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È proponibile il ricorso per cassazione a seguito di concordato in appello per l´omessa dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione
Marco Misiti
Con la sentenza in esame le Sezioni Unite hanno affermato un importante e innovativo principio di diritto, secondo cui è consentito proporre ricorso per cassazione avverso la pronuncia di appello che ha accolto il concordato ex art. 599-bisc.p.p. qualora si voglia far valere la prescrizione maturata in primo grado. Il giudice di legittimità ha colto l’occasione, inoltre, per fare il punto sui rapporti tra il citato istituto e il patteggiamento.
Come noto, il concordato sui motivi in appello è stato caratterizzato da un passato travagliato, tanto da essere ritenuto da alcuni commentatori un istituto «incompreso[1]».
Introdotto per la prima volta nel 1988 all’interno dell’art. 599 c.p.p., dopo una prima dichiarazione di parziale contrarietà a Costituzione della norma per eccesso di delega e successivo ripristino per via legislativa della sua portata originaria, l’istituto, comunemente noto come “patteggiamento in appello”, fu abrogato nel 2008.
Ciononostante, nelle aule di giustizia perseverava la prassi di addivenire all’accoglimento di alcuni motivi di impugnazione a seguito della rinuncia di quelli, per così dire, pretestuosi. La resistenza mostrata dalla realtà pratica spinse il legislatore, con legge n. 103 del 2017, a reintrodurre nuovamente l’istituto[2], dedicandogli un’autonoma collocazione all’interno dell’impianto codicistico all’art. 599-bis c.p.p., avente rubrica “concordato anche con rinuncia ai motivi di appello”.
In considerazione, altresì, della modificazione nella denominazione operata con la novella normativa, è opportuno premettere alcune precisazioni circa le analogie e le differenze tra il concordato e il patteggiamento.
Entrambi gli istituti sono accomunati da una struttura negoziale, in quanto le parti determinano quello che è l’oggetto dell’accordo e del successivo vaglio del giudice, il cui sindacato viene così limitato a un’alternativa secca: accogliere il negozio processuale, oppure rigettarlo e procedere con il dibattimento. Non è invece consentito al giudicante un accoglimento parziale, riformulando per il resto l’accordo.
Ulteriore analogia tra gli istituti attiene alla condivisa natura deflattiva, ponendosi entrambi come obiettivo quello di assicurare la definizione anticipata del processo, il patteggiamento fin dal primo grado, il concordato in secondo grado.
Ciononostante, come ben esemplificato dalla loro diversa denominazione, patteggiamento e concordato sono caratterizzati da una differente essenza: il primo è un rito speciale di tipo premiale, che consente all’imputato di beneficiare di una diminuzione di pena; al secondo, invece, non è riconosciuto alcun beneficio, se non quello derivante dall’accoglimento dei motivi non rinunciati.
Inoltre, il legislatore si è premurato, solo in relazione al patteggiamento, di stabilire quali rimedi possano essere esperiti nel caso di ingiustificato dissenso o rigetto da parte, rispettivamente, del Pubblico ministero o del giudice al consenso o applicazione della pena richiesta dall’imputato. Al contrario, nulla si prevede sul punto per l’ipotesi di concordato[3].
Con la sentenza in commento, le Sezioni unite hanno puntualizzato una ulteriore differenza[4], non sempre in realtà evidenziata dalla giurisprudenza precedente[5], in tema di rilevabilità della intervenuta prescrizione. Gli argomenti addotti sul punto possono così essere sintetizzati.
Innanzitutto, come previsto dall’art. 157, settimo comma, c.p., la prescrizione è sì rinunciabile, ma solo espressamente[6], con la conseguenza che a tali effetti non può essere equiparata la scelta dell’impugnante di insistere per l’accoglimento solo di alcuni motivi.
A suffragare la tesi appena esposta, inoltre, verrebbe in rilievo l’art. 129 c.p.p., disposizione che impone la dichiarazione immediata di una causa di non punibilità e, perciò, il proscioglimento dell’imputato sulla base di una verifica che deve essere condotta a prescindere dalle scelte processuali effettuate.
La Suprema Corte compie però un passo ulteriore e, in particolare, approfondisce la questione concernente i limiti alla ricorribilità della sentenza che accoglie il concordato. In particolare, viene affermato il principio per cui, in assenza di una espressa previsione legislativa, avente contenuto similare a quello previsto per il patteggiamento all’art. 448, comma 2-bis, c.p.p., la ricorribilità della sentenza che accoglie il concordato non è sottoposta a limitazione, salvo quanto soggetto a preclusione o coperto dal giudicato. La suddetta norma, infatti, non sarebbe applicabile in via analogica all’istituto di cui all’art. 599-bis c.p.p. stante le profonde differenze esistenti.
Né potrebbe rilevare in senso contrario, secondo la Corte di cassazione, l’art. 610, comma 5-bis, c.p.p., che non stabilisce la regola della generale inammissibilità del ricorso avverso la sentenza che accoglie il concordato, quanto piuttosto disciplina la procedura semplificata da seguire nel caso in cui ricorra la suddetta ipotesi di invalidità.
Così sintetizzato il percorso argomentativo seguito dalle Sezioni unite, è ora possibile svolgere qualche osservazione sul punto.
Innanzitutto, stante il primo argomento addotto dal giudice di legittimità, è da chiedersi se possa ritenersi integrato l’art. 157, settimo comma, c.p., qualora l’impugnante, dopo aver dedotto nei motivi di appello la maturazione del termine prescrizionale in primo grado, rinunci ad insistere all’accoglimento di tale doglianza ai sensi dell’art. 599-bis c.p.p. Se così fosse, sarebbe comunque necessario il rilascio di una duplice procura speciale, una per la rinuncia alla prescrizione, l’altra per la rinuncia ai motivi ai fini del concordato.
In secondo luogo, allargando la visione oltre i confini della prescrizione, ci si deve chiedere quali conseguenze possano derivare dall’ampliamento dei profili di ricorribilità della sentenza che accolga il concordato, avendo il giudice di legittimità richiamato genericamente il principio di preclusione e di giudicato come argine a possibili derive impugnatorie.
La decisione della Suprema Corte nel caso ora in esame sembra, del resto, basarsi sulla possibilità per il giudice di rilevare d’ufficio l’intervenuta prescrizione, stante il richiamo all’art. 129 c.p.p. Ciò potrebbe pertanto valere, pro futuro, per tutte le questioni caratterizzate da tale regime di rilevabilità, problematica già affrontata in passato[7] con orientamenti alterni, anche con riferimento alla qualificazione giuridica del fatto[8]. Anche in tale ipotesi si pone il conseguente problema relativo alla possibilità di dolersi di tali questioni se siano già state oggetto di rinuncia espressa[9].
A seconda della soluzione che si adotta si genera il rischio di un uso improprio di tale istituto: si potrebbe infatti optare per non censurare in appello la qualificazione giuridica del fatto, ma la sola responsabilità penale e il trattamento sanzionatorio; poi, sostanzialmente assicurarsi mediante il concordato la concessione di circostanze attenuanti e la rideterminazione della pena; infine, censurare in sede di legittimità la qualificazione giuridica del fatto.
Sembra inoltre che la ratio deflattiva dell’istituto subisca una profonda menomazione: infatti, aderire alla tesi che riconosce ampi margini di ricorribilità avverso la sentenza che accoglie il concordato condurrebbe ad anticipare sì il termine del secondo grado, ma non dell’intero processo. Al tempo stesso, la portata dell’art. 610, comma 5-bis, c.p.p. resterebbe di fatto svuotata, almeno per quanto concerne il concordato, con conseguente congestionamento dei lavori del giudice di legittimità.
In conclusione, la sentenza si distingue senza alcun dubbio per aver puntualmente ricostruito le differenze tra patteggiamento e concordato. Tuttavia, numerose permangono le perplessità circa le future conseguenze di un’applicazione incontrollata del principio ora in esame.
[1] Così si esprime G. Lattanzi, Il patteggiamento in appello: un incompreso, in Cass. pen., 12/2008, 4494 ss.
[2] Sul punto si veda N. Pascucci, Il ritorno del concordato sui motivi di appello, tra esigenze processuali e timori di malfunzionamento, in Dir. pen. cont., 11/2017, 31 ss.
[3] Si rimanda sul punto a Cass. pen., sentt. Sez. II, 3 marzo 2021 n. 8605, Sez. II, 20 maggio 2021, n. 20085, 4 maggio 2022 n. 17875. Tuttavia, per la ricorribilità della sentenza conclusiva del secondo grado nel caso di rigetto del giudice dell’accoglimento del concordato, si veda Cass. pen., sentt. Sez. VI, 16 giugno 2022 n. 23614 e 23 agosto 2022 n. 31556.
[4] A quelle finora citate deve aggiungersi quella conseguente alla riforma Cartabia: con il d.lgs. 150 del 2022 è stato abrogato il comma 2 dell’art. 599-bis c.p.p., disposizione che prevedeva dei limiti oggettivi di accesso al concordato dal contenuto analogo ai limiti previsti per il patteggiamento all’art. 444, comma 1-bis, c.p.p., così da evidenziare la natura meramente deflattiva e non premiale del primo istituto.
[5] In senso critico in merito ai precedenti orientamenti giurisprudenziali si rinvia a J. Della Torre, Disorientamenti giurisprudenziali in tema di ricorribilità (ordinaria) delle sentenze di concordato in appello, in Dir. pen. e proc., 9/2019, 1271 ss.
[6] Sul punto si rinvia a E. Mezzetti, Diritto penale. Dottrina, casi e materiali, 2023, Zanichelli, 698 ss.
[7] Sul punto si rinvia a P. Grillo, In tema di questioni rilevabili d’ufficio a seguito di «patteggiamento» in appello, in Arch. nuova proc. pen., 1/2008, 3 ss. Si veda altresì G. Leo, Osservatorio dei contrasti giurisprudenziali – Il patteggiamento in appello preclude l’esame delle questioni rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento?, in Dir. pen. e proc., 8/2003, 966 s.
[8] Per un commento a Cass. pen., Sez. VI, sent. 8 ottobre 2019 n. 41254, che ha negato tale possibilità sulla base del principio del devolutum nonché sulla impossibilità di estendere analogicamente la normativa sul patteggiamento al concordato, si rinvia a N. G. Orsi, L’erronea qualificazione giuridica del fatto quale causa di ricorribilità per cassazione del concordato sui motivi d’appello ex art. 599-bis c.p.p., in Cass. pen., 9/2021, 2830 ss. Si noti, tra l’altro, che la giurisprudenza di legittimità ha adottato un approccio rigorista alla possibilità di muovere censure su tale tema nei confronti della sentenza che accolga la richiesta di patteggiamento, richiedendo che il vizio circa la qualificazione giuridica del fatto sia manifesto e palesemente eccentrica rispetto al capo di imputazione, per cui si rinvia a Cass. pen. Sez. VI, 23 gennaio 2018 n. 3108 e Sez. I, 6 aprile 2018 n. 15553. Ci si chiede perciò se tale approccio stringente verrà o meno adottato anche in relazione al concordato in appello, o se potrà sempre essere censurata la erronea qualificazione giuridica del fatto.
[9] In senso negativo Cass. pen., Sez. V, sent. 25 giugno 2018, n. 29243, e Sez. V, 12 dicembre 2022, n. 46850.
Sezione: Sezioni Unite
(Cass. Pen., SS.UU., 8 maggio 2023, n. 19415)
Stralcio a cura di Giovanni de Bernardo
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