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L'ammissibilità dell'azione revocatoria ordinaria dell'atto di scissione societaria
Alessandro Marchetti Guasparini
La vicenda in esame trae origine da una sentenza di primo grado (confermata dalla Corte d’Appello) con cui è stato dichiarato inefficace, ai sensi dell’art. 2901 c.c., un atto di scissione parziale mediante il quale una società di capitali “in bonis” (poi fallita) aveva trasferito parte del suo patrimonio, comprensivo di un cespite immobiliare, ad una società di persone. L’azione revocatoria era stata esercitata dalla curatela fallimentare della società scissa.
La Suprema Corte si è dunque pronunciata, anche alla luce dei recenti approdi della giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sull’ammissibilità dell’azione revocatoria nei confronti di atti di scissione parziale di società e sulla compatibilità del suddetto rimedio con le tutele specifiche offerte dalla legge in caso di scissione (i.e. opposizione dei creditori ai sensi dell’art. 2503, comma 2, c.c.).
In primo luogo, la Corte ha affermato la sussistenza, in caso di atto di scissione parziale, del requisito del c.d. eventus damni, richiesto sia dalla revocatoria ordinaria (art. 2901 c.c.) sia dalla revocatoria fallimentare (art. 66 l.f.[1]). Richiamata la natura “traslativa” della scissione parziale, la Corte ha dunque sancito che tale operazione può “determinare una diminuzione della garanzia generica assicurata ai terzi creditori dal patrimonio netto della società scissa, che viene ad essere anche se solo in parte scorporato, bene potendo configurarsi in astratto il presupposto oggettivo dell' "eventus damni" (…) laddove nella parte di patrimonio della società scissa, trasferito a quella beneficiaria, siano ricompresi (…) determinati beni immobili.”
L’eventus damni non sarebbe escluso neppure dalla destinazione del patrimonio immobiliare, attribuito, in forma di azioni o quote, ai soci della società scissa: infatti, in primo luogo, “l'assegnazione delle partecipazioni è effettuata a favore dei singoli soci della società scissa e non anche a favore di quest'ultima”; in secondo luogo, e in ogni caso, “la eventuale trasformazione del valore immobiliare in valore mobiliare bene può costituire "ex se" indice (…) del presupposto del pregiudizio alle ragioni creditorie”.
Inoltre, la Suprema Corte ha ritenuto che l’ammissibilità dell’azione revocatoria dell’atto di scissione non si ponga in contrasto con la tutela della certezza e della stabilità dei traffici giuridici, in quanto tale azione “non interferisce sulla validità del contratto costitutivo della società, e non arreca alcun "vulnus" al principio di separazione del patrimonio societario rispetto a quello dei soci” e neppure “si riverbera in danno degli altri creditori sociali, i quali sono tutelati dall'ultimo comma del citato art. 2901 cod. civ., che fa salvi i diritti acquistati dai terzi in buona fede”.
Non risulta essere ostativa all’ammissibilità dell’azione revocatoria dell’atto di scissione neppure la previsione dell’art, 2506 quater, comma 3, c.c. il quale prevede una responsabilità solidale di “ciascuna società” coinvolta nella scissione per i “debiti della società scissa”. Infatti, è stato sancito che la ratio di tale norma, cioè il rafforzamento della tutela dei creditori della società scissa, non determini una “condizione di incompatibilità o di impedimento giuridico alla esperibilità (…) dell'azione revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c.”.
La Corte si è inoltre pronunciata sul rapporto tra l’azione revocatoria e l’opposizione dei creditori sociali di cui all’art. 2503, comma 2, c.c.; infatti, i due rimedi divergono in relazione sia ai presupposti sia agli effetti: infatti, l’azione ex art. 2901 c.c. “presuppone la "scientia damni" od il "consilium fraudis" nel disponente e nell'acquirente; rende inopponibili gli effetti dell'atto negoziale soltanto al creditore (…) che agisce in revocatoria, ma non impedisce la efficacia reale dell'atto negoziale dispositivo, che si realizza non soltanto "inter partes", ma anche verso i terzi acquirenti a titolo oneroso di buona fede”; l’opposizione di cui all’art. 2503 c.c., “prescinde da specifici presupposti legali o dalla deduzione di motivi tassativi; rende, l'eventuale atto di scissione stipulato in pendenza di opposizione, inidoneo del tutto a spiegare efficacia reale e vincolante nei confronti delle società partecipanti alla operazione; prescinde dal requisito dell'elemento soggettivo della condotta dei soggetti partecipanti; paralizza "erga omnes" la produzione degli effetti giuridici altrimenti riconducibili ad un atto che deve ritenersi perfetto in tutti i suoi elementi costitutivi”.
Dunque, sebbene entrambe le azioni siano poste a tutela della garanzia patrimoniale dei creditori sociali, esse non risultano perfettamente assimilabili: infatti, l’azione revocatoria costituisce una forma di tutela più forte rispetto all’opposizione, dal momento che permette al creditore di “recuperare alla garanzia patrimoniale generica del debitore, al fine di assoggettarlo alla esecuzione forzata, il bene determinato, che è stato oggetto dell'atto dispositivo”. Inoltre, mentre l’opposizione del creditore sociale è una misura riservata “soltanto al creditore sociale che vanti un diritto insorto "anteriormente" alla deliberazione assembleare ed alla stipula dell'atto di scissione - avente natura preventiva, in quanto è diretta ad impedire - e non a revocare - la efficacia dell'atto di scissione”, l’azione revocatoria “svolge, invece, una funzione ripristinatoria della garanzia generica offerta dal patrimonio del debitore, di cui si può avvalere non soltanto il creditore "anteriore" ma anche quello "successivo" al compimento dell'atto pregiudizievole”.
La Corte, ravvisata la non sovrapponibilità dei due rimedi ha perciò concluso che il sistema dell’opposizione ex art. 2503 c.c. “non può, pertanto, considerarsi né sostitutivo, nè preclusivo dell'esperimento degli altri mezzi di tutela e delle altre azioni apprestati dall'ordinamento a garanzia del creditore e quindi anche del creditore sociale”, dovendosi quindi riconoscere “la concorrente ammissibilità della opposizione ex art. 2503 c.c., e dell'azione revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c. e di quella esperita dal curatore fallimentare ai sensi dell'art. 66 LF”.
Alla medesima conclusione è giunta anche la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (sent. 30 gennaio 2020, causa C-394/18, IGI c. Cicenia ed altri), la quale ha ritenuto ammissibile l’esercizio dell’azione revocatoria da parte dei creditori della società scissa “al fine di far dichiarare la scissione inefficace nei loro confronti e di proporre azioni esecutive o conservative sui beni trasferiti alla società di nuova costituzione”, atteso che tali azioni non incidono sulla validità della scissione e non hanno efficacia “erga omnes”.
[1] A seguito dell’entrata in vigore del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, l’azione revocatoria ordinaria nella procedura di liquidazione giudiziale è disciplinata dall’art. 165 c.c.i.i.
Sezione: Sezione Semplice
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