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Caso Renzi: la Procura non poteva acquisire senza l´autorizzazione del Senato «messaggi di posta elettronica e whatsapp del parlamentare, o a lui diretti, conservati in dispositivi elettronici appartenenti a terzi»
Matteo Milanesi
La sentenza in commento[1] – nata dal conflitto di attribuzioni promosso dal Senato della Repubblica nei confronti della Procura presso il Tribunale di Firenze, con riferimento al noto sequestro di corrispondenza riguardante il Sen. Renzi – muove da due interrogativi essenziali, entrambi relativi al campo d’applicazione della guarentigia di cui all’art. 68, co. 3 Cost. In particolare, ci si chiede se la garanzia della segretezza delle comunicazioni si estenda, da un lato, alle conversazioni via e-mail e Whatsapp nelle quali risulti coinvolto il membro di una Camera e, dall’altro, agli estratti di conti correnti bancari riferiti ad un parlamentare.
Procedendo con ordine, il provvedimento si concentra dapprima sulla questione della messaggistica elettronica. Subito scartata l’applicabilità – alla fattispecie di che trattasi – della disciplina delle intercettazioni[2], la Corte si preoccupa di delineare ulteriormente il tema. Posto che “lo scambio di messaggi elettronici […] rappresent[a] di per sé una forma di corrispondenza”, è invero necessario – per il Consesso – domandarsi “se mantengano la natura di corrispondenza anche i messaggi […] già ricevuti e letti dal destinatario, ma conservati nella memoria dei dispositivi.”
La questione attiene dunque alla potenziale differenziazione tra statica e dinamica della corrispondenza e ricalca il dibattito ancora vivo nella giurisprudenza di legittimità. Dibattito che si assesta su due contrapposte posizioni: da un lato, l’idea secondo cui la tutela “non si esaurirebbe con la ricezione del messaggio”, ma solo allorché “il decorso del tempo o altra causa abbia trasformato il messaggio in un documento ‘storico’”; dall’altro, la tesi in base alla quale “la corrispondenza già ricevuta e letta dal destinatario non sarebbe più un mezzo di comunicazione, ma un semplice documento”. L’adesione all’una o all’altra qualificazione muta radicalmente la disciplina applicabile, in quanto determina l’operatività – o meno – tanto della suesposta prerogativa parlamentare quanto delle garanzie comuni in materia di comunicazione ex art. 15 Cost.
Il Giudice delle leggi aderisce alla prima tesi, formulando preliminarmente un cumulo di osservazioni meritevoli di considerazione in ordine all’estensione del concetto di “corrispondenza” alle comunicazioni telematiche[3]. Forte dell’argomento evolutivo, la Corte ritiene anzitutto che sposare la posizione più restrittiva “in un momento storico nel quale la corrispondenza cartacea […] è ormai relegata […] a un ruolo di secondo piano, significherebbe […] deprimere radicalmente la valenza della prerogativa parlamentare in questione.”
Ulteriormente, richiama la giurisprudenza EDU, la quale “non ha avuto incertezze nel ricondurre sotto il cono di protezione [della Convenzione …] i messaggi di posta elettronica […], gli SMS […] e la messaggistica istantanea […] tramite internet”.
In terzo luogo, con una ricostruzione sistematica, supera il ragionamento della resistente Procura, fondato sulla logica in base alla quale, essendo la giurisprudenza penale orientata nel senso di affermare che “i messaggi […] già ricevuti e memorizzati […] hanno natura di ‘documenti’ ai sensi dell’art. 234 cod. proc. pen.”, allora tale dovrebbe essere la qualificazione dei medesimi anche agli effetti dell’art. 68 Cost. Il Giudice evidenzia, a tal proposito, la differenza sussistente tra l’evocata disciplina di cui all’art. 254 c.p.p. – attinente al sequestro di corrispondenza – e quella di cui all’art. 616 c.p., riguardante invece la violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza; sottolinea, in questo senso, come la norma incriminatrice tuteli anche la corrispondenza telematica, in forza di un’estensione del concetto stesso di “corrispondenza”[4].
Accertato il rilievo di tale categoria giuridica, la Corte espone quanto segue in punto di estensione della garanzia: “analogamente all’art. 15 Cost. […], l’art. 68, terzo comma, Cost. tutel[a] la corrispondenza dei membri del Parlamento – ivi compresa quella elettronica – anche la ricezione da parte del destinatario, almeno fino a quando, per il decorso del tempo, essa non abbia perso ogni carattere di attualità”. Aggiunge la Corte – non senza le resistenze di parte della dottrina[5] – che l’attualità deve “presumersi, sino a prova contraria, quando si discuta di messaggi scambiati […] a una distanza di tempo non particolarmente significativa rispetto al momento in cui dovrebbero essere acquisiti”, anche in relazione allo svolgimento del mandato parlamentare ed alla loro custodia in “dispositivi protetti da codici di accesso”.
Tanto esposto, il Giudice perviene ad una opposta conclusione con riferimento al problema dell’estratto conto bancario, il quale – si legge nel provvedimento – “ha una funzione e una valenza autonoma, indipendente dalla spedizione al correntista.” In tal guisa, “la circostanza che possa o debba essere trasmesso al cliente non lo qualifica in modo automatico e permanente come ‘corrispondenza’ agli effetti dell’art. 68” cit., dovendo peraltro le garanzie parlamentari“essere interpretate alla luce della loro ratio, evitando improprie letture estensive”[6].
La sentenza formula, inoltre, una nota procedurale in materia di sequestro di dispositivi informatici, rilevando come “gli inquirenti debb[a]no ritenersi abilitati a dispor[lo]”, salvo astenersi dall’estrazione della corrispondenza contenuta nei dispositivi medesimi “[n]el momento […] in cui riscontr[i]no la presenza […] di messaggi intercorsi con un parlamentare”.
Ciò premesso, la Corte – dichiarato che “non spettava alla Procura […] acquisire […] corrispondenza riguardante il senatore Matteo Renzi” – annulla il sequestro di cui sopra; parallelamente, “dichiara che spettava alla procura […] acquisire […] l’estratto conto corrente bancario personale del senatore Matteo Renzi”.
Il provvedimento in esame costituisce un “precedente di indubbio rilievo”[7], ponendo esso alcuni punti fermi in materia sostanziale e procedurale; tanto che, “verosimilmente, questa decisione orienterà le Procure”[8], le quali si atterranno al vademecum delineato dalla Consulta anche solo “al fine di evitare il rischio di vedere vanificata l’attività legislativa posta in essere”[9]. Peraltro, come è stato correttamente osservato, “i chiarimenti forniti dalla Corte […] rappresentano degli approdi che si estendono ben al di là della vicenda da cui originano”[10]; sarà dunque opportuno osservare quali saranno i futuri effetti di questa statuizione non solo in relazione ai successivi giudizi fondati sulla lex specialis di cui all’art. 68 Cost., ma altresì con riguardo ai processi comuni, ove la libertà di comunicazione integra non già una prerogativa, ma un diritto soggettivo.
[1] Già vagliata da plurimi contributi dottrinali: G. Guzzetta, La nozione di comunicazione e altre importanti precisazioni della Corte costituzionale sull’art. 15 della Costituzione nella sentenza n. 170 del 2023, in Federalismi.it, n. 21/23, pp. 81-88; E. Furno, Libertà di comunicazione e diritto alla riservatezza del parlamentare nelle sentenze nn. 157 e 170 del 2023 della Corte costituzionale in tema di intercettazioni, in Federalismi.it, n. 25/23, pp. 37-57; L. Longhi, La libertà e la segretezza delle comunicazioni dei parlamentari in due recentissime pronunce della Corte costituzionale, ivi, pp. 58-67; P. Villaschi, La sentenza n. 170 del 2023: la Corte costituzionale chiarisce il perimetro della nozione di corrispondenza e torna sull’interpretazione della legge n. 140 del 2003, in MediaLaws, n. 2/23, pp. 361-381; N. D’Anza, La corte costituzionale estende ai soggetti non parlamentari l’immunità di cui all’art. 68, comma 3, Cost. con riguardo alla corrispondenza scambiata con i membri del Parlamento, in Forum di Quaderni costituzionali, n. 3/22, pp. 105-126.
[2] Non sussistendo i requisiti di simultaneità ed occultezza nella captazione del messaggio.
[3] Per l’esame “tripartito” che segue, cfr. anche P. Villaschi, op. cit., p. 368 ss.
[4] In questo senso, il Giudice cita le sentt. Cass. pen., n. 39529/2022; Cass. pen., n. 22417/2022; Cass. pen., n. 17552/2021.
[5] Si legga N. D’anza, op. cit., p. 111, che solleva dubbi in ordine ai parametri da utilizzare ai fini della quantificazione temporale.
[6] Vengono citate, ad adiuvandum, le sentenze C. cost. nn. 38/19 e 74/13.
[7] P. Villaschi, op. cit., p. 361.
[8] N. D’Anza, op. cit., p. 115.
[9] Ibid.
[10] G. Guzzetta, op. cit., p. 87.
Sezione: Corte Costituzionale
(Corte Cost., 27 luglio 2023, n. 170)
Stralcio a cura di Giovanni de Bernardo
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