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Doppio binario sanzionatorio: nessuna violazione del ne bis in idem se i due procedimenti sono temporalmente e sostanzialmente connessi
Nota di Giulio Baffa
Con la sentenza che qui si annota, la Corte di Cassazione è tornata a confrontarsi sulla tenuta sistematica, rispetto al principio del ne bis in idem, dei cc.dd. doppi binari sanzionatori (lato sensu intesi), riferendosi con tale espressione a tutti quei settori della legislazione penale (quali, a titolo meramente esemplificativo, il settore degli abusi di mercato e dei reati tributari) caratterizzati dalla presenza tanto di sanzioni penali, quanto di sanzioni amministrative, spesso per fatti illeciti identici o, comunque, sostanzialmente sovrapponibili.
Più nel dettaglio, nel caso di specie, il ricorrente invocava, in sede di procedimento penale, il divieto di doppia incriminazione per fatti per i quali era già intervenuta una sanzione amministrativo-tributaria di natura sostanzialmente penale, secondo la nozione autonoma di “materia penale”, nozione sostanzialistico-funzionale elaborata dalla Corte di Strasburgo.
Nel dichiarare infondato il ricorso, i giudici di legittimità ripercorrono gli approdi giurisprudenziali tanto delle Corti sovranazionali, quanto delle Corti interne.
Muovendo dai cc.dd. Engel criteria – sulla cui “afferrabilità” si potrebbe quantomeno discutere – la Corte Edu infatti ha da tempo attratto le sanzioni amministrative punitive nella materia penale, giungendo di conseguenza ad applicare quel “catalogo” di garanzie, previste dalla Convenzione per le sanzioni criminali in senso stretto, a sanzioni non qualificate formalmente come penali nel singolo ordinamento nazionale, ma che si rivelino sostanzialmente tali: ci si riferisce, in particolare, alle garanzie di cui all’art. 7 Cedu (principio di legalità e di irretroattività della legge sfavorevole/retroattività della lex mitior), all’art. 6 Cedu (principio del giusto processo) e, appunto, all’art. 4, prot. 7, Cedu (principio del ne bis in idem).
La perentorietà delle statuizioni della sentenza della Corte Edu sul caso Grande Stevens, che si erano abbattute sulla disciplina sanzionatoria delle manipolazioni di mercato come un “ciclone”, capace di travolgere anche altri settori della legislazione penale speciale, sembra tuttavia subire un brusco temperamento con la sentenza A&B contro Norvegia. In quest’ultima occasione, i Giudici di Strasburgo ebbero a dichiarare che la presenza di un sistema sanzionatorio “complesso”, in cui è prevista tanto l’applicazione di sanzioni penali, quanto di sanzioni amministrative, non determina per ciò solo una violazione del principio del ne bis in idem. Invero, l’art. 4, prot. 7 Cedu non varrebbe ad escludere la possibilità per un ordinamento nazionale di apprestare un sistema di tutela contro condotte illecite che si snodi attraverso distinti procedimenti di accertamento della responsabilità, purché la risposta sanzionatoria, derivante dal cumulo di tali procedimenti, non comporti un sacrificio eccessivo per l’interessato e risulti nel complesso prevedibile. E ciò avviene allorquando tra i due procedimenti sia possibile riscontrare una connessione talmente stretta che gli stessi, sostanzialmente, si comportano come se fossero un procedimento unitario e, cioè, quando tra i due procedimenti sussista una connessione sufficientemente stretta sul piano sostanziale e temporale («a sufficiently close connection in substance and time»). La Corte sovrannazionale si preoccupa quindi di individuare gli indici alla stregua dei quali poter desumere questa connessione: (1) i due procedimenti perseguono scopi “complementari”, perché riguardano profili diversi della medesima condotta; (2) la duplicità dei procedimenti è una conseguenza “prevedibile” della condotta illecita; (3) i due procedimenti sono condotti in maniera coordinata, in modo da evitare una duplicazione nella raccolta e nella valutazione del materiale probatorio; (4) la sanzione applicata nel procedimento conclusosi per primo è tenuta in considerazione nell’altro procedimento, di modo che la risposta sanzionatoria “complessiva” non risulti sproporzionata.
Sul versante del diritto eurounitario, il necessario riferimento normativo è invece costituito dall’art. 50 CDFUE.
La medesima linea di tendenza tracciata da Strasburgo con A&B contro Norvegia, volta in un certo senso a “ridimensionare” la perentorietà delle conclusioni che sembrano dovessero trarsi dalla sentenza Grande Stevens, è stata percorsa, poi, dalle pronunce della Corte di Giustizia sui casi Merci, Garlsson Real Estate e Di Puma-Zecca del 20 marzo 2018. In queste occasioni, la Corte eurounitaria precisa le condizioni in presenza delle quali possa ritenersi legittimo, ai sensi dell’art. 50, primo paragrafo, CDFUE, il cumulo di sanzioni/procedimenti.
Tornando al caso di specie, i Giudici di legittimità, dopo aver richiamato le letture offerte dalla Corte costituzionale sul principio del ne bis in idem in relazione a quei settori della legislazione penale speciale caratterizzati dalla coesistenza, per i medesimi fatti, tanto di sanzioni amministrative, quanto di sanzioni penali e senza alcuna soluzione di continuità rispetto ai propri precedenti giurisprudenziali, confermano il rigore di quel test di “a sufficiently close connection in substance and time”, condotto nel giudizio di appello. In particolare, i giudici del merito ben avrebbero motivato in ordine (1) alla sussistenza di una connessione sostanziale e temporale sufficientemente stretta tra il procedimento amministrativo e quello penale, considerando che l’avviso di accertamento dell’illecito tributario e quello di conclusione delle indagini preliminari furono notificativi nell’arco temporale di una decade; (2) alla insussistenza di ogni duplicazione probatoria, considerando che l’accertamento eseguito in sede tributaria è sostanzialmente confluito nel giudizio penale; (3) alla proporzionalità della pena “complessivamente” inflitta, considerando che nel procedimento amministrativo la sanzione è stata applicata nella misura minima e che nel procedimento penale, oltre alla circostanza attenuante ex art. 13-bis D.lgs. n. 74 del 2000 e alla mancata applicazione delle pene accessorie, sono stati riconosciuti i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione nel casellario giudiziario; (4) e, infine, alla prevedibilità del sistema del doppio binario sanzionatorio de quo, considerando che la legislazione italiana espressamente stabilisce la sanzionabilità dei fatti di dichiarazione infedele tanto in via amministrativa (art. 13, comma 1, D.lgs. n. 471 del 1997), quanto in via penale (art. 4 D.lgs. n. 74 del 2000).
In definitiva – si legge nel punto 4.3. del Considerato in diritto – «il sistema del “doppio binario” è giustificato dalla rilevanza degli interessi nazionali e dalla diversità dei fini perseguiti dalle due procedure: mentre il procedimento amministrativo è volto al recupero a tassazione delle imposte non versate, il procedimento penale è teso alla prevenzione e alla repressione dei reati in materia tributaria. In altri termini, la minaccia di una sanzione detentiva per condotte particolarmente allarmanti (essendo previste soglie di punibilità), in aggiunta a una sanzione amministrativa pecuniaria, persegue, infatti, legittimi scopi di rafforzare l’effetto deterrente spiegato dalla mera previsione di quest’ultima, di esprimere la ferma riprovazione dell’ordinamento a fronte di condotte gravemente pregiudizievoli per gli interessi finanziari nazionali ed Europei, nonché di assicurare ex post l’effettiva riscossione degli importi evasi da parte dell'amministrazione grazie ai meccanismi premiali connessi all'integrale saldo del debito tributario».
Sezione: Sezione Semplice
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