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Mancata esecuzione di un provvedimento del giudice: non si configura quando vi sia un solo rifiuto di far vedere la figlia al padre

Laura Ruzza

La recente sentenza della VI Sezione Penale della Corte di Cassazione ha offerto indubbiamente alcune significative precisazioni sulla fattispecie incriminatrice di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice con riferimento alla "elusione" dei provvedimenti civili relativi all'affidamento dei minori ed alla conseguente disciplina del diritto di visita in favore del genitore non affidatario, reato spesso commesso tra genitori separati a danno dei minorenni coinvolti.

Gli Ermellini si sono pronunciati su un ricorso proposto avverso la sentenza di secondo grado con cui la Corte d’Appello adita aveva confermato la condanna inflitta ad una donna dal giudice di prime cure per il reato di  cui all’art. 388 co. 2 c.p. in quanto alla stessa veniva imputata la colpa di aver “detto di no” all’ex coniuge che desiderava vedere il figlio nel suo giorno libero, nonostante la donna si fosse comunque resa disponibile per un altro giorno. In base a  quanto statuito dall’art. 388 c.p., deve essere punito chiunque elude un provvedimento emesso nel procedimento di separazione personale dei coniugi o in quello di scioglimento o  cessazione degli effetti civili del matrimonio o un provvedimento del giudice civile relativo all’affidamento di minori o di altre persone incapaci.

Per meglio comprendere i profili giuridici analizzati dalla Corte, appare necessario specificare che, secondo la ricostruzione della vicenda proposta nei precedenti gradi di giudizio, non erano state stabilite delle giornate fisse in cui il padre poteva stare con la figlia ma bensì le parti si accordavano di volta in volta secondo una necessaria collaborazione genitoriale; così,  a fronte della richiesta dell’uomo di vedere la figlia in una determinata data, la donna aveva chiesto uno spostamento perché non sarebbe stata a casa per propri impegni lavorativi nel giorno in cui il padre avrebbe riaccompagnato la bambina.

Secondo la Corte d’Appello adita, la signora meritava di essere riconosciuta colpevole in quanto, secondo i giudici di secondo grado, il reato in oggetto sarebbe integrato anche per effetto del mero rifiuto di ottemperare all'ordine del giudice.  La Corte d’Appello aveva fondato tale proprio convincimento circa la conferma della condanna su un orientamento di legittimità contenuto nelle pronunce della VI Sez. Penale n. 12391 del 18/3/2016, n. 29882 dell'8/1/2019 e n. 37433 del 23/9/2020 secondo cui anche il mero rifiuto di ottemperare il provvedimento da parte del genitore affidatario, salva la sussistenza di contrarie indicazioni di particolare gravità, avrebbe integrato la condotta elusiva dell'esecuzione di un provvedimento del giudice civile concernente l'affidamento di minori

Invece, nella sentenza qui esaminata così come nella più recente giurisprudenza, la Suprema Corte ha riconosciuto e definitivamente chiarito che, per integrare il reato in discussione, è necessario che il genitore affidatario si sottragga con atti fraudolenti o simulati all’obbligo di consentire le visite del genitore non affidatario. In altri termini, occorre che il genitore affidatario si sottragga all’obbligo di consentire l’esercizio del diritto di visita con condotte pretestuose oppure con l’adozione di comportamenti in concreto volti a rendere immotivatamente più difficoltosi gli incontri.

Al fine di sostenere questa tesi, vengono  richiamate due importanti pronunce della stessa Suprema Corte e cioè la n. 12976 del 19/2/2020 sempre della Sesta Sezione Penale in cui si è affermato che il mero inadempimento non integra il reato di cui all’art. 388, comma 2, c.p., occorrendo che il genitore affidatario si sottragga all'obbligo di consentire le visite del genitore non affidatario ponendo in essere atti fraudolenti o simulati,  ostacolando le stesse attraverso comportamenti implicanti un inadempimento in malafede e non riconducibile ad una mera inosservanza dell'obbligo. Si aggiunge poi l’importantissimo richiamo  alla  sentenza "Vuocolo" delle Sezioni unite n. 36692 del 27/9/2007 in cui la Corte ha illustrato chiaramente che le due previsioni incriminatrici descritte all'art. 388 co.1 e co.2 c.p.  tutelano non già l'autorità in sè delle decisioni giurisdizionali - nel qual caso il reato sarebbe integrato per effetto del mero rifiuto di adempiere - bensì introducono un presidio penale a tutela della effettività della tutela giurisdizionale. Proprio per questa ragione, si è ritenuto che anche la previsione di cui all'art. 388, comma 2, c.p., lì dove richiede  una condotta "elusiva", fa riferimento alle medesime condotte fraudolente o simulate che vengono espressamente richiamate al comma 1. Continuano a specificare le Sezioni unite che, qualora il Legislatore avesse inteso incriminare la mera condotta di inadempimento, sarebbe stato sufficiente descrivere il fatto in termini di "inosservanza" del provvedimento del giudice, ricorrendo ad una dizione normativa ampiamente utilizzata in altre fattispecie  quali, ad esempio, l'art. 389 c.p. relativo all'inosservanza di pene accessorie e l'art. 650 che punisce l'inosservanza dei provvedimenti dell'autorità. Il fatto che la norma incriminatrice che qui ci interessa richiami la nozione di "elusione", di per sè implicante una condotta non assimilabile al mero inadempimento, dimostra la necessità che la mancata esecuzione del provvedimento concernente l'affidamento dei minori sia accompagnata dal compimento di atti fraudolenti o simulati, finalizzati ad evitare l'adempimento come, a mero titolo esemplificativo, il trasferimento con il minore a grandissima distanza o la continua modificazione del proprio luogo di dimora.

Così ricostruiti i diversi orientamenti, il Supremo Collegio precisa poi che  l'adempimento delle modalità di esercizio del diritto di visita sono funzionali a garantire il mantenimento di un rapporto continuativo tra il genitore non affidatario ed i figli. Da ciò ne deriva che l'elusione del "diritto di visita" non possa configurarsi nel caso di un'unica occasione in cui non è stato consentito al genitore non affidatario di tenere con sè il figlio minore, essendo necessaria una più complessa condotta di ostacolo rispetto agli incontri previsti, per effetto della quale viene impedito l'ordinario esercizio delle modalità di frequentazione tra genitore e figlio disciplinate nel provvedimento giurisdizionale.

Ecco dunque che la Suprema Corte ha definitivamente potuto affermare  che  la condotta penalmente rilevante non è integrata  da una singola ed occasionale violazione dei provvedimenti in tema di affidamento dei minori, ma è necessario poter constatare un atteggiamento elusivo che, in un lasso temporale rilevante, risulti adeguato a rendere impossibile una puntuale attuazione della disciplina dei rapporti del genitore non collocatario con il figlio. Tale principio necessita di precisa specificazione proprio per stabilire  quando l'elusione del provvedimento in tema di affidamento può assurgere al grado minimo di offensività richiesto dalla norma incriminatrice. Ed infatti, la Corte chiarisce ulteriormente che “se la ratio della norma incriminatrice risiede nell’esigenza di garantire effettività, anche sul piano penale, all’attuazione della disciplina concernente l’affidamento dei minori, ne consegue che le condotte penalmente rilevanti non potranno che essere quelle che vanno ad inficiare il “diritto di visita” considerato nella sua continuativa attuazione, non potendo assumere rilevanza singole, isolate e del tutto occasionali violazioni delle modalità indicate nel provvedimento che dispone l’affidamento del minore”.

Chiariscono i supremi giudici che i provvedimenti civili relativi al diritto di visita del figlio minore forniscono un’indicazione dei tempi e delle modalità destinate a disciplinare gli incontri per un arco temporale molto ampio e, conseguentemente, è necessario ammettere una minima tolleranza rispetto alla possibilità che si svolgano incontri secondo modalità differenti rispetto a quanto programmato al tempo dell’emanazione del provvedimento giudiziario civile.

Ne deriva dunque che il reato può essere integrato solo dalle condotte atte ad incidere negativamente sul diritto/dovere del genitore di mantenere regolari rapporti interpersonali; singole e circoscritte violazioni, limitate nel tempo e non capaci di incidere sulla disciplina dell’affidamento – considerata nel suo complessivo esplicarsi – possono essere considerate rilevanti solo in sede civile ma non potranno certo essere idonee all’integrazione dell’elusione richiesta dalla fattispecie incriminatrice.

Ne consegue che, come riconosciuto dalla Suprema Corte nella sentenza in commento, il singolo episodio contestato all’imputata non merita di essere considerato quale violazione penalmente rilevante del provvedimento civile in ordine al diritto di visita, tanto da condurre all’inesistenza del fatto criminoso per cui la Suprema Corte ha cassato senza rinvio il provvedimento di secondo grado.

Argomento: Dei delitti contro l'autorità delle decisioni giudiziarie
Sezione: Sezione Semplice

(Cass. Pen., Sez. VI, 14 marzo 2023, n. 10905)

Stralcio a cura di Ilaria Romano

“2. Il primo motivo di ricorso pone la questione di stabilire quale sia la condotta integrante il reato di cui all'art. 388, comma 2, c.p., con specifico riferimento alla "elusione" dei provvedimenti del giudice civile relativi all'affidamento dei minori ed alla conseguente disciplina del diritto di visita in favore del genitore non affidatario.Nel caso di specie, il fatto è stato compiutamente ricostruito, essendo emerso che il provvedimento adottato dal giudice civile non prevedeva giorni fissi in cui il padre poteva vedere la figlia, limitandosi ad affermare che questi potesse esercitare il diritto di visita allorché era libero dal lavoro. Si tratta, quindi, di un provvedimento per la cui attuazione era indispensabile un accordo tra i genitori. Nell'ambito di tale generica regolamentazione, l'imputata ha riferito - e sul punto la sua ricostruzione in fatto è stata avallata dai giudici di merito - che il padre aveva chiesto di vedere la figlia il (omissis), ma che lei aveva chiesto di differire l'incontro ad altra data, in quanto per proprie esigenze lavorative non poteva essere presente nel momento in cui il padre avrebbe riaccompagnato la minore presso l'abitazione materna.In buona sostanza, quindi, il fatto è stato cristallizzato nel "rifiuto" dell'imputata di far vedere la figlia al padre nel giorno da quest'ultimo richiesto, proponendo una diversa data. (…)2.2. La giurisprudenza più recente si è discostata dalla tesi secondo cui l'elusione richiesta dall'art. 388 c.p. sarebbe integrata anche dal mero rifiuto di ottemperare. Questa Corte (…) ha affermato che il mero inadempimento non integra il reato di cui art. 388, comma 2, c.p., occorrendo che il genitore affidatario si sottragga, con atti fraudolenti o simulati, all'obbligo di consentire le visite del genitore non affidatario, ostacolandole attraverso comportamenti implicanti un inadempimento in mala fede e non riconducibile ad una mera inosservanza dell'obbligo (…).Quest'ultima soluzione pare preferibile, nella misura in cui valorizza il dato letterale lì dove si richiede una condotta di "elusione" che, evidentemente, non può equipararsi a quella di rifiuto dell'adempimento, occorrendo che il genitore affidatario si sottragga all'obbligo di consentire l'esercizio del diritto di visita con condotte pretestuose, fraudolente o simulate, nonché con l'adozione di comportamenti in concreto volti a rendere [continua ..]

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