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Esercizio arbitrario delle proprie ragioni: incompatibile la scriminante dell´esercizio di un diritto

Marina Albisinni

(Cass. Pen., Sez. VI, 17 febbraio 2020, n. 6226)

“3. (…) Deve rilevarsi che la Corte distrettuale ha correttamente preso in esame e disatteso le su esposte obiezioni difensive, uniformandosi ai principii al riguardo stabiliti da questa Suprema Corte (Sez. 6, n. 25262 del 21/02/2017, S., Rv. 270484), secondo cui in tema di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, non è applicabile la scriminante dell’esercizio del diritto in quanto la convinzione di esercitarlo costituisce essa stessa elemento costitutivo del delitto. È infatti irrilevante l’effettiva esistenza o la mera apparenza del diritto medesimo, tale da far credere all’agente di buona fede di poterla legittimamente realizzare, poiché il delitto de quo si consuma quando il preteso diritto viene fatto valere in modo antigiuridico (Sez. 3, n. 3966 del 21/09/2018, dep. 2019, Giardina, Rv. 275689). Privo di fondamento, dunque, deve ritenersi l’assunto basato sul presupposto secondo cui il convincimento dell’imputato di agire legittimamente nell’esercizio del suo diritto di tutelare il possesso di un passaggio da anni esercitato varrebbe ad escludere la sussistenza dell’elemento psicologico del reato contestato. Giova rammentare, sul punto, che il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni richiede, oltre il dolo generico, costituito dalla coscienza e volontà di farsi ragione da sé pur potendo ricorrere al giudice, anche quello specifico, rappresentato dall’intento di esercitare un preteso diritto nel ragionevole convincimento della sua legittimità. Il dolo del reato in esame, però, non può essere confuso con la buona fede circa l’opinata sussistenza del preteso diritto esercitato: buona fede che, lungi dall’essere inconciliabile con il dolo, costituisce un presupposto necessario della fattispecie incriminatrice in esame. Nella stessa struttura dell’art. 392 c.p., infatti, è insita la «pretesa di esercitare un diritto», con l’effetto che la sussistenza di una tale finalità, accompagnata dalla convinzione dell’agente, fondata o putativa, di vantare un diritto, costituisce elemento essenziale del reato e non causa di esclusione del dolo: è evidente, invero, che, ove l’agente avesse la coscienza dell’ingiustizia della sua pretesa (fosse cioè in mala fede quanto a quest’ultima), non agirebbe per fare ragione a sé medesimo, [continua ..]

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Nota di Marina Albisinni

La Suprema Corte di Cassazione ha affrontato la questione giuridica concernente l’operatività dell’autoreintegrazione nel possesso, quale causa speciale di giustificazione, con riguardo al reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni di cui all’art. 392 c.p. La vicenda da cui prende avvio la questione sottoposta all’attenzione dei giudici di legittimità si concentra sulla condotta di N.M., il quale è stato condannato per aver danneggiato un muro edificato su un’area di proprietà di C.B., al fine di esercitare un preteso diritto di passaggio, per poter accedere ad una stradella pedonale, che da molto tempo gli permetteva di raggiungere più agevolmente la sua abitazione. A fronte di ciò, il giudice di prime cure decideva di assolvere N.M. dal reato di cui all’art. 392 c.p. perché il fatto non costituisce reato, in quanto ritenuto posto in essere nell’esercizio del diritto. Di diverso avviso, la Corte di Appello riformava la sentenza di primo grado, disponendo la condanna al risarcimento dei danni nei confronti della parte civile. In particolare, la sentenza impugnata evidenziava taluni rilevanti aspetti fattuali, quali ad esempio: la possibilità per l’imputato di raggiungere ugualmente la sua abitazione nonostante la presenza del muro; la circostanza per cui l’imputato, resosi conto dello svolgimento di lavori manutentivi sul muro di cinta, avrebbe potuto prontamente rivolgersi alla proprietaria del fondo, al fine di trovare un accordo ovvero, in caso contrario, esperire gli strumenti previsti dall’ordinamento al fine ottenere giustizia. Orbene, la difesa di N.M. decideva di impugnare la sentenza, con ricorso per Cassazione, sulla base di plurime violazioni di legge e altrettanti vizi di motivazione, in relazione all’accertamento degli elementi costitutivi della responsabilità penale; in particolare, rilevava come l’azione realizzata nell’immediatezza dall’imputato, consistente nell’aver demolito una parte del muro di cinta, si sarebbe resa necessaria al fine di impedire la perdita del possesso, a fronte dell’atto di spoglio posto in essere ai suoi danni. La Suprema Corte, nel valutare il ricorso proposto dalla difesa di N.M., ha condiviso le motivazioni per cui i giudici di appello hanno provveduto a riformare la pronuncia di primo grado, ponendo in luce il principio secondo cui “in [continua ..]

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