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Assegno divorzile e instaurazione di una nuova convivenza di fatto: limiti applicativi
Giuseppe Piccardo
Con la sentenza numero 32198 del 5 novembre 2021 in commento, la Corte di Cassazione, a Sezioni unite, con una decisione che si discosta dall’alternativa estinzione-non estinzione dell’assegno, ha composto il contrasto sollevato con ordinanza 17 dicembre 2020, numero 28995, relativa alla controversa questione del mantenimento dell’assegno divorzile nel caso in cui il coniuge percettore instauri una convivenza more uxorio, successivamente al divorzio.
La via scelta dal Giudice di legittimità, può essere riassunta nei principi di diritto che, testualmente, si riportano: “L’instaurazione da parte dell’ex coniuge di una convivenza di fatto, giudizialmente accertata, incide sul diritto al riconoscimento di un assegno di divorzio o alla sua revisione nonché sulla quantificazione del suo ammontare, in virtù del progetto di vita intrapreso con il terzo e dei reciproci doveri di assistenza morale e materiale che ne derivano, ma non determina, necessariamente, la perdita automatica e integrale del diritto all’assegno. Qualora sia giudizialmente accertata l’instaurazione di una stabile convivenza di fatto tra un terzo e l’ex coniuge economicamente più debole questi, se privo anche dell’attualità dei mezzi adeguati o impossibilitato a procurarseli per motivi oggettivi, mantiene il diritto al riconoscimento di un assegno di divorzio a carico dell’ex coniuge in funzione esclusivamente compensativa. A tal fine, il richiedente dovrà fornire la prova del contributo offerto alla comunione familiare; della eventuale rinuncia concordata ad occasioni lavorative e di crescita professionale in costanza di matrimonio; dell’apporto alla realizzazione del patrimonio familiare e personale dell’ex coniuge. Tale assegno, anche temporaneo su accordo delle parti, non è ancorato al tenore di vita endomatrimoniale né alla nuova condizione di vita dell’ex coniuge ma deve essere quantificato alla luce dei principi suesposti, tenuto conto, altresì della durata del matrimonio”.
La decisione delle Sezioni Unite di non riconoscere, nel caso di convivenza di fatto successiva al divorzio, la prosecuzione della corresponsione dell’assegno di divorzio, da parte del coniuge obbligato, si fonda, in particolare, su due argomentazioni, e precisamente:
- a) l’impossibilità di applicare analogicamente l’art. 5, comma 10 della legge sul divorzio, che prevede l’estinzione dell’obbligo di corrispondere l’assegno divorzile, in caso di nuove nozze del coniuge che ha diritto di percepire l’assegno;
- b) la natura compensativa dell’assegno di divorzio, che verrebbe meno nel caso in cui si ritenesse che la convivenza determinasse automaticamente l’estinzione dell’assegno suddetto. La sentenza si segnala non solo per l’importanza pratica della problematica che affronta, alla luce dei cambiamenti sociali che interessano la famiglia, ma anche perché l’adesione delle Sezioni Unite alla prospettazione secondo la quale l’assegno di divorzio avrebbe natura meramente compensativa si pone in contrasto con l’orientamento più recente della stessa Corte di Cassazione. Infatti, la suprema Corte, sempre a Sezioni unite, con la nota sentenza 11 luglio 2018 numero 18287, ha affermato la natura composita dell’assegno divorzile, vale a dire assistenziale, compensativa e retributiva. Così opinando, la sentenza in commento, di fatto, valuta in modo differente la situazione matrimoniale da quella della convivenza di fatto e contribuisce ad una diversità di trattamento tra i casi in cui l’instaurazione di una nuova convivenza non determina l’estinzione automatica dell’assegno divorzile ed il caso del matrimonio, in relazione al quale opera l’estinzione automatica dell’assegno. La sentenza in esame, dunque, pone fine ad un contrasto interpretativo, sia in dottrina, che in giurisprudenza, che vedeva contrapposti, tre orientamenti, che possono essere così sintetizzati:1) tesi della permanenza o, eventualmente, di una mera rimodulazione dell’assegno, indipendentemente dall’instaurazione di una convivenza di fatto del coniuge avente diritto, in quanto rapporto non necessariamente stabile e duraturo ( tra le altre, Cass. 4 novembre 2014 n. 24832); 2) estensione dell’assegno divorzile per tutta la durata della convivenza ( ex multis, tra le altre, Cass. 11 agosto 2011 n. 17195); 3) cessazione automatica dell’assegno di divorzio, a seguito dell’instaurazione di una convivenza di fatto del coniuge percettore dell’assegno, in forza del principio di autoresponsabilità del coniuge che, liberamente, instaura una convivenza di fatto, successivamente al divorzio ( di recente, Cass. 19 dicembre 2018 n. 32871; Cass. 28 febbraio 2019 n. 5874; Cass 29 dicembre 2020 n. 29781). Per completezza, si dà atto che il suddetto, più recente, orientamento, è stato criticato, in dottrina, da chi ritiene non condivisibile che il coniuge più debole venga privato dell’assegno divorzile, in ottica della funzione compensativa e perequativa dell’assegno, al fine di riconoscere i sacrifici di un coniuge a beneficio della famiglia, così come argomentato dalla citata sentenza a Sezioni Unite 11 luglio 2018, numero 18287, sopra citata.
Sul piano probatorio, nella prospettazione recepita dalla Suprema Corte con la sentenza in commento, come meglio precisato contraria all’orientamento giurisprudenziale più recente, se il coniuge richiedente l’assegno per il riconoscimento della componente compensativa, abbia instaurato una stabile convivenza, dovrà dimostrare in giudizio la mancanza di mezzi adeguati e, se tale mancanza dipenda da decisioni comuni prese durante il matrimonio; la suddetta prova potrà essere data anche per presunzioni gravi, precise e concordanti.
Infine, ad avviso dello scrivente, di particolare interesse e rilievo, nella sentenza in commento, è la considerazione della Suprema Corte, secondo la quale “il filo della solidarietà post-coniugale, assottigliato dalle scelte della vita ma non per questo del tutto reciso, può servire, in virtù di quel contributo dato in passato alle fortune familiari e mai retribuito, a fondare il diritto ad un assegno”.
Le Sezioni Unite, con questa affermazione, aprono alla possibilità che gli ex coniugi possano prevedere un contributo a favore di quello più debole, sussistendone le condizioni, eventualmente a tempo, come avviene in alcuni ordinamenti giuridici europei, non legato al tenore di vita endomatrimoniale, né alla nuova situazione di vita familiare dell’ex coniuge, in quanto quantificato alla luce dei principi suesposti, tenuto conto, tra l’altro, della durata del matrimonio.
Inoltre, i Giudici, seppur nell’impossibilità di assumere diverse iniziative, in assenza di una diversa normativa, pongono un’importante sottolineatura sulla necessità di una riforma dell’assegno di divorzio, del quale il legislatore ha già preso atto, così come risulta da diversi progetti di legge presentati in Parlamento, di diversi disegni di legge, in relazione alla questione oggetto di disamina da parte della Corte di Cassazione, anche sulla scorta di importanti contributi della dottrina in materia.
Un rapido intervento normativo, ad avviso dello scrivente, è quantomai necessario, al fine di adeguare la disciplina della solidarietà post coniugale all’attuale società ed ai nuovi modelli di famiglia, nonché ad avvicinare la legislazione nazionale a quella europea; vedremo se il legislatore coglierà lo stimolo offerto, in tal senso,dalla sentenza in commento.
Sezione: Sezioni Unite
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