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Il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo
Eugenia Manescalchi
La questione sottoposta alla Suprema Corte attiene all’individuazione del giudice fornito di giurisdizione in tema di risarcimento danni da rilascio di attestazione comunale negativa in conseguenza di una erronea ricognizione dello stato dei luoghi. All’esito del giudizio di prime cure era stato ritenuto fornito di giurisdizione il giudice amministrativo, aderendo all’orientamento ermeneutico minoritario secondo cui la posizione giuridica soggettiva configurabile sarebbe di interesse legittimo pretensivo e che, pertanto, l’attestazione richiesta costituirebbe un atto a carattere valutativo e discrezionale; in particolare, la discrezionalità sarebbe riconducibile alla verifica sulla effettiva sussistenza dei presupposti e dei parametri di degrado. Altro argomento a sostegno di tale tesi sarebbe da rinvenirsi nel fatto che gli attori non erano ancora stati ammessi al contributo regionale dagli stessi richiesto. La Corte Di Appello, invece, aveva deciso il procedimento di secondo grado ritenendo fornito di giurisdizione il giudice ordinario, in quanto gli attori avevano prospettato un danno risarcibile per non aver potuto ottenere un finanziamento regionale.
Ricorre per la cassazione di detta sentenza l’Amministrazione comunale, deducendo ex art. 360, comma 1, n. 1, cpc, violazione delle norme sulla giurisdizione. Con sentenza n. 10105 del 14 aprile 2022 la Suprema Corte, afferma che il criterio basilare di riparto è costituito dal petitum sostanziale, “.. a sua volta identificabile non solo e non tanto in funzione della concreta pronuncia che si chiede al giudice, ma anche e soprattutto in funzione della causa petendi, ossia della intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio, ed individuata dal giudice con riguardo ai fatti allegati ed al rapporto giuridico del quale detti fatti costituiscono manifestazione” (preced. conf: Cass. SS.UU. n. 21928 del 07.09.2018). Nel caso di specie, il petitum non era ricollegabile al diniego di finanziamento, bensì ad un errore commesso dall’Amministrazione comunale.
Le Sezioni Unite, pertanto, nella sentenza oggetto del presente commento, qualificano la posizione giuridica soggettiva dei ricorrenti quale diritto soggettivo. In adesione alle osservazioni del Procuratore Generale, la Suprema Corte in definitiva ritiene che il provvedimento richiesto dagli originari attori all’Amministrazione comunale non implicava la comparazione di interessi pubblici e privati, quanto, piuttosto, la mera ricognizione dello stato dei luoghi. Si specifica, anzi, che detta ricognizione nel caso di specie costituiva atto dovuto e non il risultato di discrezionalità amministrativa e/o di comparazione autoritativa di interessi contrapposti.
I giudici di legittimità, in definitiva, nel risolvere il contrasto giurisprudenziale adottando una interpretazione di tipo sistematico, affermano il principio di diritto secondo cui “..deve ravvisarsi diritto soggettivo perfetto, quindi tutelato dal giudice ordinario, qualora la controversia attenga alla fase esecutiva del rapporto di sovvenzione ed all’inadempimento degli obblighi cui il provvedimento attributivo è subordinato”. Conformemente al precedente richiamato, si statuisce che la controversia rientra nella giurisdizione ordinaria atteso che ha contenuto meramente patrimoniale, senza che assuma rilievo né un potere di intervento della Pubblica Amministrazione a tutela di interessi generali, né sia coinvolto l’esercizio, da parte della medesima, di poteri discrezionali e/o valutativi.
Sezione: Sezioni Unite
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