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I presupposti dell'indennizzo da mero ritardo nella conclusione dei procedimenti amministrativi
Danilo Marchese.
Nella sentenza in esame, i ricorrenti, comproprietari di una particella occupata illegittimamente dal Comune hanno adito il Tribunale Amministrativo competente, agendo ai sensi del combinato disposto degli artt. 31 e 117 cpa, per sentir dichiarare l’illegittimità del silenzio, a seguito di istanza volta all’ottenimento di un provvedimento avente ad oggetto l’acquisizione sanante al patrimonio comunale della particella suindicata.
Il Comune secondo quanto affermato dai ricorrenti, avrebbe realizzato, su tale particella un edificio destinato a scuola elementare, determinando, pertanto, una completa e irreversibile trasformazione del suolo.
Gli istanti, hanno lamentato, oltre la mancata conclusione del procedimento entro il termine di sessanta giorni dalla data di trasmissione del titolo di proprietà volto all’ adozione del provvedimento di acquisizione sanante, così come richiesto dall’amministrazione comunale, anche la violazione e falsa applicazione dell’art. 2, L. 241/1990, degli artt. 3 e 97 Cost, oltre che dell’art. 42 bis D.P.R. 327/2001.
La domanda, come formulata dagli istanti, veniva rigettata, in quanto il Collegio rilevava che l’amministrazione aveva risposto, seppur con provvedimento di diniego, adducendo l’acquisto della particella de qua con atto di compravendita. Né i ricorrenti avevano impugnato il provvedimento di diniego con ricorso per motivi aggiunti ex art.117, co.5, cpa.
Neanche la richiesta della corresponsione di un indennizzo veniva accolta, in quanto l’art. 28 del d.l.21 giugno 2013 n. 69, convertito con modificazioni dalla l. agosto 2013 n. 98, modificando l’art. 2 bis della l. 7 agosto 1990 n. 241, ha previsto tale indennizzo da ritardo per i procedimenti ad istanza di parte, non avendo altresì i ricorrenti, una volta scaduti i termini per la conclusione del procedimento, nemmeno richiesto l’attivazione dei poteri sostitutivi di cui all'art. 2, comma 9-bis, L. n. 241 del 1990.
In punto di diritto, occorre evidenziare una sostanziale differenza tra l’indennizzo da mero ritardo e la fattispecie del risarcimento del danno.
È consolidato, infatti, il principio secondo cui, mentre per ottenere il risarcimento del danno è essenziale la prova degli elementi costitutivi della fattispecie, quali la prova del danno, del comportamento doloso o colposo dell’amministrazione, nonché del nesso di casualità tra fatto ed evento, per la corresponsione dell’indennizzo da mero ritardo, invece, occorre solo il superamento del termine di conclusione del procedimento.
Pertanto, se le due azioni previste dall’art. 2 bis, l n. 241/1990, richiedono entrambe la violazione del termine di conclusione del procedimento amministrativo e hanno altresì in comune la stessa ratio compensativa, si differenziano per quanto attiene l’ambito oggettivo di applicazione.
Alla luce di quanto finora esposto, appare chiaro che il ritardo può esporre l’amministrazione all’obbligo di risarcire il danno che si produce nella sfera giuridica dell’interessato a causa dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento (art. 2 bis, comma 1, l. n. 241/1990), gravando poi sul ricorrente l’onere di dimostrare la responsabilità in cui è incorsa l’amministrazione.
Tuttavia, il legislatore ha previsto un indennizzo per il mero ritardo; vale a dire un ristoro spettante all’amministrato, che prescinde anche dall’accertamento circa la fondatezza o meno della domanda volta ad ottenere un dato provvedimento.
Pertanto, differentemente dal danno da ritardo di cui al comma 1 della suindicata normativa, l’indennizzo in questione esula da qualsivoglia accertamento circa la fondatezza dell’istanza, così da riconoscerlo anche nei casi di provvedimenti sfavorevoli se tardivamente adottati.
Passando all’esame del rapporto fra i commi 1 e 1 bis dell’art. 2 l. 241/1990, occorre chiarire che, la domanda volta all’ottenimento del risarcimento del danno è cumulabile con quella tesa ad ottenere l’indennizzo, salvo poi il successivo obbligo di detrarre le somme qualificate come indennizzo da quelle dovute a titolo di risarcimento.
La ratio cui s’informa l’ultima parte del comma 1 bis sta nell’evidente necessità di evitare il verificarsi di forme di ingiustificato arricchimento da parte del privato senza che vi sia una giusta causa.
Appare evidente che con l’avvento della legge sul procedimento amministrativo, anche la posizione del privato dinanzi all’esercizio del potere amministrativo si sia arricchita di maggiori tutele sia dal punto di vista formale che sostanziale.
Le pubbliche amministrazioni, infatti, alla luce di quanto detto finora, sono tenute al rispetto rigoroso dei tempi procedimentali.
Vale comunque precisare che l’indennizzo da mero ritardo opera solo quando la legge non menzioni il meccanismo del silenzio qualificato; in quest’ultimo caso, pertanto, non si configura un inadempimento, ma l’inerzia in cui incorre l’amministrazione procedente equivale ad un provvedimento di diniego o accoglimento.
La normativa in esame, oltre che nel caso in cui si è di fronte ad ipotesi tipizzate di silenzio qualificato, non si applica altresì nel caso dei concorsi pubblici.
Da quanto detto finora, può chiaramente desumersi che questa tutela indennitaria non è automatica, ma ha precisi presupposti applicativi; l’interessato deve infatti aver richiesto un intervento al titolare del potere sostitutivo.
Il titolare del potere sostitutivo, ricevuta la comunicazione, ai sensi del comma 9 – ter dell’art. 2 l. n. 241/1990, entro un termine pari alla metà di quello originariamente previsto, conclude il procedimento o attraverso le strutture competenti o con la nomina di un commissario ad acta.
Nel caso in cui anche il titolare del potere sostitutivo non adempia nei termini indicati, l’interessato può comunque agire avverso il silenzio, proponendo ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale.
Vale precisare, però, che qualora il ricorso sia dichiarato inammissibile o respinto, in quanto inammissibile o manifestatamente infondata è l’istanza del privato con cui si è dato avvio al procedimento amministrativo, il giudice condannerà il ricorrente al pagamento in favore dell’amministrazione di una somma da due a quattro volte il contributo unificato.
La somma che l’amministrazione potrà essere condannata a pagare, a titolo di indennizzo, è stabilita forfettariamente in trenta euro per ogni giorno di ritardo, fino ad un massimo di duemila euro.
Tutto quanto detto finora ha indubbi riflessi anche sull’attività dei giudici amministrativi: il processo diviene il luogo di verifica della congruità di tutti i principi che guidano sempre l’agire della pubblica amministrazione, sanciti altresì dalla nostra Carta Costituzionale all’art. 97.
(T.A.R. Campania - Napoli, sez. V, 12 aprile 2021, n. 2346)
Stralcio a cura di Aniello Iervolino
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