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Concorso in omicidio: irrilevante l´individuazione dell´esecutore

Ludovica Cerino

(Cass. Pen., Sez. I, 16 aprile 2020, n. 12309)

“4.2. (…) la Corte territoriale, pur riconoscendo l’indiscutibilità del principio affermato dalla pronuncia (…) Sez. U, n. 45276 del 30/10/2003, P.G., (…) relativa in modo specifico al concorso morale del mandante di un omicidio (…), rileva che in tema di concorso di persone nel reato, la volontà di concorrere non presuppone necessariamente un previo accordo o, comunque, la reciproca consapevolezza del concorso altrui, essendo sufficiente che la coscienza del contributo fornito all’altrui condotta esista unilateralmente, e che essa può indifferentemente manifestarsi o come previo concerto o come intesa istantanea ovvero come semplice adesione all’opera di un altro che rimane ignaro, richiamando, in tal modo, il principio altrettanto indiscutibile stabilito da Sez. U, n. 31 del 22/11/2000 – dep. 03/05/2001 (…) e ribadito da una serie di pronunce successive di questa Corte (…). Osserva, quindi, detta Corte: – che “può anche restare incerto chi, dei due imputati, che sono accusati di avere commesso un omicidio in concorso, lo abbia materialmente commesso, posto che sia accertato che è stata solo una persona a compiere l’azione tipica, ed essendo altresì certo che erano entrambi presenti sul luogo e al momento della consumazione del delitto, e in posizione utile, per l’estrema prossimità alla vittima”; – che “tale incertezza non esclude ed è compatibile con la possibilità che sia raggiunta la prova certa che chi ha materialmente commesso l’omicidio, abbia agito in esecuzione di un previo o contestuale accordo – anche nella forma dell’intesa istantanea – e nella consapevolezza di poter contare sul pieno appoggio del proprio sodale e quindi abbia agito con una determinazione che traeva anche dalla sola presenza fisica del complice ragione concreta di consolidamento e di rafforzamento, sotto il profilo di un maggior stimolo all’azione o anche solo di un maggior senso di sicurezza nella propria condotta”; – che “di contro chi dei due non sia autore dell’azione materiale del­l’azione delittuosa, nondimeno abbia concorso moralmente alla realizzazione del delitto con la sua presenza, in quanto motivata da un previo accordo o comunque correlata a una precedente manifestazione della volontà di commettere il delitto, e [continua ..]

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Nota di Ludovica Cerino

La sentenza in commento trae origine da un ricorso per Cassazione proposto avverso la pronuncia della Corte distrettuale con la quale i giudici di merito hanno condannato, in accordo con quanto disposto in primo grado, alla pena detentiva di anni ventisette e anni trenta i due imputati principali poiché riconosciuti colpevoli di concorso in omicidio, dei reati connessi di detenzione e porto in luogo pubblico di arma da sparo e del reato di distruzione di cadavere. È stato altresì condannato ad anni quattro il terzo soggetto, imputato del delitto di incendio colposo e favoreggiamento, riconosciuto colpevole di aver cagionato l’incendio del luogo in cui è stato consumato l’omicidio ad opera degli altri imputati e di averli aiutati a eludere le indagini. La prima sezione penale della Cassazione ha rigettato i ricorsi proposti dai primi due imputati e ha dichiarato inammissibile quello presentato dal terzo. I numerosi motivi dedotti dalle parti attengono principalmente al quadro probatorio su cui le pronunce di merito hanno posto le basi e che, seppur infondati, hanno offerto uno spunto al Supremo Collegio per pronunciarsi su delle rilevanti questioni di diritto. La Corte di legittimità ha innanzitutto affrontato una questione di carattere processuale, relativa alla contestata utilizzabilità delle deposizioni rese da alcuni parenti della vittima in qualità di testimoni anziché di indagati per reato connesso, siccome al contempo erano stati sottoposti ad indagini per il reato di false informazioni al Pubblico Ministero per un altro procedimento. Tuttavia quest’ultimo viene giudicato come separato, prima dalla Corte territoriale e successivamente dalla Cassazione, dal momento che l’unico punto di contatto con il presente processo è rinvenibile nel fatto che «la prova dei reati che ne sono oggetto deriva, almeno in parte, da una stessa fonte». Le Corti hanno posto in evidenza come tale ipotesi esuli assolutamente dal perimetro di applicazione dell’art. 371, comma 2, lett. b), c.p.p. e che debba pertanto essere esclusa l’incompatibilità a testimoniare prevista dall’art. 210 c.p.p. A sostegno di tale scelta la Corte di legittimità richiama numerose pronunce precedenti[1], in base alla quale le dichiarazioni inutilizzabili sono quelle rese da un soggetto indagato per un reato che sia in un rapporto di connessione probatoria con quello [continua ..]

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