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Truffa a “tre soggetti”: deve esserci identità tra il soggetto che compie l´atto di disposizione patrimoniale e il soggetto ingannato
Giustino Regia Corte
(Cass. Pen., Sez. VI, 20 ottobre 2020, n. 28957)
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Nota di Giustino Regia Corte
La Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi sul ricorso presentato da un medico della locale Azienda Sanitaria che si vedeva condannato, nei primi due gradi di giudizio, per il reato di truffa ai danni dello Stato ex art. 640, comma 2, n. 1, c.p., con applicazione del cumulo giuridico ai sensi dell’art. 81 cpv, c.p. Nello specifico la condanna è riferibile a due episodi distinti. Nel primo il medico, avendo stipulato un contratto di lavoro con patto di esclusiva con la relativa ASL locale, contravveniva al suddetto patto esercitando anche attività libero professionale privatamente; un secondo episodio vedeva il medico, componente della commissione per il rilascio di patenti di guida, emettere fatture ai pazienti per conto della ASL per prestazioni (visite mediche di idoneità alla guida) in realtà mai eseguite. Preme innanzitutto soffermarsi sugli elementi costitutivi del reato in esame. Il delitto di truffa è previsto dall’art. 640 c.p. e punisce chiunque con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno. Il secondo comma, dando rilevanza alla qualificazione pubblicistica della persona offesa, punisce la c.d. truffa ai danni dello Stato, che prevede un trattamento sanzionatorio più rigido – reclusione da uno a cinque anni e multa da € 309 a € 1.549, anziché reclusione da sei mesi a tre anni e multa da € 51 a € 1.032 – qualora il fatto sia commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico. Il delitto in parola è un reato comune a forma vincolata: la condotta consiste nel raggirare o creare espedienti in modo da indurre la vittima in errore e ricevere un profitto ingiusto con l’altrui danno. Dunque elementi costitutivi dell’art. 640 c.p. sono: gli artifici e i raggiri dell’agente, l’induzione in errore della vittima, l’atto di disposizione patrimoniale della vittima, l’ingiusto profitto dell’agente e il danno ingiusto della vittima, danno che deve essere sempre di carattere patrimoniale. Si tratta di un reato di danno, dato che presuppone il profitto dell’agente e il danno altrui. Per la dottrina e la giurisprudenza dominante tale norma mira a tutelare la libertà del consenso nei negozi patrimoniali. La differenza con l’affine reato di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, di cui [continua ..]