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Trasferimento d'azienda, accordo sindacale e deroghe all'art. 2112 c.c.

Roberto Di Chicco

Cass. civ., Sez. IV, 1 giugno 2020, n. 10414

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Le regole volte a garantire il mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di cambiamento dell’imprenditore, consentendo loro di restare al servizio del nuovo datore di lavoro alle stesse condizioni pattuite con il cedente, (cfr., tra le altre, CGUE, 15 settembre 2010, Briot, C 386/09, punto 26 e giurisprudenza citata), possono essere derogate dalle legislazioni nazionali nei soli casi espressamente previsti dall’art. 5 della Direttiva 2001/23/CE (…). Come è noto, su richiesta della Commissione delle Comunità Europee, la Corte di Giustizia (sent. 11.6.2009, C-561/07), all’esito della procedura di infrazione, ha affermato che, mantenendo in vigore le disposizioni di cui alla L. n. 428 del 1990, art. 47, commi 5 e 6, in caso di “crisi aziendale” a norma della L. n. 675 del 1977, art. 2, comma 5, lett. c), la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi su di essa incombenti in forza della Direttiva 2001/23/CE. Con tale sentenza, per quanto di rilievo nella presente sede, è stato affermato che “il fatto che un’impresa sia dichiarata in situazione di crisi ai sensi della L. n. 675 del 1977 non può implicare necessariamente e sistematicamente variazioni sul piano dell’occupazione ai sensi dell’art. 4, n. 1, della direttiva 2001/23”; “la procedura di accertamento dello stato di crisi aziendale non può necessariamente e sistematicamente rappresentare un motivo economico, tecnico o d’organizzazione che comporti variazioni sul piano dell’occupazione ai sensi dell’art. 4, n. 1, della suddetta direttiva”. Dunque, lo stato di crisi aziendale non costituisce in sé motivo economico per riduzione dell’occupazione, né costituisce in sé ragione di deroga al principio generale secondo cui il trasferimento di un’impresa o di parte di essa non è di per sé motivo di licenziamento da parte del cedente o del cessionario, dovendo i licenziamenti essere giustificati da motivi economici, tecnici o d’organizzazione (punto 36). È stato inoltre chiarito come, “ammesso che la situazione dell’impresa di cui sia stato accertato lo stato di crisi possa essere considerata come costituente una situazione di grave crisi economica”, l’art. 5, n. 3, della Direttiva 2001/23 autorizzi gli Stati membri a prevedere che “le condizioni di lavoro possano essere [continua ..]

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Nota di Roberto Di Chicco

La sentenza in commento si inserisce nell’annosa vicenda “Alitalia”, culminata nel trasferimento d’azienda tra la cedente Compagnia Aerea Italiana S.p.A. (C.A.I.) e la cessionaria Società Aerea Italiana S.p.A. (S.A.I.). A seguito di licenziamento intimato dalla C.A.I., annullato per violazione della L. n. 223 del 1991, artt. 4, co. 9 e 5, con conseguente reintegra della lavoratrice nei confronti della cedente, la ricorrente adisce il Supremo Collegio per chiedere che la reintegra operi, invece, nei confronti della cessionaria S.A.I., ritenendo che la cessione aziendale debba necessariamente interessare tutto il personale e non singoli lavoratori specificamente indicati nell’accordo di cessione. La quaestio iuris in esame presuppone l’interpretazione della portata derogatoria della L. n. 428 del 1990, art. 47, comma 4-bis (testo ante novella del 2019), che disciplina le vicende circolatorie dell’impresa in crisi. È possibile, infatti, prescindere dalle previsioni dell’art. 2112 c.c (e della direttiva 2001/23/CE), nel caso in cui sia stato raggiunto «un accordo circa il mantenimento, anche parziale, dell’occupazione», purché il trasferimento abbia ad oggetto aziende delle quali «sia stato accertato lo stato di crisi aziendale»[1], fermo il requisito cardine della «continuazione o mancata cessazione dell’attività» dell’azienda. L’interrogativo posto, dunque, è determinare in che misura e con quali limiti tale compressione operi. In occasione di trasferimento d’azienda, la dir. 2001/23/CE appronta uno schema minimo di tutela dei lavoratori, di base inderogabile, articolato in tre ordini: a) la continuazione del rapporto di lavoro dei dipendenti del cedente nei confronti del cessionario (art. 3, par. 1); b) il mantenimento delle condizioni di lavoro previste dal contratto collettivo stipulato dal cedente, sino alla scadenza o dell’entrata in vigore di uno di pari livello, per un periodo comunque non inferiore ad un anno (art. 3, par. 3); c) il divieto di licenziamento esclusivamente in ragione del trasferimento (art. 4, par. 1). Il seguente art. 5 pone alcune deroghe[2] nel caso in cui il trasferimento si verifichi nel corso di una procedura di insolvenza. In tale ipotesi, è tracciata una summa divisio fra le procedure aperte in vista della liquidazione dei beni (art. 5, par. 1) e quelle che, al [continua ..]

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