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Intermediazione finanziaria e obblighi informativi: specifica allegazione da parte dell'investitore
Erika Forino
La decisione in rassegna affronta il tema del riparto dell’onere allegatorio e probatorio nelle controversie tra investitore ed intermediario finanziario aventi ad oggetto l’inadempimento di quest’ultimo per misselling finanziario, vale a dire, per inottemperanza agli obblighi imposti dalla vigente normativa (primaria e secondaria) a tutela della posizione deteriore dell’investitore nell’ambito della commercializzazione di prodotti finanziari. Obblighi, questi ultimi, idonei a porsi come principi di carattere generale a garanzia dell’integrità del mercato. La pronuncia si segnala all’attenzione poiché si inserisce in quel filone giurisprudenziale, ormai consolidato, che impone all’investitore che lamenti l’inosservanza degli obblighi informativi, di allegare in modo specifico l’inadempimento dell’intermediario nonché di fornire la prova della riconducibilità causale del danno all’inadempimento, al pari di quanto prescritto per le azioni di inadempimento contrattuale (ex multis Cass. Civ., 16 febbraio 2018, n. 3914; Cass. civ., 10 aprile 2018, n. 8751, Cass. civ. ord. n. 18153/2020).
Il caso origina dall’azione intrapresa da un investitore che ha convenuto in giudizio, dinanzi al Tribunale di Milano, l’emittente e l’intermediario finanziario, lamentando la responsabilità degli stessi per inosservanza degli obblighi informativi nella fase precontrattuale e nel corso del rapporto; la violazione, per inadeguatezza del prodotto collocato, dell'art. 29 Regolamento Consob n. 11522 del 1998 in materia di profilatura della clientela; l’annullamento delle polizze assicurative unit linked sottoscritte per vizio del consenso e, per l’effetto, la condanna alla restituzione di quanto versato a titolo di capitale. Il giudice di primo grado ha rigettato integralmente la domanda proposta dall’investitore per inammissibilità, con riguardo alla violazione della disciplina concernente la profilazione e, per infondatezza, rispetto alle domande di annullamento e violazione degli obblighi informativi. Parimenti è stata integralmente rigettata l’impugnazione interposta dinanzi alla Corte d’Appello. Quest’ultima, infatti, in conformità con quanto statuito dal Giudice di prime cure, ha dichiarato inammissibile la domanda concernente la violazione dell’art. 29 del Regolamento n. 11522/1998 per essere stata introdotta in giudizio solo in sede di precisazione delle conclusioni così determinando un mutamento del titolo di responsabilità e, infondate le ulteriori domande proposte dall’appellante. Investita della questione per violazione o falsa applicazione di legge in relazione (i) agli artt. 99, 112, 345 e 113 c.p.c. e art. 1367 c.c. per la dichiarata inammissibilità della domanda di accertamento della responsabilità per violazione delle norme in materia di intermediazione finanziaria (ii) degli artt. 25 bis T.u.f. e della L. 28 dicembre 2005, n. 262 in materia di obblighi informativi gravanti in capo alle imprese di assicurazione emittenti prodotti finanziari nonché, (iii) dell’art. 1429 c.c. con riguardo all’azione di annullamento, la Suprema Corte in sintonia con l’orientamento dominante, ha rigettato integralmente il ricorso.
Analizzando la parte motiva della decisione in commento, articolata sulla base dei precedenti di legittimità intervenuti in materia, la Corte si sofferma, in primo luogo, sulla inosservanza dell'obbligo degli intermediari finanziari di astenersi dal compiere operazioni non adeguate al profilo di rischio dell'investitore, confermando l’inammissibilità della domanda. Al di là della precisazione processuale per cui, la mera indicazione della disciplina normativa ritenuta violata (nel caso, il generico riferimento al T.u.f. ed al Regolamento Consob n. 11522) nell’atto di citazione, ribadito nelle successive memorie istruttorie, non basta ad evitare la sanzione di cui all’art. 164 c.p.c. nemmeno facendo ricorso ai principi che regolano l’interpretazione del contratto, ciò che rileva è il collegamento operato dalla Suprema Corte tra l’onere allegatorio e probatorio concernente i giudizi di risarcimento dei danni cagionati al cliente nello svolgimento dei servizi di investimento di cui all’art. 23, sesto comma, del T.u.f.. e, quello afferente alle ordinarie azioni di inadempimento contrattuale. La disposizione da ultimo richiamata, ponendosi come appendice dell’art. 21 sulla trasparenza bancaria ed in linea di continuità con gli elevati livelli di protezione dei risparmiatori, pone in capo ai soggetti abilitati l’onere di provare, nei giudizi di risarcimento dei danni cagionati al cliente nello svolgimento dei servizi di investimento, di aver agito con la necessaria diligenza. Ciò non significa, come si dirà a breve, che l’investitore sia esonerato dall’allegare specificamente l’inadempimento e dal fornire la prova del nesso causale tra il mancato assolvimento dei doveri imposti all’intermediario ed il danno derivante all’investitore. Ed infatti, proprio facendo buon governo dei principi che regolano il riparto dell’onere di allegazione e prova nelle azioni di inadempimento contrattuale, i Giudici di Legittimità chiariscono una volta di più che solo l’analitica indicazione degli inadempimenti attribuiti all’intermediario (vale a dire, le singole informazioni sottaciute) e dell’apporto causale che l’inosservanza ha determinato rispetto alla decisione di procedere all’operazione pregiudizievole è idonea a soddisfare l’onere imposto al creditore in quanto, solo la specifica indicazione degli obblighi violati consente alla controparte di fornire la prova liberatoria dell’adempimento.
Ciò chiarito con riguardo alla prospettata inadeguatezza del prodotto finanziario, la Corte si sofferma sulla impossibilità di applicare retroattivamente l’art. 25 bis del T.u.f., introdotto dalla Legge 28 dicembre 2005, n. 262, art. 11, terzo comma ed entrato in vigore, ai sensi dell'art. 34 quater, D.L. 10 gennaio 2006, n. 4 (convertito con Legge 9 marzo 2006, n. 80), il 17 maggio 2006. Detta disposizione assume rilevanza nel caso in commento, in quanto, estende alla sottoscrizione ed al collocamento dei prodotti finanziari emessi dalle imprese di assicurazione (quali le polizze unit linked sottoscritte dal ricorrente), la disciplina di cui agli artt. 21 e 23 del T.u.f. relativi allo svolgimento dei servizi e delle attività finanziarie e ai contratti concernenti le prestazioni dei servizi di investimento. Tuttavia, come la Corte ha cura di evidenziare, nonostante l’estensione della disciplina del T.u.f. ai prodotti emessi dalle imprese di assicurazione operata con il menzionato intervento normativo oltre che, per via giurisprudenziale (Cass. civ., 18 aprile 2012, n. 6061) attraverso la qualificazione di detti prodotti come contratti di intermediazione finanziaria in ragione del fine speculativo, piuttosto che, previdenziale, la disciplina non può trovare applicazione retroattiva.
La Suprema Corte ricorda, peraltro come, ove anche fosse ritenuta applicabile la disciplina menzionata e, dunque, l’estensione degli obblighi informativi di cui agli artt. 21 e 23 del T.u.f. ai prodotti oggetto della sentenza che si annota, vi siano due profili dirimenti idonei a condurre, in ogni caso, al rigetto del motivo di censura in esame: (i) l’accertato adempimento degli obblighi informativi ad opera dell’intermediario rispetto ai profili di rischio del prodotto (ii) la tardività della censura dell’investitore con riguardo all’obbligo dell’intermediario di astenersi dal porre in essere operazioni non adeguate al proprio profilo di rischio.
Parimenti inammissibile viene giudicato il terzo motivo di impugnazione con il quale il ricorrente sostiene che, l’omessa informativa in ordine al prodotto finanziario con riguardo alla mancata garanzia di rimborso del capitale costituisce presupposto idoneo a configurare un vizio del consenso dell’investitore e, in quanto tale, a condurre all’annullamento dell’operazione. Ciò, in quanto, la doglianza del ricorrente si traduce, anzitutto, nella richiesta di rivalutazione del materiale probatorio acquisito nel corso del processo e, dunque, in una valutazione di merito preclusa in sede di legittimità. In secondo luogo, a tutto voler concedere, l’affidamento incolpevole dell’intermediario rispetto all’errore dell’investitore costituisce presupposto preclusivo all’annullamento del contratto.
In definitiva, il parallelismo operato dalla Suprema Corte tra la disciplina del riparto dell’onere allegatorio e probatorio di cui all’art. 23, sesto comma, del T.u.f. e, quella delle ordinarie azioni di inadempimento contrattuale non può che condividersi. Benché la ratio che permea l’intera disciplina sulla intermediazione finanziaria sia la tutela del massimo affidamento che l’investitore ripone nella consulenza ed assistenza dell’intermediario, l’interpretazione della normativa in esame non può spingersi fino ad esentare chi agisce in giudizio per il risarcimento del danno dall’onere di specifica allegazione dell’inadempimento e prova del nesso causale, a meno di non voler intendere l’onere posto in capo all’intermediario dall’art. 23, sesto comma, T.u.f., al pari di una probatio diabolica.
Sezione: Sezione Semplice
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