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Giudicato silente e spazio regolativo lasciato vuoto
Domenico Ciaburri
(Cons. di Stato, sez. III, 7 luglio 2020, n. 4369)
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Nota di Domenico Ciaburri
Con la pronuncia in commento la terza sezione del Consiglio di Stato ha affrontato il problema delle modalità di esecuzione di una sentenza di merito passata in giudicato che non risolva expressis verbis alcune questioni rilevanti ai fini della concreta attuazione giudiziale della medesima, ritenendo che, in tal caso, debba essere attribuito alla stessa il significato maggiormente conforme all’ordinamento. Nel caso concreto il Supremo Consesso è stato chiamato ad ottemperare ad una pronuncia del giudice del lavoro che aveva riconosciuto ad un lavoratore esposto a inalazione di fibre di amianto, il beneficio della “supervalutazione” di cui all’art. 13, co. 8 l. 257/92, consistente nel riconoscimento di un’anzianità contributiva calcolata moltiplicando per il coefficiente di 1,5 gli anni lavorativi svolti sotto l’esposizione dell’agente patogeno. In esito a tale calcolo il lavoratore avrebbe ottenuto il riconoscimento di un’anzianità pensionistica pari a 52 anni, a fronte di un’anzianità contributiva valutabile secondo i criteri INPS al massimo in 36 anni. Il Consiglio di Stato ha pertanto dovuto stabilire se l’anzianità contributiva riconoscibile fosse effettivamente di 52 anni, come detto expressis verbis dal giudice ordinario, o se, diversamente, tale pronuncia andasse circoscritta entro i limiti posti dall’ordinamento e, pertanto, nel massimo dei 36 anni previsti come tetto massimo dall’INPS. La sentenza si sviluppa in tre fondamentali passaggi logici che è utile ripercorrere sia con riferimento alla questione generale dell’ottemperabilità del giudicato che lasci “spazi vuoti”, non espressamente regolati, sia con riferimento al caso specificamente trattato. In primo luogo, il Giudice Amministrativo ricorda che il ruolo svolto dal giudizio di ottemperanza è principalmente quello di eseguire la pronuncia emessa dal giudice della cognizione, la quale non può in alcun modo essere eseguita contro la sua ratio. In ossequio a tale principio deve ritenersi che il giudice dell’ottemperanza possa sì condurre operazioni interpretative e integrative della sentenza, ma solo per colmare gli spazi lasciati vuoti dal giudice della cognizione, non potendo invece operare alcuna integrazione del disposto di merito in contrasto con le statuizioni della pronuncia. Orbene, tali spazi vuoti, a [continua ..]