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Il concetto di “partecipazione” nel reato di violenza sessuale di gruppo

Adriana Arcari

(Cass. Pen., Sez. III, 21 ottobre 2020, n. 29096)

“2.3. (…) Va ricordato che, ai fini della configurabilità del reato di violenza sessuale di gruppo, previsto dall’art. 609-octies c.p., è necessario che più persone riunite partecipino alla commissione del fatto, costituendo tale delitto una fattispecie autonoma di reato necessariamente plurisoggettivo proprio, consistente nella “partecipazione, da parte di più persone riunite, ad atti di violenza sessuale di cui all’art. 609 bis”, in cui la pluralità di agenti è richiesta come elemento costitutivo (…). La previsione di un trattamento sanzionatorio più grave si connette proprio al riconoscimento di un peculiare disvalore alla partecipazione simultanea di più persone, in quanto una tale condotta partecipativa imprime al fatto un grado di lesività più intenso sia rispetto alla maggiore capacità di intimidazione del soggetto passivo ed al pericolo della reiterazione di atti sessuali violenti (anche attraverso lo sviluppo e l’incremento di capacità criminali singole) sia rispetto ad una più odiosa violazione della libertà sessuale della vittima nella sua ineliminabile essenza di autodeterminazione. La contemporanea presenza di più di un aggressore è idonea a produrre, infatti, effetti fisici e psicologici particolari nella parte lesa, eliminandone o riducendone la forza di reazione. Non è tuttavia richiesto che tutti i componenti del gruppo compiano atti di violenza sessuale, essendo sufficiente che dal compartecipe sia comunque fornito un contributo causale, materiale o morale, alla commissione del reato, né è necessario che i componenti del gruppo assistano al compimento degli atti di violenza sessuale, essendo sufficiente la loro presenza nel luogo e nel momento in cui detti atti vengono compiuti, anche da uno solo dei compartecipi, atteso che la determinazione di quest’ultimo viene rafforzata dalla consapevolezza della presenza del gruppo (…). Il concetto di “partecipazione”, quindi, non può essere limitato nel senso di richiedere il compimento, da parte del singolo, di un’attività tipica di violenza sessuale (ciascun compartecipe, cioè, dovrebbe porre in essere, in tutto o in parte, la condotta descritta nell’art. 609-bis c.p.), dovendo invece – secondo un’interpretazione più aderente alle [continua ..]

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Nota di Adriana Arcari

La pronuncia trae le sue origini dalla decisione del Tribunale per i minorenni che rigettava l’istanza di riesame proposta nell’interesse dell’indagato avverso l’ordinanza con la quale gli era stata applicata la misura cautelare della custodia in un istituto penitenziario minorile per i reati di sequestro di persona e di violenza sessuale di gruppo. Avverso tale decisione, l’indagato proponeva ricorso per Cassazione, lamentando l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine a tali fattispecie delittuose. Il Tribunale aveva riconosciuto rilievo indiziario alle dichiarazioni rese dai correi, infraquattordicenni e, dunque, non imputabili. Secondo la difesa, tali dichiarazioni sarebbero inutilizzabili perché assunte in violazione degli artt. 350, 63 e 64 c.p.p. e senza l’osservanza del disposto ex art. 351 – ter c.p.p. che impone la presenza, durante l’esame, di un esperto di psicologia a tutela del minore. Le risultanze istruttorie, a dire del ricorrente, dimostravano solo “una presenza inerte” dello stesso sul luogo della violenza sessuale di gruppo, integrando, pertanto, l’ipotesi di una connivenza non punibile. Inoltre, la persona offesa aveva raccontato che tale violenza sarebbe stata filmata, ma sui cellulari dei quattro partecipanti non era stato rinvenuto alcun video. Con il secondo motivo di doglianza, il ricorrente deduceva che la motivazione dell’or­dinanza, riguardo la sussistenza delle esigenze cautelative, si risolveva nel mero riferimento alla gravità del reato, mediante l’impiego di clausole di stile, senza aver dato rilievo alla personalità dell’indagato. Gli Ermellini hanno giudicato inammissibile il ricorso. Secondo la Corte, l’ordinanza impugnata ha correttamente ravvisato gli estremi del reato di violenza sessuale di gruppo. Ricostruendo la tipicità del delitto in oggetto, la sentenza in esame ha ribadito l’orientamento giurisprudenziale secondo cui la condotta incriminata dall’art. 609 octies c.p. (“partecipazione, da parte di più persone riunite, ad atti di violenza sessuale”) non richiede che tutti i compartecipi compiano atti di violenza sessuale, e cioè che ciascun partecipe ponga in essere, in tutto o in parte, la condotta descritta nell’art. 609-bis c.p. Secondo l’interpretazione più aderente alle finalità perseguite dal [continua ..]

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