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Elementi costitutivi e quantificazione dell'assegno divorzile: il ruolo della casa familiare
Gabriele Monforte
Con l’ordinanza n. 8794 del 2023 la Suprema Corte di cassazione è intervenuta a fare ulteriore chiarezza sugli elementi costitutivi dell’assegno divorzile, puntualizzando anche la concreta rilevanza dell’assegnazione della casa familiare ai fini della quantificazione dello stesso. In questa prospettiva, più precisamente, l’ordinanza in esame appare da un canto ricognitiva dei principi generali espressi dalle note Sezioni Unite n. 1828/2018 e dall’altro – in tema di casa familiare - estensiva dei precetti già affermati dalla Cassazione n. 27599/2022 in materia di separazione.
Procedendo con ordine, prima di passare ad analizzare il caso pratico risolto dall’ordinanza in commento, mette conto, preliminarmente, delineare sul piano della teoria generale il fondamento dell’assegno divorzile ed il ruolo della casa familiare in relazione alla sua quantificazione.
In proposito, giova precisare che l’odierna considerazione in ordine alla struttura dell’assegno di divorzio discende da un lungo e tormentato dibattito giurisprudenziale figlio di diverse concezioni non soltanto giuridiche ma anche etico-sociali. Sul punto, si fronteggiavano essenzialmente due tesi.
Una incline a sostenere che l’assegno de quo dovesse essere idoneo a consentire al coniuge beneficiario di conservare un tenore di vita analogo a quello goduto durante il matrimonio.
L’altra, di segno opposto, propensa a ritenere che l’assegno in esame dovesse essere limitato alle risorse necessarie per assicurare all’ex coniuge un regime di vita decoroso, con l’ulteriore specificazione che detta corresponsione, avendo natura solo assistenziale, dovesse spettare esclusivamente all’ex coniuge privo di mezzi economici adeguati ad assicurargli una condizione di autosufficienza economica e che non potesse procurarseli per ragioni oggettive, escludendo, in ogni caso, un diritto alla conservazione del tenore di vita goduto durante il matrimonio.
I due orientamenti appena prospettati hanno trovato una definitiva composizione con la citata decisione delle Sezioni Unite del 2018. Queste ultime, muovendo dal dato normativo (i.e. dall’art. 5 l. div.), hanno precisato che l’assegno di divorzio ha natura composita, in pari misura assistenziale e riequilibratrice (o perequativo-compensativa), apparendo, per contro, estranea alla lettera della legge la componente inerente al precedente tenore di vita goduto dai coniugi.
Ne segue, pertanto, che in ordine sia all’an sia al quantum dell’assegno divorzile, il giudice dovrà tenere conto soltanto della componente assistenziale e di quella equilibratrice in quanto ne costituiscono i soli elementi costitutivi.
Con riferimento alla componente assistenziale, quest’ultima deve essere apprezzata dal giudice qualora la situazione economico-patrimoniale di uno dei due coniugi non gli assicuri l’autosufficienza economica. Più precisamente, quest’ultima trova il proprio fondamento nella solidarietà post-coniugale ex art. 2 Cost. e postula, quale presupposto indefettibile, il difetto di autosufficienza economica in capo ad uno dei due coniugi.
La componente riequilibratrice viene in rilievo, invece, laddove le situazioni economico-patrimoniali dei due coniugi appaiano squilibrate in ragione del prevalente contributo fornito da uno dei due consorti alla conduzione della vita familiare e/o del mènage domestico, con rinunce da parte dello stesso ad occasioni professionali e reddituali attuali o potenziali. In questo senso, più precisamente, la componente in esame mira a compensare e a perequare l’intervenuto squilibrio economico tra i due ex coniugi, in ragione dei sacrifici dell’uno nei confronti dell’altro. Sacrifici suscettibili da un canto di indebolire (o comunque non accrescere) la sfera economica dell’ex coniuge richiedente l’assegno e dall’altro di incrementare il patrimonio familiare comune e/o quello personale dell’altro coniuge. Pertanto, quanto all’accertamento di detta componente, il giudice è chiamato a verificare non già la mancanza della semplice autosufficienza economica dell’ex coniuge richiedente, ma la presenza di uno squilibrio economico patrimoniale e reddituale tra gli ex coniugi derivante dalle scelte comuni di conduzione familiare, le quali assumono rilievo nei limiti in cui abbiano comportato, per uno dei due sposi, sacrifici di aspettative professionali e reddituali, tenuto conto anche, a mente del citato art. 5 l. div., della durata del matrimonio.
Per tali ragioni, ne discende che le predette componenti dell’assegno divorzile devono essere considerate autonomamente, dialogando tra loro solo nel senso di far accrescere o diminuire il valore economico dell’erogazione in esame. Ciò comporta che l’organo giudicante non può riconoscerle automaticamente ma è tenuto a verificare di volta in volta la concreta sussistenza di entrambe, le quali si fondano su presupposti del tutto differenti. Di conseguenza, laddove il giudice riscontri il solo deficit di autosufficienza economica in capo ad uno dei due coniugi ma non accerti lo squilibrio economico nei termini sopra precisati, potrà determinarsi soltanto nel senso di riconoscere la componente assistenziale dell’assegno, senza poter riconoscere quella perequativo-compensativa. Viceversa, laddove accerti soltanto lo squilibrio economico, potrà optare soltanto per il riconoscimento della componente riequilibratrice senza poter riconoscere quella assistenziale.
Tanto premesso, ne consegue che se ai fini della concessione dell’assegno in esame sul piano dell’an è sufficiente che almeno una tra le due componenti in parola sia riconosciuta dal giudice, sotto il profilo del quantum, l’ammontare dello stesso assegno può variare a seconda che le predette componenti siano riconosciute sussistenti cumulativamente o singolarmente. Ovviamente, laddove riconosciute cumulativamente, il giudice dovrà determinarsi nel senso di liquidare un ammontare maggiore, mentre, qualora ne riconosca esistente una soltanto, l’erogazione del contributo in parola avrà un valore inferiore.
Sul punto, occorre ancora precisare che l’onere di provare l’esistenza di tali componenti incombe, a mente degli ordinari principi ricavabili dalle regole sul riparto probatorio di cui all’art. 2697 c.c., sull’ex coniuge richiedente l’assegno divorzile. In ogni caso, come osservato anche dalla sentenza in commento, l’assegno de quo cessa con le nuove nozze dell’avente diritto[1] (art. 5, comma 10, l. div.) e appare suscettibile di subire variazioni, in aumento o in diminuzione, per effetto del cambiamento della situazione patrimoniale relativa al debitore o al creditore considerata al momento della sentenza che lo dispone.
Ciò posto, le considerazioni sin qui svolte necessitano di essere ulteriormente coordinate con l’indagine circa il ruolo dell’assegnazione della casa familiare all’ex coniuge richiedente l’assegno divorzile. In altri termini, occorre domandarsi se e in che misura quest’ultima incida sul quantum dell’assegnazione dell’assegno in parola, diminuendone il valore.
Sul punto, come precisato anche dalla ordinanza in commento per le concrete ragioni che si vedranno innanzi, in disparte ogni considerazione sulla sua funzione di conservare l’habitat familiare dei figli[2], l’assegnazione della casa familiare ha indubbi riflessi economici, sia se il bene appartiene ad uno soltanto o a entrambi i coniugi sia che appartenga ai terzi perché consente al genitore collocatario di evitare le spese per reperire una nuova abitazione, che invece deve essere ricercata dall’altro genitore, che non può godere del bene anche ove ne sia comproprietario o (a maggior ragione) proprietario esclusivo, traducendosi per quest’ultimo in un pregiudizio economico, valutabile ai fini della quantificazione dell’assegno dovuto suscettibile, per l’effetto, di opportuna diminuzione[3].
Acclarato ciò, occorre adesso esaminare il caso pratico che ha occupato l’ordinanza in commento.
Nella specie, la ricorrente, nella sua qualità di ex moglie, si vedeva negato dalla Corte d’appello dell’Aquila il riconoscimento della componente assistenziale posto che in ragione della sua attività di avvocato e dei relativi compensi percepiti appariva in condizione di autosufficienza economica. Per contro, le veniva riconosciuto l’assegno di divorzio con riferimento alla sua funzione equilibratrice, atteso che era stato valorizzato l’apporto dalla stessa fornito all’ex marito per il superamento del concorso da magistrato contabile nei termini che seguono.
Invero, la predetta componente era stata presunta esistente in considerazione del ritenuto squilibrio tra le condizioni economico-patrimoniali degli ex coniugi riconducibile alle scelte comuni di conduzione di vita familiare. Detto squilibrio veniva in particolare desunto da tale Corte di merito assumendo come parametro il reddito annuo dell’ex marito stimato in circa 124.000 euro, acquisito dallo stesso in conseguenza del superamento del predetto concorso, il cui positivo esito era stato ritenuto possibile anche in ragione dei sacrifici dell’ex moglie, la quale (sempre secondo il giudizio della Corte Aquilana) aveva dedicato gran parte del matrimonio alla cura delle esigenze della famiglia e delle aspirazioni professionali del marito al fine di agevolarne lo studio e la preparazione concorsuale.
Ne discendeva conseguentemente, ad avviso della Corte territoriale in parola, la necessità di compensare lo squilibrio tra i redditi degli ex coniugi attraverso il riconoscimento a vantaggio dell’ex moglie di un assegno dal valore di 400 euro mensili.
Tali ragioni evocate dalla Corte d’appello dell’Aquila non sono state condivise dalla Cassazione in commento. In proposito, ad avviso dell’ordinanza in esame, gli assunti prospettati dalla predetta Corte d’appello si sono rivelati sul piano probatorio del tutto deficitari ed inidonei a dimostrare quello squilibrio patrimoniale tra i coniugi che, come si è affermato precedentemente, ai sensi dell’art. 5 l. div., costituisce la precondizione fattuale ai fini del riconoscimento della componente equilibratrice dell’assegno di divorzio. Ciò, essenzialmente, per le seguenti ragioni.
In primo luogo, in quanto la stima del reddito annuo in capo all’ex marito di euro 124.000 non è apparsa supportata dalla benché minima indicazione di quale sia stato il materiale utilizzato per il relativo computo, essendo peraltro stata totalmente obliata dalla Corte territoriale in esame la documentazione con cui lo stesso dava atto di un reddito significativamente inferiore rispetto a quello menzionato dalla sentenza d’appello impugnata.
In secondo luogo, poiché non sono stati indicati dalla citata Corte gli elementi idonei ad identificare chiaramente la situazione reddituale della ex moglie al momento del riconoscimento, in suo favore, dell’assegno divorzile.
Ancora, la sentenza di merito è apparsa ulteriormente viziata nella misura in cui non ha considerato, al lume di quanto si è osservato sopra, la rilevanza dell’assegnazione della casa familiare. In questa prospettiva, infatti, la funzione riequilibratrice dell’assegno di divorzio va, in ogni caso, bilanciata con il correlativo vantaggio indirettamente tratto dall’ex coniuge (beneficiato dalla predetta assegnazione) corrispondente al risparmio della spesa che sarebbe stata necessaria per procurarsi un’autonoma sistemazione abitativa. Conseguentemente, pertanto, ad avviso della Cassazione in commento, la Corte d’appello Aquilana avrebbe dovuto tenere in debito conto, in relazione alla determinazione del predetto assegno divorzile, la circostanza che la richiedente era stata beneficiaria dell’assegnazione della casa familiare, la quale le aveva consentito di evitare le spese per reperire una nuova abitazione che invece erano state sopportate dall’altro genitore non collocatario (gravato dall’assegno di divorzio). Ciò vale anche quando, come nel caso di specie, il coniuge beneficiario dell’assegnazione consegua un’abitazione di proprietà di terzi e non dell’altro coniuge[4]. Conseguentemente, ne discende secondo l’ordinanza de qua che a prescindere dalla proprietà dell’immobile oggetto di assegnazione, il godimento di quest’ultima appare suscettibile di autonoma valutazione economica di cui il giudice deve tenere conto ai fini della quantificazione dell’assegno divorzile.
Per tali motivi, pertanto, la Cassazione ha concluso con l’annullamento della sentenza della Corte d’appello dell’Aquila, rinviando alla medesima per una nuova valutazione.
In particolare, quest’ultima sarà chiamata a pronunciarsi con una diversa composizione, dovendo specificamente motivare: a) sul preciso ammontare dei redditi degli ex coniugi al momento del riconoscimento dell’assegno divorzile, dando puntualmente conto dello squilibrio tra le relative condizioni patrimoniali in conseguenza delle comuni scelte familiari, secondo i termini sopra precisati; b) sull’incidenza dell’assegnazione della casa familiare all’ex coniuge in ordine all’ammontare dell’assegno di divorzio (il quale dovrà, per l’effetto, essere congruamente ridotto tenuto conto dei costi sopportati dall’ex coniuge gravato dal medesimo assegno per il reperimento di una nuova abitazione a fronte del vantaggio consistente nel risparmio di spesa conseguito dall’altro coniuge assegnatario e richiedente l’emolumento in parola).
[1] Al riguardo, mette conto puntualizzare che tali considerazioni appaiono soltanto parzialmente estensibili all’ipotesi in cui l’ex coniuge economicamente più debole instauri, successivamente alla cessazione degli effetti legali del matrimonio, una stabile convivenza di fatto con un terzo. In questa prospettiva, infatti, come chiarito dal recente insegnamento delle Sezioni Unite n. 32198/2021, in mancanza di un’espressa disposizione normativa, qualora l’ex coniuge instauri una nuova convivenza more uxorio, può opinarsi soltanto nel senso della caducazione della mera componente assistenziale, il cui bisogno può essere ben assolto dal nuovo convivente, mentre per contro resiste, in ragione della sua funzione compensativa, la componente riequilibratrice dell’assegno di divorzio, la quale dovrà comunque continuare ad essere erogata dall’ex coniuge avvantaggiato dai sacrifici del precedente partner durante il rapporto matrimoniale.
[2] Con riferimento alla ratio che informa l’assegnazione della casa familiare in caso di divorzio o separazione, è sufficiente in questa sede ricordare che quest’ultima è prevista a tutela dell’interesse prioritario dei figli minorenni e di quelli maggiorenni non economicamente autosufficienti e conviventi con uno soltanto dei genitori (c.d. collocatario), a permanere nell’ambiente domestico in cui sono cresciuti, in modo tale da garantire la conservazione delle loro abitudini di vita e delle relazioni sociali ivi radicatesi. In proposito, tra le altre, cfr. oltre all’ordinanza in commento (par. 4.3.1) anche Cass. n. 20452/2022.
[3] Al riguardo, si veda l’insegnamento di Cass. n. 27599/2022 dettato in materia di separazione ma agevolmente applicabile, per evidente identità di ratio, anche in ambito divorzile.
[4] In questo senso, infatti, l’immobile oggetto di assegnazione era stato concesso in comodato gratuito dai genitori della richiedente l’assegno di divorzio.
Sezione: Sezione Semplice
(Cass. Civ., Sez. I, 28 marzo 2023, n. 8764)
stralcio a cura di Giovanni Pagano
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