondente riduzione del capitale sociale, l’ente «trattenendo le somme riscosse». Si tratta, dunque, di una riduzione nominale per la parte non versata, ma reale per quella già versata. Il capitale nominale, o capitale sociale, è un’entità fissa, determinata contabilmente secondo gli artt. 2328, comma 2, n. 4 e 2463, comma 2, n. 4, c.c. ed indicata, al passivo, nella voce A-I del patrimonio netto, ai sensi dell’art. 2424 c.c. Esso, quindi, [continua ..]

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Nota di Federico Domenico Enrico De Silvo

Con la sentenza n. 1185, del 21/1/2020, la Cassazione, in un caso di mora del socio nel versamento di conferimenti dovuti a seguito della sottoscrizione di un aumento di capitale, ha asseverato, quali principi di diritto, che, «il socio non può essere escluso, essendo egli titolare della partecipazione sociale sin dalla costituzione della società; pertanto, ferma la permanenza del socio in società per la quota già posseduta, l’assemblea deve deliberare la riduzione del capitale solo per la misura corrispondente al debito di sottoscrizione derivante dall’aumento non onorato» (p. 10); e che «il socio moroso di s.r.l. non è ammesso, secondo il disposto dell’art. 2466 c.c., a partecipare alle decisioni o alle deliberazioni assembleari esprimendo il proprio voto, ma non perde anche il diritto di controllo sugli affari sociali, sino a che egli resti parte della compagine societaria» (p. 11). Sennonché è stato affrontato il tema se, a fronte di un inadempimento limitato ad un aumento di capitale, la società possa deliberare l’esclusione del socio moroso ovvero solamente procedere alla riduzione della sua quota di partecipazione, limitatamente alla misura della parte non integralmente liberata, rilevandosi come «l’art. 2466 c.c. trovi applicazione anche qualora il debito in capo al socio, rimasto insoddisfatto, derivi dalla sottoscrizione della quota di capitale in aumento a lui spettante, trattandosi di disposizione che […] mira a preservare l’effettività del capitale» (p. 5), essendo ivi previsto un procedimento con cui, dall’iniziale richiesta al socio di adempimento, si procede, via via, alternativamente ovvero attraverso scansioni successive, dai rimedi endosocietari alla soluzione estrema della rinuncia a quel conferimento mediante la riduzione del capitale. Orbene, detto procedimento mira alla «tutela della situazione patrimoniale della società […] che non ha ragione di essere limitata al momento della sua costituzione e dell’inadempimento all’obbligo dei conferimenti iniziali, essendo essa applicabile – in via diretta, e non estensiva od analogica – all’esecuzione dei conferimenti in sede di successivo aumento del capitale” (ibidem), per cui, nel precipuo caso di esclusione del socio moroso, la conseguente riduzione del capitale risulta nominale per la [continua ..]

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