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La sottrazione dei dati informatici integra appropriazione indebita

Stefania Barone

(Cass. Pen., Sez. II, 10 aprile 2020, n. 11959)

“1.1. (…) La questione che la Corte è chiamata ad affrontare concerne la possibilità di qualificare i dati informatici, in particolare singoli files, come cose mobili, ai sensi delle disposizioni della legge penale e, specificamente, in relazione alla possibilità di costituire oggetto di condotte di appropriazione indebita. (...) 1.2.2. Con alcune pronunce è stato escluso che i files possano formare oggetto del reato di cui all’art. 624 c.p., osservando che, rispetto alla condotta tipica della sottrazione, la particolare natura dei documenti informatici rappresenta un ostacolo logico alla realizzazione dell’elemento oggettivo della fattispecie incriminatrice, (...) poiché in tale ipotesi non si realizza la perdita del possesso della res da parte del legittimo detentore (…). Analogamente, con riguardo al delitto di appropriazione indebita, si è più volte affermato che oggetto materiale della condotta di appropriazione non può essere un bene immateriale (…), salvo che la condotta abbia ad oggetto i documenti che rappresentino i beni immateriali (…). 1.2.3. Solo di recente è stata affermata la possibilità che oggetto della condotta di furto possono essere anche i files (…). 1.3. (...) le prime pronunce (...) traggono spunto in primo luogo, quanto alla specificità del delitto di appropriazione indebita, dal tenore testuale della norma incriminatrice che individua l’oggetto materiale della condotta nel “denaro od altra cosa mobile”; si richiamano alla nozione di “cosa mobile” (...) caratterizzata dalla necessità che la cosa sia suscettibile di “fisica detenzione, sottrazione, impossessamento od appropriazione (...)”; ne fanno conseguire l’esclusione delle entità immateriali – le opere dell’ingegno, le idee, le informazioni in senso lato – dal novero delle cose mobili suscettibili di appropriazione, considerata anche l’unica espressa disposizione normativa che equipara alle cose mobili le energie (previsione contenuta nell’art. 624 c.p., comma 2). 1.4. La Corte non ignora l’esistenza di ragioni di ordine testuale, sistematico e di rispetto dei principi fondamentali di stretta legalità e tassatività delle norme incriminatrici (…). Occorre, però, (...) interpretare talune categorie giuridiche che, coniate [continua ..]

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Nota di Stefania Barone

Il caso in esame trae origine da un ricorso per Cassazione proposto avverso la sentenza della Corte di Appello di Torino che affermava la responsabilità penale dell’imputato in ordine al reato di cui all’art. 646 c.p. per la sottrazione di dati informatici societari. Nella specie, la vicenda oggetto del processo riguardava le condotte poste in essere da un dipendente di una società che, dopo essersi dimesso, aveva restituito il notebook aziendale, a lui affidato nel corso del rapporto di lavoro, con l’hard disk formattato, così provocando il malfunzionamento del sistema informatico aziendale e impossessandosi dei dati originariamente esistenti, che in parte venivano ritrovati nella disponibilità dell’imputato, su computer da lui utilizzato nella nuova azienda, operante nel medesimo settore, ove era stato assunto. La difesa lamentava, tra gli altri motivi, la violazione di legge in riferimento all’art. 646 c.p. per aver ritenuto in modo erroneo che i dati informatici fossero suscettibili di appropriazione indebita, non potendo essere considerati cose mobili. Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione è chiamata ad affrontare, quindi, la questione relativa alla possibilità di qualificare i dati informatici come cose mobili ai sensi dell’art. 646 c.p.. Il Supremo Collegio sottolinea, innanzitutto, la specificità del delitto di appropriazione indebita, che individua l’oggetto materiale della condotta nel “denaro od altra cosa mobile”, rilevando che la nozione di “cosa mobile” risulta caratterizzata dalla necessità che la “cosa” sia suscettibile di “fisica detenzione, sottrazione, impossessamento od appropriazione, e che a sua volta possa spostarsi da un luogo ad un altro o perché ha l’attitudine a muoversi da sé oppure perché può essere trasportata da un luogo ad un altro o, ancorché non mobile ab origine, resa tale da attività di mobilizzazione ad opera dello stesso autore del fatto, mediante sua avulsione od enucleazione”. I Giudici della seconda sezione, riflettono, poi, sulle nozioni informatiche comunemente accolte, secondo cui il file è l’insieme di dati, archiviati o elaborati, cui sia stata attribuita una denominazione secondo le regole tecniche uniformi; in altre parole, costituisce la struttura principale con cui è possibile [continua ..]

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