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Giudicato silente e spazio regolativo lasciato vuoto

Domenico Ciaburri

(Cons. di Stato, sez. III, 7 luglio 2020, n. 4369)

“Innanzitutto, la petizione di principio sostenuta dall’INPS trova riscontro nella costante giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. Sez. Lavoro n. 17528/2002; 7556/2014; n. 27677/2011; n. 5419/2020) oltre che negli indirizzi di questa stessa sezione (Cons. Stato, sez. III, n. 1718/2018), né viene in alcun modo confutata da parte appellante. Si tratta della tesi secondo cui il beneficio di cui all’art. 13 cit. [della L. 257/92] assolve alla principale funzione di agevolare il conseguimento della pensione massima ai lavoratori esposti al cd “rischio amianto” ed è ottenibile solo da coloro che non abbiano raggiunto il massimo della prestazione conseguibile. 1.2. Quanto al giudicato civile del quale si chiede l’ottemperanza, deve escludersi che esso si sia formato sulla base di una interpretazione diversa da quella qui perorata dalla parte appellata. Tra le eccezioni di merito sollevate dall’INPS nel corso del giudizio civile ve ne era effettivamente una intesa a determinare il “numero di settimane massimo” da conteggiare quale limite invalicabile del montante contributivo [...]. Nondimeno, il giudice civile non si è espresso sul punto, trascurando del tutto la questione sollevata dall’INPS. La statuizione di condanna al pagamento delle differenze di trattamento conseguenti alla supervalutazione non contiene alcuna indicazione, neppure nella parte motivazionale, in ordine alle modalità di calcolo dell’anzianità contributiva e alla sua riconduzione entro i limiti ordinamentali. Non può quindi dirsi che la tematica sia stata affrontata e risolta [...] con un “implicito” riconoscimento del diritto al superamento del tetto contributivo. 1.3. Deve anche escludersi che la questione abbia costituito un passaggio logico pregiudiziale necessariamente implicato nel percorso argomentativo della traccia motivazionale, la quale risulta del tutto neutra rispetto alla tematica del limite contributivo. È pur vero, dunque, che il giudicato copre il dedotto e il deducibile in relazione al medesimo oggetto e, pertanto, riguarda non solo le ragioni giuridiche e di fatto esercitate in giudizio ma anche tutte le possibili questioni, proponibili in via di azione o eccezione, che, sebbene non dedotte specificamente, costituiscono precedenti logici, essenziali e necessari, della pronuncia; ciò nondimeno, la questione afferente al [continua ..]

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Nota di Domenico Ciaburri

Con la pronuncia in commento la terza sezione del Consiglio di Stato ha affrontato il problema delle modalità di esecuzione di una sentenza di merito passata in giudicato che non risolva expressis verbis alcune questioni rilevanti ai fini della concreta attuazione giudiziale della medesima, ritenendo che, in tal caso, debba essere attribuito alla stessa il significato maggiormente conforme all’ordinamento. Nel caso concreto il Supremo Consesso è stato chiamato ad ottemperare ad una pronuncia del giudice del lavoro che aveva riconosciuto ad un lavoratore esposto a inalazione di fibre di amianto, il beneficio della “supervalutazione” di cui all’art. 13, co. 8 l. 257/92, consistente nel riconoscimento di un’anzianità contributiva calcolata moltiplicando per il coefficiente di 1,5 gli anni lavorativi svolti sotto l’esposizione dell’agente patogeno. In esito a tale calcolo il lavoratore avrebbe ottenuto il riconoscimento di un’anzianità pensionistica pari a 52 anni, a fronte di un’anzianità contributiva valutabile secondo i criteri INPS al massimo in 36 anni. Il Consiglio di Stato ha pertanto dovuto stabilire se l’anzianità contributiva riconoscibile fosse effettivamente di 52 anni, come detto expressis verbis dal giudice ordinario, o se, diversamente, tale pronuncia andasse circoscritta entro i limiti posti dall’ordinamento e, pertanto, nel massimo dei 36 anni previsti come tetto massimo dall’INPS. La sentenza si sviluppa in tre fondamentali passaggi logici che è utile ripercorrere sia con riferimento alla questione generale dell’ottemperabilità del giudicato che lasci “spazi vuoti”, non espressamente regolati, sia con riferimento al caso specificamente trattato. In primo luogo, il Giudice Amministrativo ricorda che il ruolo svolto dal giudizio di ottemperanza è principalmente quello di eseguire la pronuncia emessa dal giudice della cognizione, la quale non può in alcun modo essere eseguita contro la sua ratio. In ossequio a tale principio deve ritenersi che il giudice dell’ottemperanza possa sì condurre operazioni interpretative e integrative della sentenza, ma solo per colmare gli spazi lasciati vuoti dal giudice della cognizione, non potendo invece operare alcuna integrazione del disposto di merito in contrasto con le statuizioni della pronuncia. Orbene, tali spazi vuoti, a [continua ..]

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