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Vendita di criptovalute online: integra il reato di abusivismo finanziario di cui all´art. 166 TUF se proposta come investimento
Ilenia Seminerio
(Cass. Pen., Sez. II, 17 settembre 2020, n. 26807)
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Nota di Ilenia Seminerio
Con la pronuncia in commento la Seconda Sezione Penale della Corte di Cassazione si è espressa, in sede cautelare, su questione quantomai dibattuta in tema di cryptocurrency crimes: la qualificazione giuridica delle criptovalute e la configurabilità del reato di abusivismo finanziario nell’ipotesi di vendita online di bitcoins. La questione traeva origine dal ricorso presentato dalla difesa avverso il provvedimento con il quale il Tribunale del riesame di Milano confermava il sequestro preventivo, disposto dal Gip, di fondi ed altri beni ritenuti pertinenti ai reati di riciclaggio (art. 648 bis c.p.), indebito utilizzo e falsificazione di carte di credito e di pagamento (art. 493 ter c.p.) ed abusivismo finanziario (art. 166, comma 1, lett. c), d.lgs. 58/98), ascritti all’indagato. Tra le doglianze esposte, figurava l’omessa valutazione dei nuovi motivi che la difesa adduceva a sostegno della mancanza dell’elemento soggettivo del reato di riciclaggio. Di contro, la Cassazione condivideva la ricostruzione del giudice cautelare, secondo cui le circostanze emerse in sede di indagine apparivano “difficilmente compatibili con un atteggiamento psicologico diverso dal dolo”. Riteneva, infatti, che l’indagato non soltanto avesse acquistato e venduto criptovalute, ma che si fosse, altresì, prodigato attivamente al fine di consentire il reimpiego dei proventi degli illeciti realizzati online. Più in particolare, si accertava che il denaro frutto della truffa ai danni della vittima confluiva, insieme ad altri proventi delittuosi, su un conto ING Bank e che questo veniva, poi, svuotato in favore di un altro conto online presso una banca tedesca, acceso anche mediante l’invio di un numero telefonico riconducibile all’indagato. Nella movimentazione in uscita del conto tedesco, poi, risultavano alcune carte prepagate con le quali venivano acquistate criptovalute mediante nickname virtuali, cui corrispondeva l’utenza telefonica dell’indagato; questa, di fatto, figurava anche in altri conti online, sui quali – con il medesimo meccanismo – venivano fatti confluire i proventi di altri illeciti. La difesa rivendicava, poi, la non estensibilità al caso di specie della normativa prevista per gli strumenti finanziari, escludendo, quindi, la sussistenza del reato di abusivismo. Obiettava, infatti, che la valuta virtuale bitcoin fosse strumento di pagamento e non [continua ..]