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Legge "modificativa" nelle more del procedimento: ancora una violazione dell'equo processo
Emanuele Vannata
(Corte EDU, Sez. I, 3 settembre 2020, ricorso n. 3497/09, Facchinetti c. Ita-lia) Traduzione a cura del Ministero della Giustizia
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Nota di Emanuele Vannata
La sentenza che ivi si annota si inscrive nel solco già tracciato dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo[1], a proposito dell’istituto dell’interpretazione autentica (e, in particolare, dell’efficacia retroattiva della legge interpretativa) e del suo rapporto con i lineamenti applicativi dell’equo processo ex art. 6 §1 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950 (CEDU). Le circostanze della causa sono sostanzialmente analoghe alle precedenti questioni sollevate innanzi ai giudici europei sul tema della c.d. “pensioni svizzere” e che avevano condotto più volte alla condanna dell’Italia in riferimento all’interpretazione delle pertinenti disposizioni di legge fornita dalla L. 27 dicembre 2006, n. 296, la cui promulgazione durante la pendenza di procedimenti – come si legge nella sentenza Maggio (richiamata in toto, unitamente alla sentenza Stefanetti) – “in realtà determinava il merito delle controversie”, rendendo “inutile” per un intero gruppo di persone che si trovavano nella posizione di ricorrenti la prosecuzione del giudizio. Più precisamente, la legge italiana in parola aveva avuto l’effetto di “modificare definitivamente l’esito del giudizio pendente” nel quale lo Stato era parte, avallando la posizione di questo a svantaggio dei ricorrenti. Sebbene la giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani abbia chiarito che un impellente motivo di interesse generale possa costituire ragione giustificatrice dell’ingerenza del potere legislativo nell’amministrazione della giustizia, i giudici di Strasburgo non ritengono applicabile questo principio al caso in esame. L’approccio della Corte europea si discosta, pertanto, dalla posizione espressa dalla Corte Costituzionale italiana, che – proprio sul caso delle “pensioni svizzere” – aveva ritenuto legittima la compressione del diritto ad un equo processo in ragione di ulteriori interessi costituzionali in gioco, quali la parità di trattamento tra pensionati e il mantenimento dell’equilibrio di bilancio[2], cui ha riconosciuto prevalenza. [1] V. Corte eur.dir.uomo, Seconda Sezione, sentenza del 15 aprile 2015, ric. nn. 21838/10 e altri 7, Stefanetti e altri c. Italia; Corte eur.dir.uomo, Seconda Sezione, sentenza del 31 [continua ..]