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Risparmio di spesa: può consistere anche nell´assegnare al lavoratore mansioni diverse da quelle contrattuali
Simone Rizzuto
La quarta Sezione penale della suprema Corte di cassazione, con la sentenza n. 5869, datata 1° febbraio 2022 e depositata in Cancelleria il 21 febbraio 2022, ha avuto modo di tracciare un interessante percorso esegetico in materia di responsabilità “amministrativa” dell’ente, partitamente regolamentata dal D. Lgs. n. 231/2001.
In particolare, la società denominata New Recicling s. r. l., in persona del legale rappresentante pro tempore, veniva condannata dalla Corte di appello di Napoli alla sanzione pecuniaria di euro 90,00 - accompagnata da quella interdittiva, pari a mesi sei, ex art. 9, comma II, D. Lgs. n. 231/2001 - per il reato di cui all’art. 590, commi I e III, c.p., in relazione all’art. 25-septies del citato D. Lgs.
La richiamata compagine societaria, nella qualità di committente dei lavori di tinteggiatura degli uffici della società denominata Italmetalli s. p. a., cagionava a un proprio dipendente lesioni gravissime (epilessia post-traumatica e paraparesi), derivanti dalla caduta del citato soggetto da un ponteggio; la persona offesa, infatti, assunta nella qualità di custode, ma adibita, senza l’ausilio di alcuna precauzione, allo svolgimento di lavori edili in quota, rovinava sul suolo mentre era impegnata a pitturare la parete esterna dello stabile.
La sentenza di secondo grado veniva impugnata dal legale rappresentante della persona giuridica, con l’articolazione di tre motivi di doglianza.
In primo luogo, veniva contestata - sub specie di violazione ed erronea applicazione dell’art. 25-septies D. Lgs. 231/2001, in ordine agli artt. 590, commi I e III e 583, comma II, c.p., nonché agli artt. 36, 37 e 122 D. Lgs. n. 81/2008 - la ricostruzione fenomenica degli accadimenti, così come operata nei gradi di merito, nonché la coerenza del relativo iter motivazionale, posto che, ad avviso del ricorrente, la persona offesa avrebbe subìto gli eventi lesivi a seguito della caduta da una rampa di scale e non da un ponteggio. Se anche il lavoratore si fosse trovato sul ponteggio, peraltro, la relativa pedana di metallo giammai si sarebbe potuta spezzare per il peso di un solo uomo e ciò in base alle leggi fisiche e alle massime di esperienza.
Il ricorrente, inoltre, enfatizzando la carenza di qualsivoglia vantaggio o interesse in capo alla compagine societaria evocata in giudizio, censurava la manifesta illogicità dell’apparato motivazionale, oltre alla violazione ed erronea applicazione dell’art. 25-septies D. Lgs. 231/2001, nella parte relativa all’asserita configurabilità della responsabilità “amministrativa” (recte: penale) della società, discendente dalla consumazione del reato presupposto. Sul punto de quo, nello specifico, il ragionamento divisato dalla Corte territoriale veniva tacciato di «carenza logico-motivazionale», essendo stato, erroneamente, enucleato «un vantaggio in favore della persona giuridica conseguente all’impiego dell’A., assunto con altre mansioni, come lavoratori in quota […]».
In ultimo, il ricorrente deduceva la violazione e l’erronea applicazione del combinato disposto degli artt. 22 e 59 D. Lgs. 231/2001, oltre alla carenza e alla manifesta illogicità della parte motiva dell’avversata sentenza.
Con la proposizione di quest’ultimo motivo, segnatamente, veniva eccepito il decorso del termine prescrizionale, pari a cinque anni, relativo alle sanzioni amministrative comminate all’ente. Secondo l’impostazione difensiva della società, infatti, l’interruzione della prescrizione sarebbe dovuta discendere non già dall’emissione della richiesta di rinvio a giudizio nei riguardi del legale rappresentante pro tempore della New Recicling s. r. l., spiccata nell’àmbito del procedimento penale celebrato a carico di quest’ultimo e giammai notificata alla compagine societaria, bensì dalla citazione a giudizio proprio della predetta persona giuridica, notificata alla stessa soltanto nell’anno 2015, ben oltre il termine di cinque anni decorrente dalla consumazione del reato (anno 2008). Secondo il ricorrente, quindi, a differenza di quanto accade per l’interruzione della prescrizione dei fatti di reato - per la quale sarebbe sufficiente la mera emissione dell’atto dotato di efficacia interruttiva - in relazione agli illeciti perpetrati nell’interesse o a vantaggio dell’ente sarebbe indispensabile l’effettiva contestazione elevata nei riguardi della società interessata.
Ebbene, proprio tale ultima censura veniva ritenuta fondata dal supremo Consesso di legittimità, «con conseguente pronuncia di annullamento senza rinvio dell’impugnata sentenza per essere l’illecito amministrativo estinto per intervenuta prescrizione».
Le ulteriori e diverse doglianze defensionali, invece, subivano la reiezione giudiziale perché ritenute manifestamente infondate.
Nello specifico, con riguardo alle censure compendiate nel primo motivo di ricorso, veniva ribadito, in primo luogo, il consolidato principio in forza del quale, in sede di legittimità, risulta essere preclusa qualsivoglia (ri)valutazione del materiale istruttorio raccolto, posto che la Cassazione «non può essere chiamata ad esercitare alcun tipo di sindacato, esulando dai suoi poteri la rilettura della ricostruzione storica dei fatti posti a fondamento della decisione di merito […] laddove la motivazione assunta, come nel caso di specie, sia coerente e logica, oltre che priva di qualsiasi vizio giuridico» (ex multis: Cass. pen., SS. UU., 31 maggio 2000, n. 12, Jakani, Rv. 216260-01).
La pronuncia di condanna della compagine societaria con «doppia decisione conforme», dunque, veniva considerata dal Collegio immune da vizi logico-giuridici con riguardo alla individuazione delle «ragioni per cui è stata correttamente considerata la responsabilità della New Recicling s. r. l. per l’infortunio subito dall’A.». Nel tessuto motivazionale, la Corte sottolineava come la responsabilità facente capo alla persona giuridica e, segnatamente, la ricostruzione delle caratteristiche modali dell’incidente occorso al lavoratore, fossero suffragate da una pluralità di emergenze probatorie, fra le quali le dichiarazioni rese dal soggetto passivo del reato di lesioni, corroborate da quelle degli altri testimoni; le risultanze del referto di pronto soccorso ospedaliero; le valutazioni espresse nell’àmbito della consulenza tecnica disposta dal P. M. In una cornice ricostruttiva di tal fatta, inoltre, veniva enfatizzata l’importanza della circostanza fattuale relativa alla eziologia dell’infortunio patito dal lavoratore, discendente non già dalla rottura della pedana in metallo posta sul ponteggio, bensì dallo spostamento della stessa.
Anche il secondo motivo di ricorso - afferente all’asserita insussistenza di qualsivoglia interesse o vantaggio della società in relazione all’adibizione del lavoratore a mansioni professionali diverse rispetto al proprio inquadramento professionale - veniva dichiarato manifestamente infondato, a cagione della logicità, linearità e coerenza espositiva dell’apparato motivazionale rassegnato nel grado di appello.
Ivi, in particolare, veniva chiarito come «vi fosse un chiaro interesse da parte dell’ente in relazione alla condotta colposa dell’agente, costituito dal risparmio di spesa derivante dall’aver utilizzato un proprio dipendente per lo svolgimento di mansioni (lavori edili in quota) esulanti da quelle previste dal suo contratto di lavoro (custode)».
Le argomentazioni contemplate nel terzo motivo di ricorso, contrariamente alle precedenti, venivano ritenute fondate dai giudici di legittimità, i quali procedevano all’annullamento senza rinvio della gravata pronuncia, in ragione della tardiva contestazione dell’illecito e della conseguente estinzione dello stesso per decorso del relativo termine prescrizionale quinquennale.
Le ragioni sottese alla declaratoria d’intervenuta prescrizione poggiano, a ben vedere, su una lettura congiunta dei commi I e II dell’art. 22 D. Lgs. 231/2001, dai quali può essere enucleata la regola secondo la quale le sanzioni amministrative comminabili all’ente si prescrivono a seguito dello sforamento del termine di cinque anni dalla consumazione del fatto-reato, con la possibile interruzione del predetto termine laddove vi sia una rituale e tempestiva contestazione dell’illecito amministrativo all’ente mediante la notificazione di uno degli atti di cui all’art. 405, comma I, c.p.p.
Sul piano contenutistico, la contestazione deve sempre esplicitare l’identificazione della persona giuridica coinvolta e l’indicazione, dotata di chiarezza e precisione, della possibile applicazione delle sanzioni amministrative irrogabili, nonché il reato presupposto, le disposizioni di legge asseritamente violate e le fonti di prova raccolte.
Ebbene, la Cassazione, trasponendo i summenzionati principi al caso sottoposto al proprio vaglio giudiziale, osservava come la Corte territoriale napoletana, improvvidamente, avesse considerato quale atto interruttivo del termine prescrizionale quello relativo alla notificazione della richiesta di rinvio a giudizio al legale rappresentante pro tempore della persona giuridica, mai, però, notificata a quest’ultima, mentre avrebbe dovuto considerare quello della contestazione dell’illecito alla società, avvenuta con l’emissione del decreto di citazione a giudizio dell’ente. Il predetto provvedimento decretale, tuttavia, veniva spiccato soltanto nell’anno 2015, ben oltre il termine quinquennale, decorrente dal momento di consumazione del reato presupposto, collocato, sul piano temporale, nell’anno 2008.
Sulla scorta delle ragioni in precedenza declinate, il Giudice di legittimità procedeva alla declaratoria d’intervenuta prescrizione dell’illecito contestato alla compagine societaria, con la conseguente caducazione, senza rinvio, della gravata sentenza.
Sezione:
(Cass. Pen., Sez. IV, 21 febbraio 2022, n. 5869)
Stralcio a cura di Ilaria Romano
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