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Danno da cosa in custodia ex art. 2051 cc: il ruolo del concorso del danneggiato
Rosa D'Errico
La sentenza in commento involge la tematica relativa alla responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia ai sensi dell'articolo 2051 del codice civile, secondo cui ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, eccetto il caso in cui provi il caso fortuito.
Tale questione è particolarmente dibattuta in dottrina e giurisprudenza, segnatamente per ciò che concerne l'applicabilità della responsabilità custodiale alla Pubblica amministrazione ed in particolare alle strade di cui essa è custode.
La vicenda processuale trae origine da un sinistro stradale in cui un soggetto perde la vita mentre era alla guida del proprio autoveicolo, abbattendosi contro un muro.
I congiunti e gli eredi agiscono in giudizio nei confronti del Comune in cui si è verificato il fatto, chiedendo il risarcimento dei danni per la morte del loro familiare. Essi sostengono che la causa dell'incidente va ravvisata nelle condizioni deteriorate e malridotte della strada, nonché nell'assenza di illuminazione pubblica.
Il Tribunale in primo grado statuisce per il concorso di responsabilità tra ente comunale, in quanto custode della res, e vittima dell'incidente stradale nella misura pari alla metà per ognuno.
La suddetta decisione viene poi successivamente confermata anche dalla Corte di Appello, la quale escude il caso fortuito e specifica che l'origine dell'incidente è attribuibile sia alle precarie condizioni della rete stradale, quali la carenza di illuminazione pubblica, l'assenza della striscia di delimitazione continua sulla carreggiata, e la presenza di un muro occultato da una densa vegetazione che ne ostacola la visibilità, sia alla "velocità abnorme" del veicolo, la quale risulta inusuale e non conforme allo stato del luogo.
La condotta negligente del danneggiato, caratterizzata dall'omissione di precauzioni necessarie e dalla mancanza della debita diligenza, è stata considerata come un elemento rilevante, seppur non esclusivo, nella causazione dell'evento dannoso che ha portato al decesso dello stesso soggetto danneggiato.
Il Comune del luogo in cui si è verificato l'incidente stradale presenta ricorso per Cassazione ai sensi dell'art. 360 e seguenti del codice di procedura civile, lamentando la violazione e la falsa applicazione degli articoli 1227, 2043 e 2051 del codice civile. Sostiene che la Corte di Appello non ha tenuto debitamente conto delle osservazioni riportate nel verbale della polizia municipale, secondo cui non risultava alcun restringimento della carreggiata (ampia ben 4 metri), e pertanto non esisteva alcun obbligo di segnalazione.
In aggiunta, l'amministrazione comunale specifica che la vittima era consapevole della presenza di un muretto atto a delimitare la carreggiata e delle limitate condizioni di illuminazione stradale, poiché era abituata a percorrere regolarmente quella strada per raggiungere la propria abitazione. Nell'occasione in questione, la vittima stava viaggiando a una velocità di 108 km/h, la quale non era certamente adeguata allo stato dei luoghi.
Inoltre, l'ente comunale lamentava la violazione e falsa applicazione dell'articolo 2051 del codice civile, affermando che la Corte di Appello avrebbe commesso un errore poiché la velocità con cui la vittima stava viaggiando prima di impattare contro il muro costituiva un fattore eziologico assorbente, come attestato sia dal verbale della polizia municipale che dal perito tecnico giudiziario.
Nonostante il rigetto del ricorso da parte della Suprema Corte, che ha ritenuto "in parte inammissibili e in parte infondati" i motivi esposti, questa pronuncia riveste significativa importanza. Difatti, attraverso tale decisione, la Corte di Cassazione offre un quadro chiarificatore riguardo alla responsabilità custodiale, al fine di sanare il "disordine interpretativo" e le "incertezze ermeneutiche" emerse tra gli studiosi del diritto.
In via preliminare, si rileva che la questione inerente alla natura giuridica della responsabilità in esame ha costantemente suscitato contese, sia in ambito dottrinale che giurisprudenziale.
Parte degli interpreti classifica tale responsabilità come responsabilità per colpa, presunta fino a prova contraria, conformemente ai principi propri dell'illecito aquiliano previsto dall'articolo 2043 del codice civile.
Tale responsabilità va comunque rinvenuta nel fatto dell'uomo, ossia il custode, il quale è venuto meno ai suoi doveri di controllo e sorveglianza sulla res.
Diversamente, un'altra corrente interpretativa propone la teoria della responsabilità oggettiva. In questo contesto, la responsabilità si basa esclusivamente sul mero nesso di causalità, prescindendo da qualsiasi connotato di colpa.
Il suddetto modello di responsabilità si configura primariamente quale strumento funzionale all'ottimizzazione della riparazione del danno, con la finalità di ridistribuire l'onere economico derivante da un evento dannoso dal danneggiato al soggetto che gode dei benefici derivanti dalla cosa e dispone del potere di intervenire sul medesimo bene.
La prova liberatoria, secondo tale impostazione, consiste nell'evidenziare che l'evento dannoso è stato generato da una causa estranea alla sfera di controllo e azione del custode, producendo l'effetto di interrompere il nesso causale.
Questo fattore causale esterno, con effetto liberatorio totale o parziale per il custode, può esser rappresentato da un fatto naturale, un fatto del terzo o anche dal comportamento del danneggiato.
La Corte di Cassazione aderisce all'orientamento, invero maggioritario in giurisprudenza, che qualifica la responsabilità di cui all'art. 2051 del codice civile come responsabilità di natura meramente oggettiva.
Difatti, la Suprema Corte, con una pronuncia a Sezioni Unite (sentenza 20943 del 30 giugno 2022) aveva ribadito che "la responsabilità di cui all'art. 2051 c.c. ha carattere oggettivo, e non presunto, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell'attore del nesso di causalità tra la cosa in custodia e il danno, mentre sul custode grava l'onere della prova liberatoria del caso fortuito, senza alcuna rilevanza della diligenza o meno del custode".
La Corte Suprema argomenta che il caso fortuito, sia esso provocato da un evento naturale o dall'azione di un terzo, è contraddistinto dalla sua imprevedibilità ed inevitabilità, da "intendersi però da un punto di vista oggettivo e della regolarità causale (o della causalità adeguata)", senza che rilevi il comportamento diligente o meno del custode.
Il caso fortuito, rappresentato, invece, da un comportamento negligente del danneggiato "è connotato dalla esclusiva efficienza causale nella produzione dell'evento".
Tale condotta va, invero, commisurata al grado di incidenza causale sull'evento di danno secondo i dettami dell'art. 1227 del codice civile, nonchè il generale principio di solidarietà sancito dall'art. 2 della Costituzione.
Di conseguenza, la condotta di chi, avendo la capacità di intendere e volere, si espone volontariamente a un rischio che potrebbe essere evitato con l'impiego della diligenza ordinaria, diventa la fonte esclusiva dell'illecito.
Ne deriva che se l'evento infausto può essere previsto – e di conseguenza evitato – dal danneggiato, usando i normali criteri della diligenza e precauzione, "tanto più incidente deve considerarsi l'efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso".
E' opportuno evidenziare che, mentre il caso fortuito rientra nella sfera dei fatti giuridici e si relaziona direttamente ed immediatamente con la res, senza alcun intervento di elementi soggettivi, la condotta del terzo e quella del danneggiato si configurano come atti giuridici e si distinguono per la presenza dell'elemento soggettivo della colpa, ai sensi dell'articolo 1227 del codice civile, comma 1.
Tali comportamenti possono assumere rilevanza causale in concorso con il custode o, perfino, rivestire carattere totalmente esclusivo.
La Suprema Corte nella sentenza de qua, inoltre, così come ribadito in precedenti pronunce di legittimità (ex multiis Cass. 18 febbraio 2000, n. 1859; Cass. 20 ottobre 2005, n. 20317) precisa che per individuare il responsabile dell'illecito ai sensi dell'articolo 2051 del codice civile non occorre far riferimento alla custodia di matrice contrattuale.
Invero, il soggetto responsabile, in virtù della natura essenzialmente fattuale della relazione, può essere anche colui che non detiene alcun titolo giuridico sulla cosa da custodire.
L'ambito applicativo della norma sulla responsabilità custodiale "si arresta soltanto dinanzi alle cose insuscettibili di custodia in termini oggettivi (acqua, aria)".
Pertanto, dopo aver ripercorso i caratteri salienti della responsabilità per i danni da cose in custodia, la Suprema Corte nel rigettare il ricorso, evidenzia che nel caso in esame hanno concorso alla causazione dell'evento dannoso "sia la condotta del conducente, in specie la velocità rispetto ai luoghi", sia "le carenze dell'amministrazione", quali la mancanza di illuminazione pubblica, l'assenza della striscia di delimitazione continua sulla carreggiata e la presenza di un muro non segnalato.
Ne deriva, di conseguenza, una ipotesi di responsabilità del custode – ente comunale ai sensi dell'articolo 2051 del codice civile, in concorso con la condotta posta in essere dal danneggiato – vittima dell'incidente stradale.
Sezione: Sezione Semplice
(Cass. Civ., Sez. III, 23 maggio 2023 n. 14189)
stralcio a cura di Giovanni Pagano
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