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Diniego del permesso di soggiorno per grave pericolosità sociale e bilanciamento con le esigenze familiari
Alessandra Coppola.
Con sentenza n. 4211 del 26 maggio 2022, il Consiglio di Stato si è pronunciato in ordine alla legittimità di un provvedimento di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato, presentata da un cittadino straniero condannato alcuni anni prima con sentenza divenuta irrevocabile, parzialmente riformata in appello, per il reato continuato di atti sessuali con minori degli anni quattordici previsto dagli artt. 81, 609-quater, co. 1, n. 1 e 609-septies, co. 4, n. 2 c.p.
La Terza Sezione del Supremo Consesso di Giustizia amministrativa, aderendo al consolidato orientamento della giurisprudenza della medesima Sezione in base al quale “solo se sussistono vincoli familiari il Questore deve operare il bilanciamento tra gli opposti interessi alla tutela della pubblica sicurezza e alla vita familiare del cittadino straniero”, con la precisazione che “in particolari casi, connotati da condanne penali per reati di notevole gravità ed allarme sociale, l’obbligo di motivazione sul bilanciamento (con legami familiari) può essere basato anche sulla gravità del reato” senza che sia necessario spiegare perché gli interessi familiari siano stati considerati subvalenti rispetto alla sicurezza dello Stato, confermava la sentenza del Tar e concludeva per la legittimità dell’impugnato provvedimento questorile.
Al fine di meglio comprendere la pronuncia in esame, non può prescindersi dall’illustrare brevemente il quadro normativo di riferimento, nonché le coordinate ermeneutiche tracciate dalla giurisprudenza amministrativa in materia di permesso di soggiorno allo straniero condannato per alcuno dei reati precipuamente previsti dal T.U. immigrazione.
Orbene, l’art. 4, co. 3 del D.lgs. n. 286 del 1998, così come modificato dall’art. 4, co. 1, lett. b) della legge del 30 luglio 2002, n. 189, rubricato “Ingresso nel territorio dello Stato”, dispone che non è ammesso in Italia lo straniero “[…] che sia considerato una minaccia per l’ordine pubblico e la sicurezza dello Stato […] o che risulti condannato, anche con sentenza non definitiva, compresa quella adottata a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per reati previsti dall’art. 380 commi 1 e 2 del codice di procedura penale ovvero per reati inerenti gli stupefacenti, la libertà sessuale […]”.
Va soggiunto che l’art. 5, comma 5 del medesimo testo normativo, stabilisce che “il permesso di soggiorno o suo rinnovo sono rifiutati e, se il permesso di soggiorno è stato rilasciato, esso è revocato, quando mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti per l’ingresso e il soggiorno dello straniero nel territorio dello Stato, fatto salvo quanto previsto dall’art. 22, co. 9, e sempre che non siano sopraggiunti nuovi elementi che ne consentano il rilascio e che non si tratti di irregolarità amministrative sanabili”.
Per quanto di interesse in tal sede, è d’uopo precisare che l’ultimo periodo dell’articolo pocanzi citato specifica che “nell’adottare il provvedimento di rifiuto del rilascio, di revoca o di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare ovvero del familiare ricongiunto, ai sensi dell’art. 29, si tiene anche conto della natura e dell’effettività dei vincoli familiari dell’interessato e dell’esistenza di legami familiari e sociali con il suo Paese d’origine, nonché, per lo straniero già presente sul territorio nazionale, anche della durata del suo soggiorno nel medesimo territorio nazionale”.
Tanto premesso, va subito rilevato che la giurisprudenza amministrativa è oramai consolidata nel giudicare legittimo l’automatismo espulsivo derivante dalla pregressa condanna per uno dei reati ostativi tassativamente previsti dall’art. 380, co. 1 e 2 del codice di procedura penale. Invero, la commissione di uno dei reati de quibus, caratterizzati da particolare gravità e allarme sociale, preclude la permanenza in Italia per una scelta operata a monte dal legislatore, senza che sia quindi necessario l’accertamento in concreto della pericolosità sociale del cittadino straniero, né la valutazione del suo grado di integrazione nel contesto sociale italiano (ex plurimis Cons. St., Sez. III, 6 novembre 2019, n. 7582).
L’unica eccezione all’operatività dell’automatismo anzidetto è costituita dalla sussistenza di eventuali legami familiari del “richiedente-condannato” con soggetti residenti in Italia. In particolare, rilevato che con sentenza del 18 luglio 2013, n. 202 la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 5, co. 5 del d.lgs. n. 286/1998, nella parte in cui prevede che la valutazione discrezionale in esso stabilita si applichi solo allo straniero che “ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare” o al “familiare ricongiunto”, e non anche allo straniero “che abbia legami familiari nel territorio dello Stato”, in tali ipotesi, pur in presenza di condanne penali, al fine di rilascio del permesso per soggiornanti di lungo periodo ex art. 9 del d.lgs. n. 286/98, si impone una valutazione comparativa discrezionale dell’interesse alla sicurezza pubblica e di quello dello straniero alla tutela dei propri rapporti familiari, unitamente ad ulteriori elementi quali la durata del soggiorno e l’inserimento sociale e lavorativo dell’istante (ex multis Cons. St., sez, III, 13 novembre 2020, n. 7028).
Quindi, per riassumere, “solo se sussistono vincoli familiari il Questore deve operare il bilanciamento tra gli opposti interessi alla tutela della pubblica sicurezza e alla vita familiare del cittadino straniero, ai sensi dell’art. 5, co. 5, ultimo periodo, d.lgs. n. 286 del 1998 […] e nell’adottare il provvedimento di rifiuto del rilascio, di revoca o di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare, del familiare ricongiunto, ovvero dello straniero che abbia legami familiari nel territorio dello Stato[…], si tiene anche conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell’interessato e dell’esistenza di legami familiari e sociali con il suo Paese d’origine, nonché, per lo straniero già presente sul territorio nazionale, anche della durata del suo soggiorno nel medesimo territorio nazionale”.
Si soggiunga che, nell’aderire all’orientamento pocanzi illustrato, il Consiglio di Stato ha, tuttavia, precisato che “la formazione sul territorio italiano non può costituire scudo o garanzia assoluta di immunità dal rischio di revoca o diniego di rinnovo del permesso di soggiorno, ossia del titolo in base al quale lo straniero può trattenersi sul territorio italiano”. Piuttosto, soltanto in via eccezionale e a precipua tutela dei minori “il Tribunale per i minorenni, per gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico e tenuto conto dell’età e delle condizioni di salute del minore che si trova nel territorio italiano, può autorizzare l’ingresso o la permanenza del familiare, per un periodo di tempo determinato […]”(così la sentenza in commento).
Riconoscendo assolto l’onus motivazionale da parte del Questore, la Terza Sezione del Consiglio di Stato, nella sentenza in commento, ha precisato che comunque, in presenza di condanne per reati di particolare gravità, non è necessario, ai fini del diniego, spiegare nel dettaglio il perché gli interessi familiari siano stati riconosciuti subvalenti rispetto alla sicurezza dello Stato.
E’, invero, orientamento costante nella giurisprudenza amministrativa quello secondo cui “in particolari casi, connotati da condanne penali per reati di notevole gravità ed allarme sociale, l’obbligo di motivazione sul bilanciamento (con i legami familiari) può essere basato anche sulla gravità del reato, sussistendo una soglia di gravità oltre la quale il comportamento criminale essendo oggettivamente intollerabile per il paese ospitante, non può mai bilanciarsi con quello privato alla vita familiare” (ex multis Cons. St., sez. III, 29 marzo 2019, n. 2083).
Più di precipuo, talune fattispecie di reato (tra cui indubbiamente figura quella di atti sessuali con minori di anni quattordici), considerata la tipologia e la gravità del reato commesso, risultano incompatibili “non solo con i valori fondanti della nostra Comunità nazionale, ma anche con l’interesse alla stabilità del nucleo familiare interessato, in quanto in questo caso la valutazione di pericolosità sociale dell’appellato risulta essere stata adeguatamente riferita alla condanna per fatti che risultano gravemente contrastanti con il principio fondamentale sancito dall’art. 2 della Costituzione, che impone alla Repubblica di garantire i diritti inviolabili della persona sia come singolo, sia nelle formazioni sociali –come il nucleo familiare- in cui svolge la propria personalità […]” (Cons. St., sez. III, 29 novembre 2019, n. 8175).
Del resto, è proprio “nell’interesse familiare, ed in particolare l’esigenza di garantire i diritti inviolabili delle altre persone componenti il nucleo familiare ai sensi del citato art. 2 Cost. a rafforzare ed imporre un ancora più tempestivo intervento della Repubblica italiana, al fine di allontanare l’autore di reati incompatibili con le ragioni fondanti della nostra Repubblica sia dalla Comunità nazionale, sia dalle altre persone del nucleo familiare già lese o potenzialmente messe in pericolo dal medesimo soggetto” (Cons. St., sez. III, 29 novembre 2019, n. 8175).
Sezione: Consiglio di Stato
(Cons. St., sez. III, 26 maggio 2022, n. 4211)
Stralcio a cura di Davide Gambetta
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