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Traffico di influenze illecite: definizione di mediazione

Francesco Martin 

 

 

Il delitto di traffico di influenze illecite è disciplinato dall'art. 346-bis c.p., il cui fine è la tutela anticipata dell'interesse alla legalità, al buon andamento e all’imparzialità della pubblica amministrazione, punendo, prima che possa perfezionarsi l'accordo corruttivo, colui che fa da tramite tra corrotto e corruttore mediante la propria influenza.

 

Si tratta di un reato comune, necessariamente plurisoggettivo, in quanto sia il committente sia il mediatore non debbono possedere una qualifica soggettiva particolare; tuttavia nel caso in cui il mediatore assuma la qualifica di pubblico ufficiale o incaricato di un pubblico servizio è previsto un aggravamento di pena.

 

L'art. 346-bis c.p. prevede due diverse ipotesi: la prima è rappresentata dal c.d. traffico di influenze gratuito, nel quale il committente dà o promette denaro o altro vantaggio patrimoniale al mediatore affinché quest'ultimo remuneri il pubblico agente in relazione all'esercizio delle sue funzioni o poteri.

La seconda è costituita dal c.d. traffico di influenze oneroso, laddove il committente remunera il mediatore affinché quest'ultimo realizzi una illecita influenza sul pubblico agente[1].

 

Il delitto in esame è punito a titolo di dolo specifico, in quanto il committente e il mediatore debbono stipulare un patto allo scopo specifico di remunerare il pubblico agente per il compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio o all'omissione o ritardo di un atto di ufficio, nell'ipotesi di influenze gratuite, oppure di esercitare una influenza illecita nei confronti del pubblico agente, nel caso di influenze onerose.

 

L’art. 346-bis c.p. integra una fattispecie necessariamente plurisoggettiva propria a carattere bilaterale, riconducibile alla categoria dogmatica dei c.d. reati-contratto.

 

Il delitto di traffico di influenze illecite si consuma nel momento in cui si perfeziona il patto tra il committente ed il mediatore rimanendo irrilevante il concreto esercizio dell'influenza illecita da parte del mediatore o il comportamento del pubblico agente.

 

Le disposizioni di cui all’art. 1, comma 1, lett. s) e t), L. 9 gennaio 2019, n. 3 hanno dettato alcune modifiche anche con riferimento al delitto in esame.

Tale normativa ha provveduto all’abrogazione del reato di millantato credito sulla scia delle previsioni sovranazionali che sollecitavano la punizione della compravendita di influenza e ha eliminato l’inciso contenuto nel precedente testo dell’art. 346-bis c.p. in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio o all’omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio.

È inoltre venuta meno la natura necessariamente patrimoniale del vantaggio dato o promesso al mediatore, per cui ora la disposizione individua il corrispettivo ricevuto dal venditore di influenza con il generico termine utilità e, contemporaneamente, il raggio operativo dell’incriminazione è stato ampliato agli accordi finalizzati ad influenzare un pubblico ufficiale straniero o altro soggetto menzionato nell’art. 322-bis c.p.-

Attualmente, quindi, l’art. 346-bis c.p. incrimina condotte prodromiche a più gravi fatti, secondo la tecnica dell’anticipazione della tutela; una tutela avanzata dei beni della legalità e dell’imparzialità della pubblica amministrazione rispetto ad una tipo criminoso obiettivamente non omogeneo.

L’ampliamento della clausola di sussidiarietà dell’art. 346-bis c.p., oltre ad escludere il concorso tra il traffico di influenze e le più gravi ipotesi di corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio e di corruzione in atti giudiziari, assume rilievo anche in ordine ai delitti di cui agli artt. 318 e 322-bis c.p.

Si sono fugate le incertezze, riguardanti il rapporto tra il traffico di influenze e la corruzione per l’esercizio della funzione, laddove il pubblico ufficiale (o l’incaricato di pubblico servizio) accetti la promessa o la dazione del denaro o dell’utilità offertagli dall’intermediario per il compimento di un atto conforme ai suoi doveri d’ufficio ovvero per la vendita della sua funzione, di sé stesso, del suo essere pubblico agente.

Nell’eventualità in cui la mediazione illecita vada a buon fine e si concluda l’accordo con il pubblico agente, le condotte descritte nell’art. 346-bis c.p. degraderanno a mero ante-factum non punibile, il cui disvalore risulterà assorbito in quello degli altri e più gravi delitti richiamati dalla clausola[2].

 

Il trattamento sanzionatorio prevede, per entrambi i concorrenti nel reato, la pena della reclusione da un minimo di uno ad un massimo di 4 anni e sei mesi.

Il contenimento della pena entro il limite dei cinque anni autorizza inoltre il singolo giudice, in presenza dei requisiti enumerati dall’art. 131-bis c.p., ad escludere la punibilità per particolare tenuità del fatto.

Sono state inasprite anche le pene accessorie: il traffico di influenze viene inserito nel catalogo dell’art. 32-quater c.p., dove sono elencati i delitti per i quali alla condanna alla pena principale segue la sanzione dell’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione

Tale reato è stato poi ricompreso nell’elenco dei delitti dell’art. 9, L. 16 marzo 2006, n. 146 che disciplina le operazioni sotto copertura  ad opera della Polizia giudiziaria[3].

 

Delineate in tal modo le caratteristiche del traffico di influenze illecite è ora opportuno esaminare la sentenza in commento (Cass. Pen., Sez. VI, 09.11.2021, n.40518).

La pronuncia origina dal ricorso per cassazione presentato dal difensore dell’imputato contro la decisione della Corte d’Appello la quale aveva confermato quella del Tribunale.

Al capo 1) venivano contestati i reati di cui agli artt. 81, 110, 318, 319, 321 c.p., mentre al 2) il reato di cui all’art. 7, commi 2 e 3, L. 195/1974 e art. 4, comma 1, L. 659/1981 e art. 110 c.p.-

Il giudice di prime cure tuttavia, in merito ai reati di cui al capo 1), aveva riqualificato tutti i fatti di ai sensi dell'art. 319 c.p.; in sede di appello, la Corte territoriale, nel confermare il giudizio di condanna effettuato dal Tribunale per entrambi i reati, si è confrontata con la sentenza della Corte di cassazione n. 18125/2020, nel frattempo intervenuta per le posizioni di alcuni imputanti concorrenti nel reato di cui al capo 1).

All'esito del giudizio di cassazione era stata confermata la condanna di costoro per tale capo, previa riqualificazione dei fatti da corruzione propria in traffico di influenze illecite di cui all'art. 346-bis c.p.

Il gravame si basava sulla violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 81,110,318 e 319 c.p., artt. 191 e 192 c.p.p., e alla ritenuta responsabilità del ricorrente per il reato di corruzione propria.

L'inquadramento della vicenda doveva essere ricondotto nell’ambito dell'art. 346-bis c.p. e, per la clausola di sussidiarietà in essa contenuta, era da escludersi l'ipotesi corruttiva.

Il legislatore ha inteso punire con l'art. 346-bis c.p., in via preventiva e anticipata il fenomeno della corruzione, sottoponendo a sanzione penale tutte quelle condotte, in precedenza irrilevanti, prodromiche rispetto ai reati di corruzione, consistenti in accordi aventi ad oggetto le illecite influenze su un pubblico agente che uno dei contraenti (il trafficante) promette di esercitare in favore dell'altro (il privato interessato all'atto) dietro compenso (per sé o altri o per remunerare il pubblico agente).

La lettura della norma consente di individuare il nucleo dell'antigiuridicità della condotta penalmente sanzionata non nel mero sfruttamento (vero o vantato) di relazioni con il pubblico agente (che costituisce piuttosto il mezzo attraverso il quale il soggetto agente riesce ad ottenere dal privato la dazione indebita, anche solo come promessa), bensì in tutte quelle forme di intermediazione che abbiano come finalità l'influenza illecita sulla attività della pubblica amministrazione.

 

Infatti, la norma pone sullo stesso piano (anche sanzionatorio) l’intermediazione finalizzata alla corruzione del pubblico agente e la mediazione illecita, così chiarendo che anche per quest’ultima forma di traffico l'antigiuridicità della condotta debba postarsi necessariamente sull'elemento finalistico.

In definitiva, le parti devono avere di mira un'interferenza illecita, resa possibile grazie allo sfruttamento di relazioni con il pubblico agente.

La Corte di Cassazione, sulla definizione di mediazione stabilisce che: “La norma peraltro non chiarisce quale sia la influenza illecita che deve tipizzare la mediazione e non è possibile, allo stato della normativa vigente, far riferimento ai presupposti e alle procedure di una mediazione legittima con la pubblica amministrazione (la c.d. lobbying), attualmente non ancora regolamentata. A tal fine il Collegio ritiene che l'unica lettura della norma che soddisfi il principio di legalità sia quella che fa leva sulla particolare finalità perseguita attraverso la mediazione: la mediazione è illecita quando è finalizzata alla commissione di un "fatto di reato" idoneo a produrre vantaggi per il privato committente”.

Per l’integrazione del reato in parola occorre quindi che la mediazione siano quantomeno idonea a portare benefici al soggetto privato che la richiede e che la stessa abbia come fine un atto contra legem.

La Corte, in conclusione, ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata con riferimento al reato di corruzione per non aver commesso il fatto e ha qualificato le rimanenti condotte contestate al capo 1) nel diverso reato di traffico di influenze illecite, ex art. 346-bis, comma 3, c.p., annullando la medesima sentenza, senza rinvio.

 

[1] S. Marani, Traffico di influenze illecite, in Altalex, 31.05.2018.

[2] L. Roccatagliata, Traffico di influenze illecite: la Cassazione si pronuncia sulla illiceità della mediazione onerosa in assenza di una disciplina organica del lobbismo, in Giur. Pen., 18.01.2021.

[3] G. Ponteprino, La nuova "versione" del traffico di influenze illecite: luci e ombre della riforma "spazzacorrotti, in Sist. Pen., 10.12.2019.

Sezione: Sezione Semplice

(Cass. Pen., Sez. VI, 9 novembre 2021, n. 40518)

stralcio a cura di Ilaria Romano 

“3.1. (…) Nel riqualificare i fatti in esame ai sensi dell'art. 346-bis cod. pen., la sentenza della Corte di cassazione n. 18125 del 2020 ha precisato che il limite all'applicazione della suddetta disposizione, in base alla espressa clausola, è che non vi sia un'effettiva corruzione dei soggetti pubblici con i quali il mediatore ha i rapporti effettivi e che nel caso in oggetto, non era stata prospettata “alcuna ipotesi di corruzione" dei soggetti rispetto ai quali era stata offerta la attività di mediazione illecita. La clausola di esclusione contenuta nell'art. 346-bis cod. pen. esige infatti che in concreto non sia ravvisabile il delitto di corruzione e neppure un'ipotesi di concorso. (…) 4.1. Il legislatore ha inteso punire con l'art. 346-bis cod. pen. in via preventiva e anticipata il fenomeno della corruzione, sottoponendo a sanzione penale tutte quelle condotte, in precedenza irrilevanti, prodromiche rispetto ai reati di corruzione, consistenti in accordi aventi ad oggetto le illecite influenze su un pubblico agente che uno dei contraenti (il trafficante) promette di esercitare in favore dell'altro (il privato interessato all'atto) dietro compenso (per sé o altri o per remunerare il pubblico agente). La lettura della norma consente di individuare il nucleo dell'antigiuridicità della condotta penalmente sanzionata non nel mero sfruttamento (vero o vantato) di relazioni con il pubblico agente (che costituisce piuttosto il mezzo attraverso il quale il soggetto agente riesce ad ottenere dal privato la dazione indebita, anche solo come promessa), bensì in tutte quelle forme di intermediazione che abbiano come finalità "l'influenza illecita" sulla attività della pubblica amministrazione. Infatti, la norma pone sullo stesso piano (anche sanzionatorio) la intermediazione finalizzata alla corruzione del pubblico agente e la mediazione "illecita", così chiarendo che anche per questa ultima forma di traffico l'antigiuridicità della condotta debba postarsi necessariamente sull’elemento finalistico. In definitiva, le parti devono avere di mira un'interferenza illecita, resa possibile grazie allo sfruttamento di relazioni con il pubblico agente. La norma peraltro non chiarisce quale sia la influenza illecita che deve tipizzare la mediazione e non è possibile, allo stato della normativa vigente, far riferimento ai presupposti e alle procedure di una [continua ..]

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