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Istanza di accesso: è insufficiente un generico riferimento a non meglio precisate esigenze probatorie e difensive
Alisia Mercurio
Il Consiglio di Stato, in sede di Adunanza Plenaria, torna ad affrontare il tema dell’accesso difensivo, precisandone i limiti.
La vicenda da cui trae origine la pronuncia in esame riguarda una società commerciale detentrice di un immobile in locazione, la quale, nell’ambito di una causa civile instaurata per far accertare che la cessione delle quote del predetto immobile costituiva una vendita simulata realizzata allo scopo di eludere il suo diritto di prelazione, presenta all’Agenzia delle Entrate un’istanza di accesso finalizzata ad ottenere copia di alcuni documenti relativi alla posizione fiscale dei controinteressati per produrli nel giudizio civile.
L’Agenzia rigetta l’istanza sull’assunto per cui la possibilità di acquisire, al di fuori del processo, documenti amministrativi dei quali il richiedente intenda avvalersi in giudizio costituisce una “elusione delle norme sull’acquisizione delle prove” e una “lesione del diritto di difesa” della controparte.
Il diniego è confermato anche a seguito di invito della Commissione ministeriale per l’accesso adita, dopo il primo diniego, dalla società affittuaria richiedente. In tale caso, l’Agenzia afferma anche che i documenti a lei trasmessi nell’esercizio delle proprie funzioni istituzionali di vigilanza e controllo in materia finanziaria e tributaria sarebbero sottratti all’accesso per ragioni di tutela della riservatezza del soggetto cui afferiscono. Di conseguenza, potrebbero essere resi accessibili solo se strettamente indispensabili per l’esercizio del diritto di difesa.
Contro tale diniego la società presenta ricorso al Tar, il quale ritiene di condividere la tesi dell’applicabilità delle norme sull’accesso anche alle istanze presentate in pendenza di causa civile e relative a documenti da produrre in quella sede e accoglie il ricorso.
A seguito di appello avverso tale sentenza, la IV sezione del Consiglio di Stato rimette la questione all’Adunanza plenaria. Nell’ordinanza di rimessione, richiama i principi affermati dalla stessa Adunanza Plenaria nelle sentenze nn. 19 e 20 del 2020 sulla concorrenza e alternatività tra accesso documentale difensivo e poteri istruttori del giudice civile e giunge ad osservare che l’amministrazione e il giudice dovrebbero operare lo stesso tipo di valutazione sull’ammissibilità e rilevanza della prova con l’unica differenza che solo il giudice dovrebbe porsi il problema del rispetto di eventuali preclusioni processuali maturate.
L’Adunanza Plenaria n. 19/2020 aveva affermato che l’accesso documentale difensivo può essere esercitato indipendentemente dalla previsione e dall’esercizio dei poteri processuali di esibizione istruttoria di documenti amministrativi e di richiesta di informazioni alla pubblica amministrazione nel processo civile ai sensi degli artt. 210, 211 e 213 c.p.c.
Per rispondere ai quesiti posti dall’ordinanza di rimessione, l’Adunanza Plenaria ribadisce innanzitutto quanto già statuito nelle sentenze nn. 19, 20 e 21 del 25 settembre 2020, precisando che la disciplina dell’accesso dettata dalla Legge n. 241/1990 si ispira ad alcuni principi.
In primo luogo, l’art. 24, comma 7, richiede la sussistenza del solo requisito della necessarietà dell’accesso ai fini della cura e della difesa in giudizio dei propri interessi giuridici.
In secondo luogo, ricomprende tra i destinatari tutti i soggetti privati, inclusi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi senza alcuna ulteriore esclusione.
In terzo luogo, circoscrive le qualità dell’interesse legittimante l’accesso a quelle ipotesi che garantiscono la piena corrispondenza tra la situazione giuridicamente tutelata e i fatti di cui la stessa fattispecie si compone.
Precisamente, la legge richiede la sussistenza dei canoni della immediatezza, concretezza e attualità (art. 22, comma 1, lett. b): “… interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso)”.
Dunque, per quanto concerne il criterio del “collegamento”, il legislatore ha stabilito che la situazione legittimante l’accesso difensivo sia collegata al documento di cui è chiesta l’ostensione, in modo da evidenziare in maniera diretta ed inequivoca il “nesso di strumentalità” tra la situazione soggettiva finale e la documentazione richiesta.
E proprio al fine di consentire all’amministrazione detentrice del documento di vagliare la sussistenza del predetto nesso di strumentalità necessaria, l’art. 25, comma 2, della l. n. 241/1990 prevede che la richiesta di accesso sia motivata, mentre la stessa Adunanza plenaria “ha escluso che possa ritenersi sufficiente un generico riferimento a non meglio precisate esigenze probatorie e difensive, siano esse riferite a un processo già pendente oppure ancora instaurando”.
Per quanto concerne il bilanciamento tra l’interesse all’accesso difensivo dell’istante e la tutela della riservatezza del controinteressato, il Consiglio di Stato richiama la disciplina dettata dall’art. 24 della l. n. 241/90 che prevede al comma 1 le ipotesi di esclusione legale dal diritto di accesso (per esempio, documenti coperti da segreto di Stato).
Al comma 6, invece, prevede una esclusione demandata ad un regolamento governativo con cui possono essere individuati casi di sottrazione all’accesso di documenti amministrativi, tra cui, ai sensi della lett. d), “ quando i documenti riguardano la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, persone giuridiche, gruppi, imprese e associazioni, con particolare riferimento agli interessi epistolare, sanitario, professionale, finanziario, industriale e commerciale di cui siano in concreto titolari, ancorchè i relativi dati siano forniti all’amministrazione dagli stessi soggetti cui si riferiscono”.
Infine, al comma 7, prevede una esclusione basata su un bilanciamento tra gli interessi contrapposti e improntato ai criteri della necessarietà, della indispensabilità e della parità di grado.
In particolare, per i “dati sensibili” definiti dall’art. 9 del Regolamento n. 2016/679/UE (origine razziale o etnica, opinioni politiche, convinzioni religiose o filosofiche, appartenenza sindacale, dati biometrici) e per i dati giudiziari di cui al successivo art. 10 (dati personali relativi a condanne penali e ai reati o a connesse misure di sicurezza) l’ostensione è consentita nei limiti in cui sia strettamente indispensabile per la cura e la difesa degli interessi giuridici dell’istante.
Per i “dati supersensibili” di cui all’art. 60 del D. Lgs. n. 196/2003 (dati genetici, relativi alla salute, alla vita sessuale o all’orientamento sessuale della persona) è necessario dimostrare l’esistenza di un interesse di pari rango che giustifichi l’ostensione.
Nel caso di specie, invece, vengono in rilievo dati personali rientranti nella tutela della riservatezza finanziaria ed economica, per i quali, ai sensi del comma 7 dell’art. 24 della L. n. 241/1990, non trovano applicazione i criteri sopra citati della stretta indispensabilità e della parità di rango, ma “il criterio generale della necessità ai fini della cura e della difesa di un proprio interesse giuridico, ritenuto dal legislatore tendenzialmente prevalente sulla tutela della riservatezza a condizione del riscontro della sussistenza dei presupposti generali dell’accesso difensivo, di cui si è detto”.
A questo punto l’Adunanza Plenaria specifica che sia la pubblica amministrazione detentrice del documento, sia il giudice amministrativo adito nel giudizio di accesso ai sensi dell’art. 116 c.p.a. non devono svolgere alcuna ultronea valutazione sulla influenza o sulla decisività del documento richiesto nel giudizio instaurato, poiché tale valutazione compete solo al giudice investito della questione, salvo il caso in cui sia evidente una assoluta mancanza di collegamento tra la documentazione di cui è chiesta l’ostensione e le esigenze difensive legittimanti la richiesta. In altre parole, solo al giudice di quella particolare causa compete la valutazione sull’ammissibilità o sulla rilevanza del documento nel giudizio innanzi a esso instaurato, e non anche alla pubblica amministrazione o al giudice amministrativo nel giudizio sull’accesso, altrimenti sarebbero introdotti limiti e preclusioni non previsti dalla legge, la quale, come si è ampiamente detto, ha già stabilito adeguati criteri per valutare la situazione legittimante l’accesso e per operare il bilanciamento tra il diritto all’ostensione del documento e il diritto alla riservatezza.
In definitiva, i principi di diritto affermati dalla pronuncia in esame sono i seguenti:
“a) in materia di accesso difensivo ai sensi dell'art. 24, comma 7, della L. n. 241 del 1990 si deve escludere che sia sufficiente nell'istanza di accesso un generico riferimento a non meglio precisate esigenze probatorie e difensive, siano esse riferite a un processo già pendente oppure ancora instaurando, poiché l'ostensione del documento richiesto passa attraverso un rigoroso, motivato, vaglio sul nesso di strumentalità necessaria tra la documentazione richiesta e la situazione finale che l'istante intende curare o tutelare;
- b) la pubblica amministrazione detentrice del documento e il giudice amministrativo adìto nel giudizio di accesso ai sensi dell'art. 116 p.a. non devono invece svolgere ex ante alcuna ultronea valutazione sull'ammissibilità, sull'influenza o sulla decisività del documento richiesto nell'eventuale giudizio instaurato, poiché un simile apprezzamento compete, se del caso, solo all'autorità giudiziaria investita della questione e non certo alla pubblica amministrazione detentrice del documento o al giudice amministrativo nel giudizio sull'accesso, salvo il caso di una evidente, assoluta, mancanza di collegamento tra il documento e le esigenze difensive e, quindi, in ipotesi di esercizio pretestuoso o temerario dell'accesso difensivo stesso per la radicale assenza dei presupposti legittimanti previsti dalla L. n. 241 del 1990”.
Sezione: Adunanza Plenaria
(Cons. St., Ad. Plen., 13 marzo 2021, n. 4)
Stralcio a cura di Rossella Bartiromo
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