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Concorso esterno: ne risponde il professionista che instaura con la consorteria un rapporto di reciproci vantaggi
Ludovica Cerino
La sentenza in commento trae origine dal ricorso proposto avverso un’ordinanza, emessa dal Tribunale del riesame di Reggio Calabria, di conferma dell’ordinanza di disposizione di custodia cautelare in carcere emanata dal GIP della medesima circoscrizione, nei confronti di T.S. indagato della fattispecie di cui agli artt. 110 e 416 bis, commi primo, secondo, terzo, quarto, quinto e sesto c.p.p.
Il provvedimento cautelare genetico veniva disposto in seguito ad una attività di indagine riguardante la sfera di operatività di una cosca ‘ndranghetistica. La stessa, storicamente presente nell’area rosarnese, era una delle cellule maggiormente rappresentative in Calabria ed operava sul territorio servendosi del metodo mafioso, avvalendosi della forza intimidatrice e del vincolo di omertà, configurando, così, il reato associativo di cui all’art. 416 bis c.p.
In tale contesto, sulla scorta delle indagini esperite, emergeva la figura del ricorrente, libero professionista, al quale veniva riconosciuto il ruolo di concorrente esterno della predetta associazione di stampo mafioso. Difatti, il Tribunale del riesame di Reggio Calabria aveva evidenziato come la consorteria si era infiltrata nel settore del trasporto di prodotti alimentari, arrivando ad ottenere un ruolo monopolistico nell’area calabrese, attraverso l’attività di intermediazione criminale agevolatrice del soggetto indagato.
Indi, l’indagato impugnava l’ordinanza dinanzi la Cassazione, fondando il proprio ricorso su due motivi. Il primo atteneva principalmente al compendio indiziario, ritenuto insufficiente, e censurava il mancato rispetto dei parametri ermeneutici affermati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di concorso esterno in associazione di tipo mafioso. Con il secondo motivo veniva sottolineata la contraddittorietà del compendio indiziario acquisito in fase di indagini preliminari. La Suprema Corte dichiarava il ricorso infondato per i motivi di cui di seguito.
In primo luogo, la Corte osservava come dall’ordinanza impugnata si desumesse che il coinvolgimento concorsuale dell’indagato nella fattispecie contestatagli in rubrica fosse corroborato da una serie di intercettazioni acquisite in fase di indagine, come già evidenziato dal Tribunale del riesame. Il contenuto di tali captazioni confermava, in modo inequivoco, l’assunto accusatorio; infatti si evinceva che il ricorrente aveva assunto un ruolo nella gestione del settore del trasporto di merci alimentari riconducibile all’associazione mafiosa summenzionata. Inoltre, gli esiti delle intercettazioni trovavano riscontro in ulteriore documentazione acquisita in fase preliminare, la quale confermava il ruolo di intermediazione svolto dall’indagato. Infine, quanto dedotto dalle captazioni, veniva corroborato da dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia.
Orbene, ritenuto esaustivo ed incontroverso il compendio indiziario, i giudici di legittimità richiamavano un principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite, secondo cui: “In tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità[1]”. L’obiettivo era, dunque, circoscrive l’ambito di intervento del giudice di legittimità in materia di ermeneutica processuale, in particolare in relazione alle operazioni già compiute dai giudici cautelari.
Il tema più rilevante su cui si pronunciavano i giudici attiene alla figura del concorrente esterno e all’accertamento della sussistenza della prova del rapporto di contiguità concorsuale.
In via preliminare, si ritiene opportuno effettuare una breve disamina diacronica degli arresti giurisprudenziali più rilevanti in materia di concorso esterno[2].
Con la sentenza Demitry del 1994, le Sezioni Unite affermavano, per la prima volta, la configurabilità della fattispecie de qua, individuando il concorrente esterno ovvero il c.d. extraneus, quale soggetto non affiliato organicamente alla struttura del sodalizio ma che fornisce un contributo tale da consentire all’associazione di mantenersi in vita nei momenti di “fibrillazione”. Secondo tale impostazione, è sufficiente ad integrare il concorso esterno anche una mera disponibilità manifestata ex ante.
Successivamente, le Sezioni Unite si pronunciavano con la sentenza Carnevale nel 2002, anch’essa di pregevole rilevanza, con la quale “spezzavano” il legame fra il concorso esterno e la fase patologica della vita dell’associazione, collegando la condotta dell’extraneus ad una gamma di eventi più ampia, comprensiva altresì della conservazione e del rafforzamento dell’associazione.
A distanza di pochi anni, la Corte riunita - con la sentenza Mannino - tornava sul tema della configurabilità del concorso esterno in associazione mafiosa, delineando nuovi parametri di riferimento, innanzitutto in materia di casualità. Sanciva, infatti, che il combinato disposto di cui agli artt. 110 – 416 bis c.p. poteva applicarsi solo quando veniva accertato mediante un giudizio ex post, avente alla base “massime di esperienza di empirica plausibilità”, che la condotta del concorrente aveva inciso significativamente ed effettivamente sulla capacità operativa dell’organizzazione criminale, essendone derivati vantaggi o utilità per la stessa. In questo modo, i giudici supremi plasmavano in via definitiva il concorso esterno come reato di evento e fattispecie casualmente orientata, affermando la configurabilità del concorso eventuale in fattispecie plurisoggettiva necessaria.
Pertanto, può definirsi concorrente esterno : «il soggetto che, non inserito stabilmente nella struttura organizzativa dell'associazione mafiosa e privo dell’affectio societatis (…), fornisce tuttavia un concreto, specifico, consapevole e volontario contributo, sempre che questo abbia un'effettiva rilevanza causale ai fini della conservazione o del rafforzamento delle capacità operative dell'associazione [...] e sia comunque diretto alla realizzazione, anche parziale, del programma criminoso della medesima».
Con la pronuncia in commento, la Corte metteva in rilievo come il compendio probatorio posto alla base dell’ordinanza impugnata fosse pienamente rispettoso dell’orientamento consolidato in seno alla giurisprudenza di legittimità. Infatti, l’accertamento compiuto dal Tribunale della libertà di Reggio Calabria aveva consentito di individuare il contributo funzionale dell’indagato all’associazione mafiosa, sulla base di una congrua verifica probatoria, effettuata ex post sull’efficienza causale. L’oggetto della valutazione dell’atteggiamento di contiguità e del collegamento funzionale tra l’indagato libero professionista ed il sodalizio criminale consisteva nella verifica dell’adesione al progetto di controllo illecito del territorio - per il quale è indispensabile sussista il dolo specifico dell’extraneus - e dei vantaggi ed interessi economici riconducibili ad entrambi.
Secondo l’iter argomentativo seguito dalla Corte, la prova dell’esistenza del rapporto sinallagmatico tra l’indagato e la cosca ‘ndranghetistica emergeva chiaramente dalla solida cornice indiziaria, da cui si desumeva che il predetto, nella veste di libero professionista, aveva tratto notevoli benefici sia di carattere lavorativo, sia economico. L’attività di intermediazione, difatti, contribuiva certamente a rafforzare il sodalizio criminale ed il suo potere sul territorio, ma, al contempo, garantiva al professionista concorrente molteplici vantaggi. Questi venivano confermati dallo stesso indagato, come si evinceva dal contenuto di una delle intercettazioni registrate nel corso delle indagini preliminari, richiamato dalla pronuncia in commento.
Dunque, l’accertamento del rapporto sinallagmatico e di collusione professionale, presuppone la verifica dell’esistenza di un rapporto di cointeressi e reciprocità di vantaggi che, nel caso di specie, risultava senz’altro provata, nel rispetto dei parametri ermeneutici sanciti dalla sentenza Mannino.
I giudici di legittimità, infine, affermavano un importante principio di diritto, secondo cui: «il concorso esterno nell'associazione di tipo mafioso è configurabile nelle ipotesi in cui il concorrente è un libero professionista, che, pur non essendo inserito nella struttura organizzativa della consorteria, instaura con la stessa un rapporto sinallagmatico, incentrato su un sistema di reciproci vantaggi, economici e professionali, che non viene meno laddove, nell'ambito dell'intesa intervenuta tra i due soggetti, è consentito al soggetto attivo del reato lo svolgimento di un'attività di intermediazione criminale a favore di cosche alleate o federate con quella con cui si è instaurato il sinallagma mafioso».
L’interesse di tale precisazione si apprezza poiché si inserisce perfettamente nella realtà odierna.
Deve osservarsi come il fenomeno mafioso ponga le proprie radici nella società, pertanto, i sodalizi criminali si caratterizzano per la loro attitudine a creare reti di relazioni con il mondo sociale in cui si instaurano, traendone un grande rafforzamento. Il concorrente esterno entra in rapporto con l’associazione mafiosa in virtù del proprio ruolo sociale o economico e, strumentalizzando la propria funzione, contribuisce al suo consolidamento.
In conclusione, i giudici di legittimità, con la pronuncia in esame, hanno precisato che anche un libero professionista, mediante lo sfruttamento della propria funzione, può assumere la veste di concorrente esterno, aprendo una cornice su una realtà sempre più diffusa e radicata nel nostro territorio.
[1] Cass. Sez. Un., 26 febbraio 2015, n. 22741.
[2] Cfr. Sez. Un.,5 ottobre 1994, n. 16, Demitry; Sez. Un., 30 ottobre 2002, n. 22327, Carnevale; Sez. Un., 12 luglio 2005, n. 33748, Mannino.
Sezione: Sezione Semplice
(Cass. Pen., Sez. I, 7 marzo 2022, n. 8123)
Stralcio a cura di Ilaria Romano
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