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La tutela antidiscriminatoria delle persone LGBT: tra rilevanza della discriminazione potenziale, interpretazione estensiva “delle condizioni di accesso al lavoro” e libertà di manifestazione del pensiero

Gerardina Erika Forino

Cass. civ., Sez. I, 15 dicembre 2020, n. 28646

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(…) Con il primo motivo, il ricorrente deduce la violazione o la falsa applicazione dell’art. 437 c.p.c., non avendo la Corte territoriale provveduto alla lettura del dispositivo in udienza, con la conseguente nullità della sentenza ex art. 156, comma 2, c.p.c., trattandosi di rito del lavoro. Il ricorrente, premesso che il giudizio era stato introdotto con il rito sommario di cognizione ex artt. 702-bis c.p.c. e 28 d.lgs. 150/2011 innanzi al Giudice del lavoro e che l’appello era stato introdotto con ricorso secondo il rito lavoristico e nel rispetto dei termini di cui all’art. 702-quater c.p.c., ritiene che il giudizio d’appello avrebbe dovuto svolgersi secondo il rito «ordinario» del lavoro; di conseguenza, la Corte territoriale avrebbe violato il disposto dell’art. 437 c.p.c., non procedendo alla lettura del dispositivo in udienza, con conseguente nullità della sentenza. Il motivo è infondato. La controversia in questione non è soggetta al rito del lavoro e comunque non è stata trattata secondo quel rito (…). Con il secondo motivo, il ricorrente censura la violazione o falsa applicazione degli artt. 75, 81 e 100 c.p.c., nonché la falsa applicazione dell’art. 5 d.lgs. 9 luglio 2003, n. 216. Lamenta che la Corte del merito abbia ravvisato la capacità processuale e la legittimazione ad agire dell’associazione, nonostante questa sia composta esclusivamente da avvocati, o praticanti tali, e sia specializzata nella difesa giudiziaria dei diritti di tali persone (…). La Corte d’appello, dopo la ricostruzione della disciplina europea e nazionale sul punto, ha riconosciuto la legittimazione ad agire dell’Associazione, in quanto dedita alla «tutela dei diritti e degli interessi delle persone omosessuali», in considerazione dello statuto di quest’ultima, secondo il quale essa «ha lo scopo di contribuire a sviluppare e diffondere la cultura e il rispetto dei diritti delle persone LGBTI, sollecitando l’attenzione del mondo giudiziario», e «gestisce la formazione di una rete di avvocati (...), favorisce e promuove la tutela giudiziaria, nonché l’utilizzazione degli strumenti di tutela collettiva, presso le Corti nazionali e internazionali» (…). Il quesito posto alla Corte di giustizia UE con l’ordinanza interlocutoria di questa Corte riguardava direttamente [continua ..]

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Nota di Gerardina Erika Forino

Con la pronuncia che si annota, la S.C. imprime innovativa e rigorosa carica alla tutela del diritto a non essere discriminati nell’accesso all’occupazione in ragione dell’orientamento sessuale conformandosi, con tanto, al quadro legislativo sovranazionale di nuova generazione varato in punto di diritto antidiscriminatorio sulla base della competenza unionale di cui al corrente art. 119 TFUE (Direttiva 2000/78/CE, recepita con D.lgs. 216/2003) oltre che, al percorso ermeneutico tracciato dalla giurisprudenza comunitaria (CGUE, 10/07/2008, C-54/07, caso Feryn; CGUE 25/04/2013, C-81/12, caso Accept). La sentenza, per vero, giusta sintesi del consolidato orientamento della Corte di Lussemburgo in punto di legittimazione ad agire dell’associazione rappresentativa degli interessi lesi e di rilevanza della discriminazione potenziale, costituisce il primo caso di violazione della disciplina antidiscriminatoria concernente l’orientamento sessuale portato all’attenzione della giurisprudenza di legittimità. Con ricorso ex art. 702-bis c.p.c., l’Associazione Avvocatura per i diritti LGBT conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Bergamo, l’Avvocato T.C. al fine di ottenere l’accertamento della natura discriminatoria delle dichiarazioni rese dallo stesso nel corso di una trasmissione radiofonica con riguardo alla proclamata policy assuntiva delle persone omosessuali oltre che la condanna al risarcimento del pregiudizio sofferto. Riconosciuta, ad opera del giudice di prime cure, la natura omofobica delle dichiarazioni rese e, confermata dalla Corte territoriale la pronuncia di condanna all’esito dell’interposto appello, il soccombente adiva la S.C. affidando l’impugnazione tra gli altri, ai seguenti motivi di censura: violazione e falsa applicazione degli artt. 75, 81, 100 c.p.c. nonché 5 del D.lgs. 216/2003 nella misura in cui la Corte territoriale aveva riconosciuto la legittimazione ad agire dell’associazione in difetto di partecipazione di soggetti attivi nella realizzazione degli interessi perseguiti nonché, degli artt. 2, comma I, lett. a e 3 D.lgs. 216/2003 oltre che, la illegittimità costituzionale dell’art. 2, lett. a e b e 3 lett. a del D.lgs. 216/2003 con riguardo all’art. 21 Cost.. Con pronuncia C-507/18, la CGUE adita ex art. 267 TFUE dai giudici italiani, ancorandosi a quanto già osservato nelle precedenti pronunce, [continua ..]

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