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Il mancato dissenso ai rapporti sessuali con il proprio coniuge, in costanza di convivenza, non ha valore scriminante quando sia provato che la parte offesa abbia subito tali rapporti per le violenze e le minacce ripetutamente poste in essere nei suoi confronti, con conseguente compressione della sua capacità di reazione per timore di conseguenze ancor più pregiudizievoli.
Argomento: Dei delitti contro la persona
Sezione: Sezione Semplice
“(...) Con sentenza del 10 giugno 2020 il Tribunale di Roma, in composizione collegiale, ha dichiarato A.A. colpevole dei reati (...) di cui agli artt. 81 cpv., 61 n. 11-quinquies e 572, comma 1, cod. pen., e (...) di cui agli artt. 61 n. 2, 81 cpv., 609-bis, comma 1, e 609-tern. 5-quater, 609-septies, comma 4, n. 4, cod. pen. (...).
Con sentenza del 15 settembre 2023 la Corte di appello romana ha confermato la sentenza del Tribunale (...).
Ha proposto tempestivamente ricorso per cassazione l’imputato (...) affidandolo a due motivi.
Col primo deduce mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo della sentenza impugnata in relazione alla conoscenza dell’imputato del dissenso della moglie (...). Essenziale ad integrare la violenza è la prova di una qualsiasi forma di costringimento psico-fisico, senza che rilevino (...) l’esistenza di un rapporto coniugale o para-coniugale o la circostanza che la donna non si opponga palesemente ai rapporti sessuali, laddove risulti provato che l’agente abbia la consapevolezza di un rifiuto implicito da parte di quest’ultima al compimento di atti sessuali.
In tal senso (...) la (...) difesa (...) afferma (...) che la donna non ha mai espresso il proprio dissenso e soprattutto che l’imputato non ne fosse a conoscenza. In tal senso deporrebbero le dichiarazioni di imputato e parte offesa “che coincidono perfettamente nell’affermare che l’imputato non fosse minimamente a conoscenza nemmeno del ed. ‘rifiuto implicito’”; non è stato provato che il contesto difficile impedisse alla donna di manifestare il proprio dissenso, che pur faticosamente aveva dimostrato di riuscire ad opporre sempre in ambito familiare, per emanciparsi dagli schemi culturali patriarcali del marito; se ciò non è, automaticamente, prova della “mancanza di volontà sessuale nei confronti del marito” (...), tuttavia dimostra che lo stesso “non poteva avere contezza di un dissenso” che invece era stato espresso su tutti gli altri profili (...). (...)
Col secondo motivo deduce nullità della sentenza ex art. 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen., per carenza, illogicità e contraddittorietà della motivazione.
La Corte d’Appello non ha rispettato l’obbligo impostole dall’art. 125, comma 3, cod. proc. pen. nel momento in cui [continua ..]
Sezione: Sezione Semplice
(Cass. Pen., Sez. III, 3 dicembre 2024, n. 44037)
Stralcio a cura di Roberto Zambrano
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