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Circa la possibilità per la P.A. di emanare un atto di imposizione della servitù di passaggio su un´area illegittimamente occupata

Federica Faleri

(Cons. di Stato, Adunanza Plenaria, 18 febbraio 2020, n. 5)

“La Corte Costituzionale, con sentenza 30 aprile 2015, n. 71, nello scrutinarne la legittimità costituzionale, ha affermato come l’art. 42 bis [DPR 327/2001], “ha certamente reintrodotto la possibilità, per l’amministrazione che utilizza senza titolo un bene privato per scopi di interesse pubblico, di evitarne la restituzione al proprietario (e/o la riduzione in pristino stato), attraverso un atto di acquisizione coattiva al proprio patrimonio indisponibile. Tale atto sostituisce il regolare procedimento ablativo prefigurato dal T.U. sulle espropriazioni, e si pone, a sua volta, come una sorta di procedimento espropriativo semplificato, che assorbe in sé sia la dichiarazione di pubblica utilità, sia il decreto di esproprio, e quindi sintetizza uno actu lo svolgimento dell’intero procedimento, in presenza dei presupposti indicati dalla norma [...]”. In definitiva, secondo la Corte, ciò che differenzia l’attuale art. 42 bis, dal previgente (e dichiarato costituzionalmente illegittimo) art. 43 è, innanzi tutto, l’esclusione di ogni effetto di “sanatoria”. Laddove il citato art. 43 prevedeva “un generalizzato potere di sanatoria, attribuito alla stessa amministrazione che aveva commesso l’illecito, addirittura a dispetto di un giudicato che avesse disposto il ristoro in forma specifica del diritto di proprietà violato”, l’attuale art. 42 bis consente l’acquisto della proprietà solo con effetto ex nunc al momento dell’emana­zione del decreto di acquisizione. A sua volta, l’Adunanza Plenaria, con sentenza 9 febbraio 2016 n. 2, ha affermato, in particolare, quanto segue: sul piano generale, l’art. 42-bis “configura un procedimento ablatorio sui generis, caratterizzato da una precisa base legale, semplificato nella struttura (uno actu perficitur), complesso negli effetti (che si producono sempre e comunque ex nunc), il cui scopo non è (e non può essere) quello di sanatoria di un precedente illecito perpetrato dal­l’Amministrazione (perché altrimenti integrerebbe una espropriazione indiretta per ciò solo vietata), bensì quello autonomo, rispetto alle ragioni che hanno ispirato la pregressa occupazione contra ius, consistente nella soddisfazione di imperiose esigenze pubbliche, redimibili esclusivamente attraverso il mantenimento e la gestione di [continua ..]

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Nota di Federica Faleri

La sentenza in commento risolve una controversa questione applicativa in ordine all’art. 42-bis, D.P.R. n. 327/2001 (T.U. espropri) e, in particolare, in merito alla compatibilità del giudizio restitutorio con la procedura espropriativa, essendo dirimente definire se il giudicato civile sull’obbligo di restituire un’area al proprietario da parte dell’Amministrazione occupante sine titulo possa precludere l’emanazione di un atto di imposizione di una servitù di passaggio. L’art. 42-bis del T.U. sopra richiamato disciplina la c.d. acquisizione sanante, contemplando la situazione in cui la P.A. utilizzi senza titolo, per scopi di interesse pubblico, un bene immobile di proprietà altrui, modificato in assenza di un valido provvedimento di esproprio. A tal riguardo, si prevede che l’autorità possa disporre che il bene sia acquisito, non retroattivamente, al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario sia corrisposto un indennizzo, a condizione che questo atto acquisitivo costituisca l’extrema ratio per soddisfare “attuali ed eccezionali ragioni di interesse pubblico”. Il giudizio riguarda un contratto di vendita tra soggetti privati ed il Comune, avente ad oggetto un’area in cui quest’ultimo ha edificato alcune opere, in conformità al programma di fabbricazione in vigore. Tale contratto è dichiarato nullo dal giudice civile, con sentenza passata in giudicato, in cui viene, altresì, disposto l’ordine al Comune di immediata restituzione dell’area. In seguito, il Consiglio comunale emana un atto di dichiarazione di pubblica utilità e di imposizione di una servitù di passaggio pedonale e carrabile, ai sensi dell’art. 42-bis, D.P.R. n.327/2001. I proprietari dell’area impugnano la delibera comunale dinanzi al TAR, che accoglie il ricorso, annullandola. Propone appello un soggetto controinteressato, la cui attività commerciale subirebbe pregiudizio dalla cessazione dell’uso pubblico dell’area in questione. I motivi di appello concernono la compatibilità tra il giudicato restitutorio e il procedimento ex art. 42-bis, censurando la sentenza del giudice di prime cure laddove statuisce che, trattandosi di una vicenda privatistica, un atto amministrativo non potrebbe incidere sulle trattative riguardanti la vendita dell’area. Tale affermazione, infatti, non prende in debita [continua ..]

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