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Violenza sessuale mediante costrizione: chiarito il concetto di abuso di autorità

Mariarita Cupersito

(Cass. Pen., SS.UU., 1 ottobre 2020, n. 27326)

“1. La questione di diritto per la quale il ricorso è stato rimesso alle Sezioni Unite è la seguente: “Se, in tema di violenza sessuale, l’abuso di autorità di cui all’art. 609-bis c.p., comma 1, presupponga nell’agente una posizione autoritativa di tipo formale e pubblicistico o, invece, possa riferirsi anche a poteri di supremazia di natura privata di cui l’agente abusi per costringere il soggetto passivo a compiere o subire atti sessuali”. (…) La Sezione rimettente ha posto in evidenza due diversi indirizzi interpretativi venutisi a formare con riferimento alla violenza sessuale definita “costrittiva” in relazione al concetto di “abuso di autorità” dopo una prima pronuncia delle Sezioni Unite (…) nella quale, in via incidentale, essendo la questione prospettata relativa alla interpretazione dell’art. 600-ter c.p., comma 1, si era stabilito che l’abuso di autorità di cui all’art. 609-bis c.p., comma 1, presuppone nell’agente una posizione autoritativa di tipo formale e pubblicistico, escludendone la configurabilità nei confronti di un insegnante privato che aveva compiuto atti sessuali con un minore degli anni sedici a lui affidato per ragioni di istruzione ed educazione, ritenendo conseguentemente corretta la decisione del giudice di merito che aveva qualificato il fatto come atti sessuali con minorenne ai sensi dell’art. 609-quater c.p.. (…) Il diverso orientamento, richiamando la prevalente dottrina, propende invece per un concetto di abuso di autorità più ampio, comprensivo di ogni relazione, anche di natura privata, in cui l’autore del reato riveste una posizione di supremazia della quale si avvale per coartare la volontà della persona offesa (…). Ancora una volta viene richiamata l’attenzione sul contenuto dell’art. 61 c.p., n. 11 (…) osservando che lo stesso si riferisce, indifferentemente, all’abuso di autorità o di relazioni domestiche, ovvero di relazioni d’ufficio, di prestazioni d’opera, di coabitazione o di ospitalità e ricordando come la giurisprudenza ne abbia sempre offerto un’interpretazione pacificamente ampia, riferibile indistintamente tanto all’autorità pubblica che a quella privata, mentre quando il legislatore intende considerare una posizione autoritativa di tipo [continua ..]

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Nota di Mariarita Cupersito

Le Sezioni Unite affermano con la sentenza n. 27326 del 2020 il seguente principio di diritto: “l’abuso di autorità cui si riferisce l’art. 609-bis, comma primo, c.p., presuppone una posizione di preminenza, anche di fatto e di natura privata, che l’agente strumentalizza per costringere il soggetto passivo a compiere o subire atti sessuali”. La questione rimessa alle Sezioni Unite con ordinanza n. 2888 del 2020, tenuto conto del contrasto giurisprudenziale sorto in materia, concerneva la configurabilità o meno dell’ag­gravante dell’abuso di autorità di cui all’art. 609-bis, comma 1, c.p. così esposta: “se l’abuso di autorità di cui all’art. 609 bis comma primo cod. pen. presupponga nell’agente una posizione autoritativa di tipo formale e pubblicistico o se, invece, si riferisca anche a poteri di supremazia di natura privata di cui l’agente abusi per costringere il soggetto passivo a compiere o subire atti sessuali”. Un primo orientamento in materia sostiene che l’abuso di cui all’art. 609-bis presupponga una posizione autoritativa di tipo formale e pubblicistico nell’agente, in assenza della quale dovrà applicarsi la diversa ipotesi dell’art. 609-quater; un secondo orientamento include invece nell’abuso di autorità, inteso come modalità di consumazione del reato di cui all’art. 609-bis c.p., ogni potere di supremazia, inclusi quelli di natura privata, di cui l’agente abusi per costringere il soggetto passivo a compiere o a subire atti sessuali. Ancor prima di individuare l’origine della posizione autoritativa rilavante per la configurabilità del reato, le SS.UU. delineano il concreto significato dell’espressione “abuso di autorità” nel contesto in cui si esso pone. La differenza nella formulazione dei primi due commi dell’art. 609-bis c.p. permette infatti di rilevare come, nella violenza sessuale “costrittiva”, il soggetto passivo subisca o ponga in essere un evento non voluto perché la sua capacità di azione e di reazione è annullata o limitata, derivandone una costrizione in danno della capacità di autodeterminazione, mentre nella la violenza sessuale “induttiva” ricadono le ipotesi in cui l’agente persuade la persona offesa a compiere atti che altrimenti non avrebbe [continua ..]

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