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Reati perseguibili a querela a seguito dell´introduzione del D.Lgs. 36/2018: nessun avviso alla persona offesa se ha già manifestato la volontà di punizione

Mario Marco Tetta

(Cass. Pen., Sez. II, 17 aprile 2020, n. 12410)

“2. (…) questa Corte ha già chiarito che, (…) a seguito della modifica del regime di procedibilità per i delitti di cui agli artt. 640 e 646 c.p., introdotta dal D.Lgs. 10 aprile 2018, n. 36, nei procedimenti in corso per il delitto di appropriazione indebita aggravata ex art. 61 c.p., n. 11, l’intervenuta remissione della querela comporta l’obbligo di dichiarare la non procedibilità ai sensi dell’art. 129 c.p.p., ove non ricorrano altre circostanze aggravanti ad effetto speciale (cfr., Cass. Pen., 2, 17.4.2019 n. 21.700, Sibio, che ha richiamato la natura mista, sostanziale e processuale, della procedibilità a querela, da cui discende la necessità di applicare la sopravvenuta disciplina più favorevole nei procedimenti pendenti; …). (…) Ritiene infine il collegio che il caso di specie esuli dalle ipotesi contemplate dal D.Lgs. n. 36 del 2018, art. 12: al comma 1, tale disposizione prevede, infatti, che “per i reati perseguibili a querela in base alle disposizioni del presente decreto, commessi prima della data di entrata in vigore dello stesso, il termine per la presentazione della querela decorre dalla predetta data, se la persona offesa ha avuto in precedenza notizia del fatto costituente reato”; al comma 2, quindi, si prevede che “se è pendente il procedimento... il giudice... informa la persona offesa dal reato della facoltà di esercitare il diritto di querela ed il termine decorre dal giorno in cui la persona è stata informata”. In definitiva, quindi, per i reati divenuti perseguibili a querela di parte in forza del decreto legislativo, laddove il processo sia (…) pendente, il giudice è tenuto ad informare la persona offesa del diritto di proporre querela; nel caso in cui la querela non sia stata proposta nel termine di novanta giorni dalla data della ricezione dell’avviso il processo dovrà essere definito con sentenza di non doversi procedere per difetto della necessaria condizione di procedibilità dell’azione penale. Come è stato chiarito (cfr., Cass. SS.UU., 21.6.2018 n. 40.150, Salatino), la disciplina transitoria di cui al richiamato art. 12 è certamente applicabile ai procedimenti pendenti in Cassazione (…). E, tuttavia, le stesse SS.UU. “Salatino” hanno condivisibilmente sottolineato (…) che “... l’avviso [continua ..]

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Nota di Mario Marco Tetta

Com’è noto, l’art. 10 del d.lgs. 36/2018 ha reso il delitto di appropriazione indebita aggravata perseguibile a querela di parte, abrogando il terzo comma dell’art. 646 c.p. La giurisprudenza si è trovata dinanzi a problemi interpretativi sorti in ordine ai procedimenti azionati ante riforma, specie in quelli assenti di una formale querela posta a fondamento dell’azione penale. Già interpellata sul punto, la Corte di Cassazione, con la sentenza in analisi, ha reso un’interpretazione univoca delle condizioni di procedibilità del reato de quo commesso dall’amministratore condominiale. In tale procedimento, l’imputato ricorreva al Supremo Collegio lamentando una violazione di legge con riferimento agli artt. 120 c.p. e 337 c.p.p. e vizio di motivazione sulla condizione di procedibilità. Il ricorrente rilevava l’assenza di una formale querela posta a base del procedimento, essendo sorto da una denuncia depositata da un soggetto terzo all’uopo incaricato dai condomini, lamentando la mancanza di una delibera assembleare espressiva della volontà del condominio inteso come ente di gestione. Da ultimo, la difesa rilevava altresì l’assenza di autenticazione delle firme poste sull’atto, così come richiesto dall’art. 337 cpp. La Corte, ritenendo fondato il ricorso, ha chiarito diversi aspetti riguardanti le condizioni di procedibilità del delitto de quo a seguito dell’introduzione della riforma. Per quel che concerne il regime transitorio per i reati commessi ante decreto, l’art. 12 dello stesso dispone al comma 2 che, nel caso di procedimento pendente, il giudice debba informare la persona offesa circa la facoltà di esercitare il diritto di querela, decorrendo il termine di tre mesi da tale momento. La Corte evidenzia, dunque, che “nel caso in cui la querela non sia stata proposta nel termine […] il processo dovrà essere definito con sentenza di non doversi procedere per difetto della necessaria condizione di procedibilità dell’azione penale”. Al fine di evitare interpretazioni “ingiustificatamente formalistiche”, i Giudici, richiamando le Sezioni Unite, hanno chiarito che non vi è obbligo di dare tale comunicazione alla persona offesa qualora dagli atti risulti che il diritto di querela sia stato già formalmente esercitato. Ma quando il [continua ..]

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