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Violazione dell'obbligo di astensione nei concorsi pubblici: sussiste l'abuso d'ufficio (almeno per ora) ma non la turbata libertà degli incanti

 

Letizia Barbero

Nell’ordinanza in commento la Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi sul ricorso presentato da un Segretario Comunale, per il tramite del proprio difensore, avverso la sentenza emessa dalla Corte di Appello di Milano che, in parziale riforma della pronuncia del Giudice di prime cure ha confermato la condanna dellimputato per il reato di cui allarticolo 353 c.p. in relazione a due capi di imputazione, nonché la condanna ex art. 323 c.p. per ulteriori due capi - di cui uno qualificato come tentativo -, dichiarando di non doversi procedere in relazione ad altre due imputazioni ex art. 353 c.p. ed allulteriore per falso ideologico.

Parte ricorrente ha affidato il  ricorso a due motivi.

Con il primo motivo di doglianza, relativo alla condanna per le fattispecie di cui allarticolo 353 c.p., il difensore dellimputato deduceva la non configurabilità del reato di turbata libertà degli incanti, stante lerronea qualificazione del fatto di reato da parte dei Giudici di merito, che avrebbero adottato uninterpretazione estensiva del termine gara” di cui all’anzidetta fattispecie incriminatrice.

Gli Ermellini, discostandosi dal solco tracciato fin d’ora dalla giurisprudenza di legittimità, hanno ritenuto fondate le deduzioni circa la non configurabilità del reato ex art. 353 c.p. nel caso di specie; in particolare, lorientamento giurisprudenziale consolidatosi in materia sanzionava come turbata libertà degli incanti qualsiasi intervento illecito posto in essere su ogni procedura utilizzata per la scelta del contraente, anche informale ed indipendente dal nomen iuris adottato, a condizione che la stessa fosse su base comparativa, dunque anche i concorsi per laccesso ai pubblici impieghi o le connesse procedure di mobilità del personale tra diverse amministrazione. Nel caso in esame, infatti, limputato è stato condannato dai Giudici di merito proprio per aver turbato con mezzi fraudolenti le procedure di mobilità attivate dallEnte presso il quale prestava servizio al fine di assumere una persona con la quale lo stesso aveva una relazione di carattere sentimentale. La procedura di assunzione della donna è stata preceduta dalla pubblicazione di un bando che presentava diversi criteri di selezione nonché requisiti, tale per cui la Corte dappello ha valutato che, trattandosi di procedura selettiva su base comparativa, la stessa rientrasse nellalveolo del reato di turbata libertà degli incanti.

Contrariamente, la Suprema Corte, rammentando e confermando lindirizzo dalla stessa adottato in materia, ha precisato di aver sempre riferito loperatività della norma alle sole procedure indette per laffidamento di commesse pubbliche o per la cessione di beni pubblici. Tale interpretazione è conforme alla lettura del dispositivo della fattispecie in questione, che è riferito ai pubblici incanti, o alle licitazione private per conto di Pubbliche Amministrazioni; è necessario, infatti, evidenziare che il pubblico incanto è, per definizione, una procedura amministrativa che si contraddistingue per la caratteristica di consentire la massima partecipazione e competitività tra gli operatori economici interessati alla stipulazione contrattuale con la P.A., i quali ultimi sono tenuti a presentare le proprie offerte nel rispetto delle modalità e dei termini fissati nel bando di gara. La finalità dellasta pubblica è, dunque, quella di acquisire da parte della pubblica amministrazione indicente beni e servizi e, pertanto, sostanzialmente e strutturalmente diversa dalle procedure relative allassunzione di personale. Sul punto, a conferma della ratio interpretativa adottata dalla Corte, la stessa richiama la diversa fattispecie di cui allart. 353 bis c.p., la quale è riferibile alla medesime procedure di cui allart. 353 c.p., differenziandosi le due fattispecie esclusivamente in merito  allesigenza della prima di anticipare la tutela penale al momento antecedente linizio della gara, nonché della seconda di intervenire nel momento immediatamente successivo, ovvero la pubblicazione del bando.

Diversamente, un’interpretazione estensiva dell’ambito applicativo del reato di turbata libertà degli incanti configgerebbe, secondo la Suprema Corte, con i principi che regolano l’ordinamento giuridico tra cui quelli della certezza del diritto, nonché di tassatività e determinazione della fattispecie penale.

Del resto, anche una recente pronuncia della Corte Costituzionale, n. 98 del 2021, richiamata dagli Ermellini nella pronuncia in commento, ha ribadito che la fattispecie incriminatrice non può colpire il suo trasgressore per fatti che il linguaggio comune non consente di ricondurre al significato proprio letterale delle espressione utilizzate dal legislatore. Ciò sulla scorta del divieto di analogia in malam parte in materia penale, il cui significato viene ricostruito nella pronuncia di cui sopra quale divieto di “riferire la norma incriminatrice a situazioni non ascrivibili ad alcuno dei suoi possibili significati letterali”, costituendo lo stesso “un limite insuperabile rispetto alle opzioni interpretative a disposizione del giudice”.

In virtù di tali principi, la Corte conclude ritenendo le condotte illecite poste in essere dall’imputato quali non configuranti il reato di turbata libertà degli incanti per i motivi sopra enunciati, precisando che nelle stesse, è tuttalpiù ravvisabile un’ipotesi di abuso d’ufficio; ciò, tenuto conto sia della sua natura sussidiaria sia della sua più recente riformulazione ai sensi della L. 16 luglio 2020, n. 176.

É proprio sull’abuso d’ufficio e sulla sua riformulazione che la Suprema Corte si pronuncia sul secondo motivo di doglianza, ritenuto infondato; secondo i Giudici di merito parte ricorrente, nell’ambito della procedura di mobilità del personale da destinare all’Ente ove prestava servizio, avrebbe omesso di astenersi a fronte di un comprovato conflitto di interessi e segnatamente, avrebbe attivato la procedura anzidetta con l’obiettivo di consentire alla persona con quale lo stesso era legato da un rapporto sentimentale di lavorare presso l’Ente in qualità di Istruttore Direttivo Tecnico.

In merito, il ricorrente adduce l’ equivocità delle prove nonché la non configurabilità del reato ex art. 323 c.p. nei casi di violazione del dovere di astensione, tenuto conto della modifica normativa intervenuta, nonché del fondamento giuridico dell’anzidetto divieto, che poggia su una fonte su primaria ed è, comunque, basato su norme caratterizzate da un ambito di discrezionalità.

Tali argomentazioni non sono state condivise dalla Corte, che preliminarmente evidenzia come i giudici di merito hanno “con motivazione certamente non illogica” ritenuto provato che fra l’imputato e la donna sussistesse una stabile relazione sentimentale, proprio alla luce dei convergenti elementi acquisiti agli atti. Inoltre, gli Ermellini precisano che il dovere di astensione, violato dall’imputato, trova fondamento nella legge sul procedimento amministrativo e nel Regolamento attuativo dell’articolo 54 del Testo Unico del pubblico impiego. In particolare, la Legge n. 241 del 1990, all’articolo 6-bis - introdotto dalla legge anticorruzione - dispone l’obbligo di astensione in caso di conflitto di interessi anche solo potenziale, mentre il D.P.R. 62 del 2013, all’articolo 7, stabilisce anch’esso l’anzidetto divieto sanzionando le ipotesi in cui il conflitto derivi da un coinvolgimento di interessi proprio o di conviventi, oppure di persone con le quali vi siano rapporti di frequentazione abituale, nonché in ogni altro caso in cui esistano gravi ragioni di convenienza per astenersi.

Orbene, i giudici della Suprema Corte, fatte le premesse di cui sopra, ravvisano che la fonte dell’anzidetto obbligo tipizza in modo sufficientemente specifico le situazioni nella quali scatta il divieto e richiama al principio già affermato dalla medesima Sezione a mente del quale “la novella di cui al D.L. 16 luglio 2020 n. 16…li dove ha ristretto l’ambito applicativi del reato, richiedendo l’inosservanza di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità non riguarda la condotta di abuso d’ufficio che si realizza mediante la violazione dell’obbligo di astensione”.

In conclusione, la pronuncia in commento si pone in contrasto con l’orientamento giurisprudenziale finora vigente escludendo dall’ambito di applicabilità del reato di turbativa d’asta le condotte illecite  commesse nell’ambito di una procedura volta al reclutamento del personale, precisando che per tali condotte non si realizza alcun vuoto di tutela in quanto trovano repressione nel reato di abuso d’ufficio, che ricomprende “…le condotte  poste in essere dal pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio che, nella predisposizione e nello svolgimento di dette procedure, abbia intenzionalmente procurato un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arrecato ad altri un danno ingiusto.

 

 

Argomento: Reati contro la Pubblica Amministrazione
Sezione: Sezione Semplice

(Cass. Pen., Sez. VI, 16 giugno 2023, n. 26225)

Stralcio a cura di Giovanni de Bernardo 

“(…) 1.1. I giudici di merito con motivazione certamente non illogica hanno ritenuto provato che tra X e la X sussistesse una stabile relazione sentimentale. In tal senso, precisa la corte territoriale, depongono l’inequivoco contenuto delle conversazioni telefoniche intercettate tra i due (…). 1.2. Pertanto, manifestamente infondate risultano le deduzioni difensive con le quali si vuole proporre una lettura alternativa del rapporto tra X e X da limitarsi solo al profilo amicale, lavorativo e di studio. (…) 1.3. Tenuto conto di detta stabile relazione sentimentale, sussiste certamente la causa di incompatibilità in capo al X e quindi il dovere di astensione, violato dall’imputato. Dovere correttamente individuato dalla Corte di Appello sulla base dell’Art 6 bis della legge n. 241 del 1990 e dell’Art 7 del d.p.r. n. 62 del 2013. In particolare, l’Art 6 bis-introdotto dalla legge numero 190 del 2012-stabilisce che “il responsabile del procedimento e i titolari degli uffici competenti ad adottare i pareri, le valutazioni tecniche, gli atti endo procedimentali e il provvedimento finale devono astenersi in caso di conflitto di interessi, segnalando ogni situazione di conflitto, anche potenziale”. A sua volta, l’Art 7 del d.p.r. n. 62 del 2013, rubricato “obbligo di astensione”, prevede che il dipendente si astiene dal partecipare all’adozione di decisioni o ad attività che possano coinvolgere interessi propri, ovvero di conviventi, oppure di persone con le quali abbia rapporti di frequentazione abituale, astenendosi, altresì, in ogni altro caso in cui esistano gravi ragioni di convenienza”. 1.4. Ciò assodato, i giudici di merito hanno evidenziato come le condotte del X hanno integrato le fattispecie di abuso. In particolare, per quel che concerne il capo cinque, la sentenza impugnata descrive le articolate modalità attraverso le quali l’imputato ha inteso favorire la X attribuendo a X - possibile concorrente della donna per la posizione lavorativa - un contratto qualificato come attinente ad attività di formazione e aggiornamento professionale (…). La corte territoriale ha evidenziato che si è trattato di un duplicato di analogo incarico di identico contenuto già in essere con il … comunque illegittimo perché afferente ad attività di consulenza, in merito alla quale era [continua ..]

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