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Protezione del diritto alla vita dei detenuti: sullo Stato non può incombere un onere insostenibile o eccessivo

Agostino Sabatino

(Corte EDU, Sez. I, 19 marzo 2020, ricorso n. 41603/13, Fabris e Parziale c. Italia) Traduzione a cura del Ministero della Giustizia

“(…) 73. La Corte rammenta che la prima frase dell’articolo 2 della Convenzione obbliga lo Stato non soltanto ad astenersi dal provocare la morte in maniera volontaria e irregolare, ma anche ad adottare le misure necessarie per la protezione della vita delle persone sottoposte alla sua giurisdizione (…). La Corte rammenta anche che l’articolo 2 della Convenzione può, in alcune circostanze ben definite, porre a carico delle autorità l’obbligo positivo di adottare in via preventiva delle misure di ordine pratico per proteggere l’individuo da altri o (…) da se stesso (…). Tuttavia, si deve interpretare tale obbligo in maniera da non imporre alle autorità un onere insostenibile o eccessivo, senza perdere di vista le difficoltà che incontrano le forze dell’ordine nell’esercizio delle loro funzioni nelle società contemporanee, l’imprevedibilità del comportamento umano e le scelte operative da fare in materia di priorità e di risorse. Pertanto, ogni presunta minaccia contro la vita non obbliga le autorità, in riferimento alla Convenzione, ad adottare misure concrete per prevenirne la realizzazione (…). Inoltre, la Corte rammenta che i detenuti si trovano in situazione di vulnerabilità e le autorità hanno il dovere di proteggerli. Parimenti, le autorità penitenziarie devono esercitare le loro funzioni in maniera compatibile con i diritti e le libertà dell’individuo interessato. Possono essere adottate delle misure e delle precauzioni generali per ridurre i rischi di autolesionismo nel rispetto dell’autonomia individuale (…). La Corte ha ammesso che delle misure eccessivamente restrittive potevano sollevare dei problemi in riferimento agli articoli 3, 5 e 8 della Convenzione (…). (…) Nella fattispecie, la questione che si pone è (…) se le autorità si siano sottratte al loro obbligo positivo di proteggere la vita del nipote del ricorrente, tenuto conto della sua situazione personale (…). Sebbene la vittima non si trovasse in una situazione di vulnerabilità particolare a causa del suo stato mentale, rimane comunque il fatto, secondo la Corte, che la sua tossicodipendenza cronica, associata a disturbi del comportamento legati al consumo di sostanze che danno assuefazione e il suo stato di salute fragile, ne facevano un soggetto [continua ..]

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Nota di Agostino Sabatino

La vicenda di riferimento trae origine dal ricorso (n. 41603/13) presentato contro lo Stato italiano da due ricorrenti cittadini italiani, i quali hanno adito la Corte di Strasburgo ai sensi dell’art. 34 Cedu, sostenendo che le autorità fossero venute meno ai loro obblighi, da un lato, non proteggendo adeguatamente il diritto alla vita del loro parente deceduto in carcere e, dall’altro, non conducendo un’effettiva indagine al riguardo, in piena violazione dell’art. 2 Cedu, secondo cui «il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge». La Corte europea, chiamata a decidere sul ricorso, si è espressa sul rispetto degli obblighi positivi delle autorità statali concernenti, sotto il profilo sostanziale, l’adozione concreta di tutte le ragionevoli misure volte ad evitare il decesso e, sotto il profilo procedurale, lo svolgimento di indagini effettive per accertare la dinamica dei fatti e le eventuali responsabilità. In ordine al primo aspetto, la Corte ha ricordato che l’art. 2 Cedu non impone agli Stati soltanto l’obbligo di astenersi dal provocare la morte in maniera volontaria e irregolare, ma devono altresì adottare in via preventiva tutte le misure necessarie a garantire la protezione della vita dei soggetti sotto la propria giurisdizione. Tuttavia, la previsione di simili obblighi non può gravare le autorità di un onere insostenibile o eccessivo, per cui ogni presunta minaccia contro la vita non le obbliga ad adottare misure concrete per prevenirne la realizzazione. Nel caso di specie, la Corte ha sottolineato l’impossibilità di dimostrare che le autorità avrebbero potuto prevedere l’insorgenza di un rischio reale e immediato per la vita del detenuto decretando, di conseguenza, l’assenza di una violazione dell’elemento sostanziale di cui all’art. 2 Cedu. Sotto il profilo procedurale, non vi è dubbio che le autorità abbiano l’obbligo di svolgere indagini ufficiali ed effettive per la ricerca della verità, soprattutto – come nel caso in oggetto – in cui lo Stato avrebbe potuto o dovuto impedire la morte di un detenuto. Al riguardo, la Corte ha evidenziato che, in considerazione dell’entità degli elementi di prova raccolti, i rallentamenti che hanno investito il procedimento, poi definito con l’ar­chiviazione per [continua ..]

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