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Il Tribunale di Milano non solleva questione di legittimità costituzionale sulla differenza di regime della sentenza di non luogo a procedere per imputato persona fisica e persona giuridica

Luca Mazza 

Sommario

1.La nuova regola di giudizio in Udienza Preliminare, l’art. 61 del D.Lgs. 231/01 e i provvedimenti emessi nel processo a carico degli enti – 2. La pronuncia del Tribunale di Milano, Sez. G.I.P.-G.U.P., Ordinanza, 15/02/2023, Dott. Domenico Santoro

 

  1. La nuova regola di giudizio in Udienza Preliminare, l’art. 61 del D.Lgs. 231/01 e i provvedimenti emessi nel processo a carico degli enti

 

Con il D.Lgs. 30 dicembre 2022, n. 150, entrava definitivamente in vigore la riforma organica del processo e del sistema sanzionatorio penale, c.d. “riforma Cartabia”, finalizzata a ridefinire l’organizzazione del processo e della giustizia in chiave di maggiore efficienza.

    A tal proposito, il Legislatore – prendendo coscienza della limitata capacità filtrante dell’Udienza Preliminare – ha profondamente innovato la sua disciplina, cercando di invertire la rotta rispetto al canone interpretativo “in dubio pro actione”[1].  L’intervento è stato realizzato mediante, in particolare, la previsione di una regola di giudizio più “stringente” che il G.U.P. deve applicare al fine di emettere la sentenza di non luogo a procedere di cui all’art. 425, comma terzo, c.p.p..

    La nuova disciplina dell’Udienza Preliminare – adibita, per sua natura, a filtro processuale allo scopo di deflazionare il carico dibattimentale – è finalizzata, tuttavia, a potenziarne l’efficacia. L’art. 425 c.p.p., al novellato terzo comma, prevede che “il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere anche quando gli elementi acquisiti non consentono di formulare una ragionevole previsione di condanna”. Con tale modifica si è disposta, contestualmente, l’abrogazione della parte relativa alla “inidoneità a sostenere l’accusa in giudizio” e, in particolare, alle più specifiche ipotesi di “insufficienza” e “contraddittorietà” degli elementi raccolti durante le Indagini Preliminari.

La nuova regola di giudizio amplia ulteriormente il potere prognostico del G.U.P. allo scopo di rendere questa fase processuale maggiormente funzionale ad un deflazionamento del giudizio dibattimentale. Quest’ultimo, infatti, verificata la validità della richiesta di rinvio a giudizio, procede alla discussione e, con gli elementi raccolti dall’Ufficio di Procura durante le Indagini Preliminari e quelli eventualmente acquisiti con i suoi poteri d’iniziativa ovvero indicati dalla difesa, ha l’obbligo di “pronosticare”, allo stato degli atti, la sussistenza o meno di una ragionevole previsione di condanna nel futuro giudizio dibattimentale. La diversa prognosi, così come formulata, dovrebbe consentire una maggiore capacità di ridurre il carico processuale, garantendo lo svolgimento di processi non solo “non superflui”, bensì anche “utili”, in quanto funzionali alla condanna dell’imputato[2].

     La ricostruzione di siffatto panorama giuridico, tuttavia, riguarda il caso in cui ad essere imputato è una persona fisica. Cosa succede, invece, se l’imputato è una persona giuridica?

La responsabilità delle persone giuridiche è disciplinata dal D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, rubricato “Responsabilità amministrativa degli Enti dipendente da reato”. Si tratta di una sorta di tertium genus che coniuga le caratteristiche essenziali del sistema penale e di quello amministrativo – tant’è vero che, tutt’oggi, si parla di una responsabilità penale[3] o para-penale[4] dell’Ente – volto a contemperare da una parte le ragioni collegate alla sua efficacia preventiva e, dall’altra, quelle connesse al principio garantistico[5]. Difatti, in sede di attuazione normativa, le maggiori obiezioni mosse al c.d. “Decreto 231” inerivano alla tradizionale concezione di un diritto penale “umano”, poiché incentrato su destinatari in carne ed ossa, atteso che lo stesso art. 27 Cost. afferma che “la responsabilità penale è personale”, nonché “le pene […] devono tendere alla rieducazione del condannato[6].

Tuttavia, al fine di arginare i c.d. corporate crimes e, sul piano punitivo, incidere sia sull’effettivo patrimonio dell’Ente che sull’attività sociale svolta, venne stabilito che quest’ultimo rispondesse direttamente in caso di reato commesso nel suo interesse o vantaggio qualora non fossero stati previsti stringenti procedure al fine di impedirne la sua verificazione.

Dunque, a fondamento della decisione legislativa di introdurre tale forma di responsabilità, intervennero sia ragioni di politica criminale, costituite dalla stessa natura dei reati d’impresa, sia da ragioni eminentemente pratiche, riconducibili a quell’attività necessaria e preventiva di mitigazione del rischio-reato attraverso l’implementazione di specifici Modelli di Organizzazione, Gestione e Controllo da far osservare agli organi sociali e ai dipendenti[7].

Rilevata l’esigenza di garantire la necessaria convivenza delle garanzie del processo penale nei casi di accertamento della responsabilità amministrativa degli enti dipendente da reato, il Legislatore ha introdotto l’art. 34 D.Lgs. 231/01 disponendo che “per il procedimento relativo agli illeciti amministrativi dipendenti da reato, si osservano le norme di questo capo nonché, in quanto compatibili, le disposizioni del Codice di procedura penale”.

Attesa, dunque, l’applicabilità delle previsioni del codice di rito, in quanto compatibili, l’art. 61 del D.Lgs. 231/01, in riferimento ai provvedimenti emessi in Udienza Preliminare, ha stabilito al primo comma che: “Il giudice dell'udienza preliminare pronuncia sentenza di non luogo a procedere nei casi di estinzione o di improcedibilità della sanzione amministrativa, ovvero quando l'illecito stesso non sussiste o gli elementi acquisiti risultano insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere in giudizio la responsabilità dell'ente. Si applicano le disposizioni dell'art. 426 del c.p.p.”.

 

  1. La pronuncia del Tribunale di Milano, Sez. G.I.P.-G.U.P., Ordinanza, 15/02/2023, Dott. Domenico Santoro

 

L’Ordinanza in commento, emessa dal G.U.P. del Tribunale di Milano, Dott. Domenico Santoro, rilevava il mancato adeguamento della nuova disciplina dell’Udienza Preliminare per il processo a carico degli enti, di cui all’art. 61 del D.Lgs. 231/01, ove ancora era espressamente previsto che il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere qualora “gli elementi acquisiti risultano insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere in giudizio la responsabilità dell'ente”.

     Premesso ciò, la difesa richiedeva affinché venisse sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 61 D.Lgs. 231/01, atteso il contrasto con l’art. 3 Cost., in relazione all’art. 425 c.p.p., nel caso in cui non si pervenga ad una uniforme interpretazione finalizzata ad equiparare la regola di giudizio per la sentenza di non luogo a procedere per il rito disciplinato ai sensi del D.Lgs. 231/01 a quella enunciata dall’art. 425 c.p.p. nella sua formulazione attuale.

     Nella sua decisione il G.U.P., richiamando la relazione ministeriale al D.Lgs. 231/2001 evidenzia, con riguardo all’art. 61 e alla regola di giudizio, che il Legislatore, nelle sue intenzioni, accoglieva il principio, contenuto nelle disposizioni di cui all’art. 425 c.p.p., in accordo del quale “all’esistenza della prova di “non colpevolezza” viene equiparata la mancanza della prova di “responsabilità”, gravando l’Organo di Accusa dell’onere di dimostrare l’esistenza di elementi idonei a sostenere in giudizio la responsabilità dell’ente[8], la cui assenza, atteso il potere del Giudice di indicare ulteriori indagini o di procedere all’attività di integrazione probatoria, si risolveva nella pronuncia da parte di quest’ultimo di una sentenza di non luogo a procedere.

     Una tale argomentazione, pertanto, prescinde dalla questione esclusivamente letterale in quanto l’art. 425 c.p.p., già ante riforma Cartabia, faceva riferimento all’emissione di sentenza di non luogo a procedere (anche) quando gli elementi acquisiti risulta(va)no insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio, laddove, invece, l’art. 61 D.Lgs. 231/01 stabiliva il medesimo principio in relazione alla “sostenibilità in giudizio della responsabilità dell’ente”, poiché lo scopo principale del Legislatore del 2001 era quello di equiparare i principi posti a fondamento delle due regole di giudizio.

     Tuttavia, nonostante la discrasia legislativa evidenziata fra le due regole di giudizio dettate, rispettivamente, per l’imputato persona fisica e per l’imputato persona giuridica, il G.U.P. osservava che “in difetto di indici chiari, desumibili dalla relazione illustrativa al D.Lgs. n. 150 del 2022, non è dato stabilire se la discrasia lamentata dal difensore sia frutto di una scelta consapevole da parte del Legislatore della riforma ovvero di un mero difetto di coordinamento”. In particolare, qualora si versi in tale ultima ipotesi, come ad avviso del G.U.P., lo stesso evidenziava che “il lamentato difetto di coordinamento, senza pervenire ad alcuna forma di interpretazione che possa reputarsi creativa o manu iudicis abrogativa dell'art. 61 d.lgs. in parte qua, trova soluzione rammentando come la regola di giudizio prevista dal previgente testo dell'art. 425 c.p.p. per il processo nei confronti della persona fisica, sostanzialmente sovrapponibile all'attuale che presiede al testo dell'art. 61 D.Lgs. n. 231 del 2001, sia stata interpretata, in chiave evolutiva, da alcune decisioni della Suprema Corte di Cassazione, fra cui si segnala Cassazione Sez. 5, n. 32023, del 4/7/2017, che già aveva schiuso alla possibilità che il giudice dell'udienza preliminare verificasse, ai fini del rinvio a giudizio, "che la piattaforma degli elementi conoscitivi, costituiti dalle prove già raccolte e da quelle che potranno essere verosimilmente acquisite nello sviluppo processuale – secondo una valutazione prognostica ispirata a ragionevolezza – sia munita di una consistenza tale da far ritenere probabile la condanna e da dimostrare, pertanto, l'effettiva, seppure potenziale, utilità del passaggio alla fase dibattimentale “.Ebbene, con la suindicata pronuncia del 2017, la S.C., in relazione all’art. 425 c.p.p. ante riforma, sottolineava che “nel delibare la legittimità dell'esercizio dei poteri decisori da parte del giudice dell'udienza preliminare, si deve prescindere da distinzioni astratte tra valutazioni processuali e valutazioni di merito, e si deve, piuttosto, avere riguardo - così come per le decisioni emesse all'esito del dibattimento - alla completezza ed alla congruità della motivazione stessa, in relazione all'apprezzamento dell'aspetto prognostico dell'insostenibilità dell'accusa in giudizio, sotto il profilo della insuscettibilità del compendio probatorio a subire mutamenti nella fase dibattimentale[9]. Tale argomentazione, pertanto, presuppone il riconoscimento al G.U.P. di un potere di valutazione in merito alla fondatezza o meno della prospettazione accusatoria; ciò al fine di sottoporre a vaglio l’esistenza e la serietà del quadro indiziario, nonché di compiere una prima prognosi per il raggiungimento di un risultato positivo a favore dell’accusa nella futura fase dibattimentale[10].

     In sintesi, sulla base del suddetto criterio ermeneutico già diffusamente affermato dagli Ermellini, il giudice è chiamato ad una valutazione non relativa alla fondatezza dell’accusa, ossia alla colpevolezza ovvero l’innocenza dell’imputato, bensì in merito alla capacità di siffatti elementi di dimostrare la sussistenza di una minima probabilità che, all’esito del dibattimento, sia affermata la colpevolezza dell’imputato.

     In conclusione, il G.U.P. del Tribunale di Milano, nella fattispecie in esame, concludeva considerando sostanzialmente equiparabile l’attuale regola di giudizio contenuta nell’art. 61 e, da ultimo, quella introdotta dal D.Lgs. 150/2022 nei processi a carico dell’imputato persona fisica, in assenza di qualsivoglia disparità di trattamento in merito alle valutazioni riservate agli imputati persone fisiche o giuridiche, valutando la discrasia legislativa quale mero difetto di coordinamento in sede di riforma e, dunque, errore materiale trascurabile in virtù della consolidata equiparazione tra le due regole di giudizio affermata dalla giurisprudenza di legittimità.

     Sul punto, da ultimo, occorre evidenziare che con il Decreto c.d. “Correttivo Cartabia”, ossia il D.Lgs. 19 marzo 2024, n. 31, il Legislatore è intervenuto al fine di uniformare la nuova regola di giudizio prevista per l’Udienza Preliminare nell’ambito della responsabilità delle persone giuridiche, stabilendo che, in relazione agli elementi acquisiti, le parole “risultano insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere in giudizio la responsabilità dell’ente” sono sostituite con “non consentono di formulare una ragionevole previsione di condanna dell’ente”.

 

[1] C. Santoriello, Le nuove regole di giudizio della Riforma Cartabia, tra una positiva sinergia e una possibile eterogenesi dei fini, in Archivio Penale, n. 2, 2022, p. 1.

[2] Corte suprema di cassazione-ufficio del massimario-servizio penale, Relazione su novità normativa “La riforma Cartabia”, n. 2, 2023, pp. 89-90.

[3] Cass. Pen., Sez. VI, 09/03/2015, n. 9988; in senso conforme anche Cass. Pen., Sez. VI, 05/11/2014, n. 53430.

[4] Cass. Pen., Sez. Un., 22/09/2011, n. 34476.

[5] A. Alessandri - S. Seminara, Diritto Penale Commerciale: i principi generali, Vol. I, G. Giappichelli Editore, Torino 2018, p. 89.

[6] C. Piergallini, Premialità e non punibilità nel sistema della responsabilità degli enti, in Diritto Penale e Processo, n. 4, 2019, pp. 530-549; G. Varraso, Autonomia del sistema sanzionatorio a carico dell’ente nel D.Lgs. 231/2001 e non punibilità dell’imputato del reato presupposto, in La responsabilità amministrativa delle società e degli enti, n. 1, 2020, pp. 21-28.

[7] S. Manacorda, L’idoneità preventiva dei Modelli di Organizzazione nella responsabilità da reato degli enti: analisi critica e linee evolutive, in Riv. trim. dir. pen. econ. n. 1-2, 2017, pp. 49-113.

[8] C. Santoriello, La valutazione giudiziale del Modello. Un esempio di legge e cosa cerca il Pubblico Ministero nei Modelli Organizzativi, in La responsabilità amministrativa delle società e degli enti, n. 2, 2019, pp. 193-213.

[9] Cass. Pen., Sez. V, 04/07/2017, n. 32023.

[10] Cass. Pen., Sez. VI, 30/04/2015, n. 33763.

Argomento: Udienza Preliminare
Sezione: Sentenze di Merito

(Trib. Milano, Sez. GIP/GUP, ord. 15 febbraio 2023)

stralcio a cura di Annapia Biondi

“(…) Va, anzitutto, premesso che, effettivamente, a fronte della modifica dell' art. 425, comma 3, c.p.p., nella parte in cui la regola di giudizio è quella per cui il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere anche quando gli elementi acquisiti non consentono di formulare una ragionevole previsione di condanna, il disposto dell'art. 61 D.Lgs. n. 231 del 2001 non ha subito alcuna modificazione, sicché statuisce ancora che il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere (oltre che in ipotesi specificamente enucleate con riferimento alle peculiarità del processo nei confronti dell'ente), quando gli elementi acquisiti risultano insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere in giudizio la responsabilità dell 'ente.” “(…) Il quadro che precede, ad avviso del decidente, evidenzia, in difetto di indici chiari, desumibili dalla relazione illustrativa al D.Lgs. n. 150 del 2022, come non sia dato stabilire se la discrasia lamentata dal difensore sia frutto di una scelta consapevole da parte del Legislatore della riforma ovvero di un mero difetto di coordinamento. Ove si versasse nella prima ipotesi, il disposto dell'art. 34 D.Lgs. n. 231 del 2001 costituirebbe ostacolo, ad avviso del decidente, insormontabile ai fini di un'interpretazione quale quella subordinatamente invocata dalla difesa. Qualora, invece, si dovesse ritenere che si sia al cospetto di un mero difetto di coordinamento fra rinnovazione apportata al comma 3 dell'art. 425 c.p.p. ed il mantenimento della regola di giudizio di cui all'art. 61 D.Lgs. n. 231 del 2001 (come, ad avviso del decidente, potrebbe deporre quanto si è sopra evidenziato in ordine alla previa e persistente difformità in materia di archiviazione a fronte della conformità fra le regole di giudizio in materia di sentenza di non luogo a procedere, oggi non più mantenuta, in apparente assenza di un ragionevole motivo - specie alla luce del disegno originario del legislatore del D.Lgs. n. 231 del 2001 -), il decidente reputa quanto segue. Il lamentato difetto di coordinamento, senza pervenire ad alcuna forma di interpretazione che possa reputarsi creativa o manu iudicis abrogativa dell'art. 61 d.lgs. in parte qua, trova soluzione rammentando come la regola di giudizio prevista dal previgente testo dell'art. 425 c.p.p. per il processo nei confronti della persona fisica, sostanzialmente sovrapponibile all'attuale [continua ..]

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