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Impiego pubblico contrattualizzato: principio di non discriminazione e decorso del termine prescrizionale

Francesca Messina

Cass. civ., Sez, IV, 28 maggio 2020, n. 10219

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(…) Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della direttiva 1999/70/CE, assume, in sintesi, che il ricorso al contratto a termine nell’ambito scolastico risponde ad esigenze oggettive e temporanee e, pertanto, in assenza della necessaria continuità del rapporto, non può essere valorizzata a fini retributivi l’anzianità di servizio (…). Le considerazioni svolte nel primo motivo di ricorso prescindono dalle caratteristiche intrinseche delle mansioni e delle funzioni esercitate e fanno leva sulla natura non di ruolo del rapporto di impiego e sulla novità di ogni singolo contratto rispetto al precedente, già ritenuti dalla Corte di giustizia non idonei a giustificare la diversità di trattamento, nonché sulle modalità di reclutamento del personale nel settore scolastico e sulle esigenze che il sistema mira ad assicurare, ossia sulle ragioni oggettive che legittimano il ricorso al contratto a tempo determinato e che rilevano ai sensi della clausola 5 dell’Accordo quadro, da non confondere, per quanto sopra si è già detto, con le ragioni richiamate nella clausola 4, che attengono, invece, alle condizioni di lavoro che contraddistinguono i due tipi di rapporto in comparazione. Da un lato si è ritenuto che la domanda fondata sul principio di non discriminazione, volta ad ottenere il riconoscimento del diritto alla progressione economica prevista, in ragione dell’anzianità, per gli assunti a tempo indeterminato, abbia natura retributiva e soggiaccia, in quale tale, al termine quinquennale previsto dall’art. 2948, n. 4, c.c.; dall’altro che con la stessa si faccia valere una pretesa di natura risarcitoria, basata sulla violazione del diritto dell’Unione, e pertanto debbano valere i medesimi principi affermati da questa Corte, anche a Sezioni unite, in tema di responsabilità dello Stato conseguente alla mancata o tardiva attuazione di direttive eurounitarie, responsabilità che è stata qualificata di natura contrattuale e ritenuta soggetta al termine decennale di prescrizione (…). Non ritiene il Collegio che quest’ultima opzione interpretativa possa essere condivisa, in quanto l’orientamento citato opera nei casi in cui la norma comunitaria, preordinata ad attribuire diritti ai singoli, non sia dotata del carattere self-executing e, pertanto, occorre che il [continua ..]

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Nota di Francesca Messina

Con la sentenza n. 10219 del 28 maggio 2020 la quarta sezione della Corte di Cassazione ha respinto il ricorso presentato dal M.I.U.R. avverso la sentenza resa dal Tribunale di Pesaro, Sez. Lav., con la quale erano state accolte le domande dei ricorrenti, docenti assunti a termine, aventi ad oggetto il riconoscimento del diritto alla progressione economica stipendiale legata all’anzianità di servizio, prevista e riconosciuta dalla contrattazione collettiva per i lavoratori comparabili assunti con contratto a tempo indeterminato. La questione trae origine dalla disciplina prevista dalla contrattazione collettiva applicata al rapporto di lavoro che equipara sotto molteplici aspetti contrattuali – ferie; festività; permessi; congedi ordinari e straordinari; malattia; aspettativa; maternità – i lavoratori assunti a tempo indeterminato a quelli assunti a tempo determinato eccezion fatta, tuttavia, per gli aspetti retributivi e per l’anzianità di servizio. A giudizio della Corte l’impugnata sentenza risulta, invece, conforme ad un orientamento consolidatosi a partire dal 2016, con le pronunce nn. 22558 e 23868, in virtù del quale a mente della clausola 4 dell’Accordo Quadro sul rapporto a tempo determinato – recepito dalla Direttiva 1999/70/CE – nell’ambito del settore scolastico, deve essere riconosciuto anche al personale a termine, a parità di anzianità di servizio, la medesima progressione stipendiale prevista dal ccnl di categoria per i dipendenti a tempo indeterminato, con conseguente obbligo di disapplicazione delle disposizioni della normazione collettiva che dispongano in pejus ovvero trattamenti meno favorevoli. Eventuali diversificazioni di trattamento possono risultare ammissibili solo in presenza di una giustificazione di carattere oggettivo ossia fondata su criteri concreti di differenziazione connessi alle modalità di svolgimento del lavoro o legati alla natura delle mansioni espletate dal dipendente. Il suddetto obbligo di disapplicazione, sancito dal legislatore eurounitario a carico di tutti gli Stati membri, trova applicazione sempre e comunque e, dunque, anche nell’ipotesi di illegittima apposizione del termine al contratto di lavoro costituendo detto obbligo applicazione immediata e diretta del principio di parità di trattamento e del divieto di non discriminazione e dunque “norme di diritto sociale [continua ..]

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