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Contratto preliminare: non è vessatoria la clausola che subordina l´efficacia della pattuizione ad un evento futuro e incerto
Vito Quaglietta
In data 5 agosto 2022, la II Sezione civile della Corte di Cassazione, ha emesso l’ordinanza n. 24318, risolvendo l’annosa questione relativa all’inquadramento giuridico di una clausola contrattuale che condizioni il perfezionamento del contratto al verificarsi di un evento futuro e incerto. La Corte ha quindi vagliato la possibilità di ricondurre tale clausola ad un diritto di recesso (ai sensi 1373 c.c.) ovvero ad una condizione sospensiva o risolutiva (ai sensi 1353 c.c.).
La pronuncia in questione trae origine dalla vicenda processuale che può essere come di seguito riassunta. Il promissario acquirente citava innanzi al Tribunale di Roma il promittente alienante, chiedendo l’accertamento della natura vessatoria di una clausola del contratto preliminare di vendita di cosa futura.
Tale clausola stabiliva che il contratto avrebbe dovuto ritenersi nullo, rectius inefficace, nel caso in cui il promittente alienante non avesse ottenuto entro le tempistiche stabilite le autorizzazioni necessarie, con contestuale rinuncia del promissario acquirente ad agire, nei confronti del promittente alienante, per ottenere il risarcimento degli eventuali danni che sarebbero potuti derivare dalla mancata vendita dell'immobile.
In considerazione del fatto che la clausola in esame era stata unilateralmente redatta dal contraente forte – i.e. il promittente alienante – senza possibilità di contrattazione per il contraente debole – i.e. il promittente acquirente, i Giudici di merito ritenevano che la clausola avesse previsto un diritto di recesso in capo al promittente alienante. Ciò avrebbe comportato una limitazione di responsabilità, che avrebbe consentito di qualificare la clausola come vessatoria ai sensi dell’articolo 1341, co. 2, cc.
Di conseguenza, tanto il Giudice del primo grado, quanto la Corte territoriale, avevano ritenuto pienamente valido ed efficace il contratto, circoscrivendo la nullità alla sola clausola, per mancanza di duplice sottoscrizione da parte del promittente acquirente (per come richiesta dall’art. 1341 c.c.).
Il promissario acquirente, soccombente nel giudizio di appello, ricorreva quindi per Cassazione, affidando il proprio ricorso a cinque motivi di gravame.
In particolare, con il quarto motivo, il ricorrente deduceva la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1367, 1353 e 1373 c.c. in relazione all’art. 360 co. 1, n.3 c.p.c. Con tale censura il ricorrente deduceva l’erronea interpretazione della clausola contrattuale da parte della Corte di appello, per aver ritenuto la stessa prevedere un diritto di recesso in favore del promittente alienante. Al contrario, secondo il ricorrente, la clausola avrebbe previsto una condizione sospensiva o risolutiva.
La Suprema Corte, in accoglimento del suddetto motivo di gravame, ha ritenuto che la Corte territoriale non corrispondente al contenuto letterale del contratto.
Secondo il ragionamento seguito dai giudici di legittimità, il riconoscimento, in favore di una delle parti, dello ius poenitendi, ai sensi dell'articolo 1373 c.c., inserirebbe nel contratto un diritto potestativo. Tale diritto sarebbe da individuarsi nella possibilità per la parte di recedere dal contratto ad nutum. Una simile previsione, prosegue la Corte, sarebbe per definizione ontologicamente diversa da una condizione risolutiva, in cui l’efficacia del contratto è subordinata al verificarsi di un evento futuro ed incerto, essendo “intrinsecamente contraddittoria la qualificazione in termini di recesso di una previsione contrattuale che subordini lo scioglimento del negozio alla mancata verificazione di un determinato evento ad una certa data".
In definitiva, la Suprema Corte ha chiarito che l’inserimento, in un contratto preliminare di compravendita, di una clausola che preveda la risoluzione ipso iure del contratto nel caso in cui non si verifichi un fatto non dipendente dalla volontà delle parti, debba qualificarsi come condizione risolutiva propria[1].
Infatti, l’assenza nella clausola di un qualsivoglia riferimento alla possibilità per il contraente di sciogliersi dal contratto e, prevedendo al contempo l’inefficacia dello stesso nell’ipotesi di mancato avveramento di un evento futuro ed incerto, secondo la Corte, non può portare a ritenere che si tratti
dell'attribuzione ad una delle parti della facoltà di recesso subordinata ad un avvenimento futuro ed incerto. Al contrario, tale circostanza, confermerebbe la natura di condizione risolutiva della clausola in esame.
Alla luce delle argomentazioni sopra riportate, gli ermellini hanno quindi escluso che la clausola in questione potesse rientrare nel novero delle clausole vessatorie di cui all'articolo 1341, secondo comma, c.c. Tale conclusione sarebbe ulteriormente confortata non solo dalla mancata previsione di un diritto di recesso, ma anche dal riferimento all'esclusione del diritto al risarcimento dei danni in favore del promissario acquirente, ove il preliminare si fosse sciolto per il mancato avveramento dell'evento futuro e incerto entro la data indicata.
In conclusione, la sentenza della Suprema Corte qui brevemente analizzata rappresenta un fondamentale tassello per gli operatori del diritto che quotidianamente sono chiamati ad interpretare clausole di tale portata. Il ragionamento logico-giuridico espresso dalla Corte di Cassazione ha dunque ribadito, ove mai necessario, l’importanza prioritaria del dato letterale del contratto, dovendo i giudici di merito interpretare la comune volontà delle parti in modo più conforme possibile al testo contrattuale.
[1] V. Cass. Civ. Sez. II, n. 21215 del 27 agosto del 2018; Cass. Civ. Sez. II n.22310 del 30 settembre del 2013; Cass. Civ. Sez. II n. 17181 del 24 giugno del 2008.
Sezione: Sezione Semplice
(Cass. Civ., Sez. II, 5 agosto 2022, n. 24318)
stralcio a cura di Giulia Solenni
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