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Legge "modificativa" nelle more del procedimento: ancora una violazione dell'equo processo

Emanuele Vannata

(Corte EDU, Sez. I, 3 settembre 2020, ricorso n. 3497/09, Facchinetti c. Ita-lia) Traduzione a cura del Ministero della Giustizia

“4. Nel luglio del 1999 il defunto marito della ricorrente (…) che aveva trasferito in Italia i contributi pensionistici che aveva versato in Svizzera, presentò una domanda all’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (“INPS”) affinché riliquidasse la sua pensione, in conformità alla Convenzione italo-svizzera in materia di sicurezza sociale del 1962 (…), sulla base dei contributi che aveva versato in Svizzera per il lavoro ivi svolto per diversi anni. Come base per la liquidazione della sua pensione (…), l’INPS utilizzò una retribuzione teorica invece della retribuzione effettiva. Tale criterio comportò una riparametrazione sulla base del­l’aliquota contributiva applicata in Svizzera (8%) e di quella applicata in Italia (32,7%), vale a dire che il calcolo fu basato su uno pseudo-salario, che ha comportato (…) che egli percepi[sse] una pensione pari a un quarto di quanto avrebbe dovuto ricevere.” “5. L’INPS rigettò la domanda presentata da(l) (marito della ricorrente). Conseguentemente, nel 2002, (il marito della ricorrente) presentò ricorso al Tribunale di Bergamo (organo competente per le controversie di lavoro e previdenziali), sostenendo che ciò violava lo spirito della Convenzione italo-svizzera”. “6. In data 7 febbraio 2003, il Tribunale di Bergamo accolse la pretesa […] e ordinò all’INPS di riliquidare la pensione (…).” “7. A seguito dell’appello proposto dall’INPS, in data 11 dicembre 2003, la Corte di Appello di Brescia ribaltò la sentenza di primo grado.” “8. Nelle more del pertinente procedimento dinanzi alla Corte di Cassazione, in data 1° gennaio 2007 entrò in vigore la Legge 27 dicembre 2006 n. 296 (“Legge n. 296/2006”)”. “9. In data 19 gennaio 2006 (il marito della ricorrente) decedette”. “10. In data 11 dicembre 2008, in considerazione dell’entrata in vigore della Legge n. 296/2006, la Corte di Cassazione rigettò con decisione definitiva il ricorso presentato (…) avverso la sentenza della Corte di Appello di Brescia”. “[…]” “15. La ricorrente ha lamentato che l’intervento legislativo – vale a dire la promulgazione della Legge n. 296/2006, che ha modificato la pertinente giurisprudenza consolidata [continua ..]

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Nota di Emanuele Vannata

La sentenza che ivi si annota si inscrive nel solco già tracciato dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo[1], a proposito dell’istituto dell’interpretazione autentica (e, in particolare, dell’efficacia retroattiva della legge interpretativa) e del suo rapporto con i lineamenti applicativi dell’equo processo ex art. 6 §1 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950 (CEDU). Le circostanze della causa sono sostanzialmente analoghe alle precedenti questioni sollevate innanzi ai giudici europei sul tema della c.d. “pensioni svizzere” e che avevano condotto più volte alla condanna dell’Italia in riferimento all’interpretazione delle pertinenti disposizioni di legge fornita dalla L. 27 dicembre 2006, n. 296, la cui promulgazione durante la pendenza di procedimenti – come si legge nella sentenza Maggio (richiamata in toto, unitamente alla sentenza Stefanetti) – “in realtà determinava il merito delle controversie”, rendendo “inutile” per un intero gruppo di persone che si trovavano nella posizione di ricorrenti la prosecuzione del giudizio. Più precisamente, la legge italiana in parola aveva avuto l’effetto di “modificare definitivamente l’esito del giudizio pendente” nel quale lo Stato era parte, avallando la posizione di questo a svantaggio dei ricorrenti. Sebbene la giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani abbia chiarito che un impellente motivo di interesse generale possa costituire ragione giustificatrice dell’ingerenza del potere legislativo nell’amministrazione della giustizia, i giudici di Strasburgo non ritengono applicabile questo principio al caso in esame. L’approccio della Corte europea si discosta, pertanto, dalla posizione espressa dalla Corte Costituzionale italiana, che – proprio sul caso delle “pensioni svizzere” – aveva ritenuto legittima la compressione del diritto ad un equo processo in ragione di ulteriori interessi costituzionali in gioco, quali la parità di trattamento tra pensionati e il mantenimento dell’equilibrio di bilancio[2], cui ha riconosciuto prevalenza.   [1] V. Corte eur.dir.uomo, Seconda Sezione, sentenza del 15 aprile 2015, ric. nn. 21838/10 e altri 7, Stefanetti e altri c. Italia; Corte eur.dir.uomo, Seconda Sezione, sentenza del 31 [continua ..]

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