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Sulla prova testimoniale del contratto ed eccezione di parte

Martina Durante

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(…) È uniforme nelle pronunce di questa Corte l’affermazione secondo cui, giacché i limiti di ammissione della prova testimoniale sull’esistenza di un contratto soggetto a forma scritta “ad substantiam” sono dettati da ragioni di ordine pubblico, l’inammissibilità della prova assunta oltre quei limiti può essere dedotta in qualsiasi stato e grado del giudizio, va rilevata anche d’ufficio e non è sanata dalla mancata tempestiva opposizione della parte interessata, la quale può eccepire il vizio discendente anche per la prima volta con motivo di appello. Quando, invero, la forma scritta è richiesta per la validità di un atto, in forza degli artt. 1350, 1351 e 1352 c.c., la dichiarazione formalizzata, avendo funzione costitutiva, è inevitabilmente necessaria “anche” per la prova del negozio, restando di regola il difetto dello scritto, giacché causa di nullità, rilevabile altresì d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio secondo i principi enunciati da Cass. Sez. Unite, 12 dicembre 2014, n. 26242 e n. 26243, e da Cass. Sez. Unite, 4 settembre 2012, n. 14828. Quando, invece, la forma scritta è imposta, secondo la legge o la volontà delle parti, per la prova di un contratto, la questione non è di “forma dell’atto”, ma di “forma della prova”, essendo la forma requisito non sostanziale, e cioè indispensabile per la validità del negozio, quanto processuale. In tal senso, il limite che l’art. 2725 c.c. pone alla prova per testimoni di un contratto che debba essere provato per iscritto non attiene agli effetti sostanziali dell’atto, ma, al pari degli altri limiti legali di ammissibilità della prova testimoniale dei contratti (quali quelli fissati dagli artt. 2721, 2722 e 2723 c.c.), è dettato nell’esclusivo interesse delle parti litiganti, le quali hanno perciò piena facoltà di rinunciare, anche tacitamente, e cioè con il loro comportamento processuale, alla sua applicazione. È, invero, pressoché unanime, in giurisprudenza come in dottrina, l’interpretazione secondo cui i limiti oggettivi di ammissibilità della prova testimoniale, di cui agli artt. 2721 e ss. c.c., sono dettati da norme di carattere dispositivo e, proprio perché posti nell’interesse delle parti, [continua ..]

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Nota di Martina Durante

Con la sentenza in epigrafe, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno risolto il contrasto giurisprudenziale sollevato dalle sezioni semplici circa l’ammissibilità della prova testimoniale per i contratti cui è imposta la forma scritta ad probationem e il relativo regime di rilevabilità. Il caso di specie trae origine da un procedimento per decreto ingiuntivo in relazione al pagamento della somma pattuita dalle parti per la vendita di merce. Contro tale provvedimento l’acquirente si era opposto deducendo che il contratto di vendita fosse stato risolto consensualmente con una riduzione del corrispettivo, dovuto alla cattiva qualità della merce, che ancora era dovuto e in ragione di ciò affermava l’infondatezza del credito; sulla base di tali circostanze veniva dedotta prova testimoniale. Il Tribunale riteneva tuttavia assente la prova del credito e accoglieva, quindi, l’opposizione al decreto ingiuntivo. In secondo grado, la Corte d’Appello respingeva l’opposizione al decreto rilevando, d’ufficio, che la prova dovesse essere data in forma scritta, considerato l’accordo transattivo, ai sensi dell’articolo 1967 c.c. valutando quindi come inammissibile la prova testimoniale. Con ricorso per Cassazione il debitore contestava che, trattandosi di scrittura la cui forma è richiesta ex lege ad probationem e non ad substantiam, la carenza della prova scritta non poteva essere rilevata ex officio dal giudice dato che la controparte non aveva mai eccepito nulla a riguardo; considerate le difformità delle pronunce la questione veniva sottoposta alle Sezioni Unite della Suprema Corte. La giurisprudenza di merito, sul punto, è divisa. Un primo orientamento sostiene che la nullità della prova testimoniale chiesta per verificare l’esistenza di un contratto, per la cui prova in giudizio si richiede forma scritta, non sia rilevabile d’ufficio, ma solo su tempestiva eccezione di parte entro il termine previsto dall’art. 157, co. 2, c.p.c., in quanto gli interessi che si vogliono tutelare sono privatistici e non di stampo pubblicistico. Seguendo tale orientamento, se la parte non opponesse alcuna eccezione la nullità risulterebbe sanata. Se invece si tratta di atti o contratti per cui la forma scritta è richiesta ad substantiam, la prova testimoniale sull’esistenza dell’atto stesso è inammissibile e [continua ..]

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