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Risponde di concussione il privato che, d'accordo con il pubblico ufficiale, rivolga minacce concussive nei confronti della vittima, purché quest'ultima sia consapevole che l'utilità sia richiesta e voluta dal pubblico ufficiale
Giuseppe Rignanese
Nel caso in esame, la Corte d’Appello di Napoli ha confermato la sentenza di condanna emessa in primo grado dal tribunale, che aveva inflitto all’imputato cinque anni e quattro mesi di reclusione, per concussione di cui all’art. 317 c.p.
La difesa propone ricorso per Cassazione, affidando le censure difensive a tre motivi. Violazione di legge e vizio di motivazione, collegati tra loro, sono dedotti con riferimento al travisamento delle prove, poiché secondo il difensore, dalla condotta dell’imputato non si rinvengono gli estremi della minaccia concussiva. Con il terzo motivo si lamenta la mancata concessione delle attenuanti generiche.
La Suprema Corte, prima di esprimersi sulla fondatezza della critica difensiva, rileva in via preliminare come il caso di specie costituisca la c.d. doppia conforme, ovvero la situazione in cui le due sentenze di merito possono essere lette congiuntamente poiché costituiscono un unico corpo decisionale (allo stesso modo, Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019). La sentenza della Corte territoriale, infatti, richiama quella emessa in primo grado e si salda ad essa utilizzando i medesimi criteri di valutazione degli elementi probatori.
Prosegue la Corte affermando che, come già sostenuto in una precedente pronuncia (sez. 6, n. 34532 del 22/06/2021), il giudice d’appello non è tenuto a “compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali”.
È necessario e sufficiente, invece, che egli spieghi l’iter logico deduttivo che ha formato il suo convincimento, “dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo”; pertanto devono considerarsi ignorate le deduzioni difensive, non espressamente confutate ma incompatibili per logicità con la decisione assunta.
La Corte, inoltre, rimarcando la propria veste di giudice di legittimità, precisa come le sia preclusa ogni tipo di rilettura degli elementi di fatto, tantomeno, il poter adottare nuovi criteri di ricostruzione e valutazione dei fatti che vengono indicati dal ricorrente come maggiormente esplicativi, rispetto a quelli utilizzati dal giudice di merito.
Per una corretta analisi del caso è opportuno inquadrare sin da subito la fattispecie delittuosa in esame. Trattasi del reato di concussione di cui all’art. 317 c.p., cioè un reato proprio commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio, che abusando della qualifica rivestita, ovvero strumentalizzando e utilizzando in maniera distorta le attribuzioni dell’ufficio, costringa la vittima alla dazione o alla promessa indebita di denaro o altra utilità.
Elemento essenziale della fattispecie concussiva è proprio la costrizione, che si manifesta mediante violenza o minaccia tali, comunque, da ingenerare nel soggetto passivo uno stato di soggezione.
Ciò premesso, la Corte prosegue nell’analisi del ricorso, ritenendolo completamente infondato.
All’imputato sono contestati due episodi di concussione commessi in concorso con pubblici ufficiali della G.d.F.; trattasi dunque del concorso dell’extraneus nel reato proprio.
Gli episodi concussivi sono stati compiuti a danno di due persone, titolari di attività di autolavaggio e autoparco; in particolare il primo soggetto era costretto a promettere dazione di una somma pari a euro 30.000, al fine di evitare “controlli strumentali” o la più grave sospensione dell’attività, da parte dei militari. La seconda vittima invece veniva costretta ad acquistare e poi consegnare nelle mani dell’imputato due penne stilografiche del valore di euro 580, destinate al pubblico ufficiale.
Il ruolo dell’imputato appare chiaro, ovvero l’essere intermediario nelle fattispecie concussive, tra gli agenti e le vittime.
Come accertato dai giudici di merito, egli aveva il compito di fare pressione sugli imprenditori, facendosi portatore delle minacce dei pubblici ufficiali e inoltre consigliava loro di cedere onde ricadere in ulteriori e peggiori conseguenze.
I giudici di merito con “motivazione congrua e insindacabile” in sede di legittimità hanno accertato il ruolo concorsuale dell’imputato, di comune accordo con i pubblici agenti.
Prosegue la Corte, affermando che “l’azione tipica della concussione, può essere posta in essere anche dal concorrente privo della qualifica soggettiva”, dunque l’extraneus, “a condizione che costui, in accordo con il titolare della posizione pubblica, tenga una condotta che contribuisca a creare nel soggetto passivo uno stato di costrizione o di soggezione funzionale ad un atto di disposizione patrimoniale.” Ribadisce la Suprema Corte quale sia la condizione necessaria, ovvero “che la vittima sia consapevole che l'utilità sia richiesta e voluta dal pubblico ufficiale”.
In tal senso la vittima deve essere conscia del ruolo dell’extraneus, che agisce come intermediario nella fattispecie delittuosa in concorso con i pubblici agenti, i quali sono i richiedenti del denaro o delle utilità.
Il suddetto principio, tra l’altro, è stato affermato anche in una precedente pronuncia di codesta Suprema Corte (Sez. 6, Sent. n.21192 del 25/01/2013).
Il Supremo Collegio nell'esaminare il terzo motivo di ricorso afferma che la Corte d’Appello aveva rigettato la richiesta di riconoscimento delle attenuanti generiche poiché, a detta dei giudici della corte territoriale, l’imputato in sede di interrogatorio ex art. 294 c.p.p., si è mostrato tutt’altro che collaborativo “rendendo dichiarazioni incomplete e incoerenti”; l’essere incensurato non costituisce automatica concessione di tali circostanze attenuanti.
Prosegue la Corte affermando che un precedente orientamento giurisprudenziale, riteneva che il giudice “potesse valorizzare tra gli elementi a giustificazione del diniego delle attenuanti generiche il negativo comportamento processuale del reo”, ciò per evidenziare “l'assenza di quella che è considerata una ragione di particolare benevolenza nell'esercizio del potere discrezionale di cui all’art. 62 bis c.p.” (Sez. 4, n. 515 del 19/10/1988).
Ciò nonostante, la Corte ha preso le distanze dal sopracitato orientamento, poiché più recentemente si è affermato che il diniego delle attenuanti generiche non può fondarsi “sull’assenza dell’imputato dal processo o sul diniego di responsabilità”, visto e considerato che egli ha la facoltà di non rispondere in sede di interrogatorio dell’autorità giudiziaria ex art. 64 c.p.p.
La giustificazione della negata concessione delle attenuanti generiche, nel caso di specie, andrebbe invece ricercata nell’affermazione della Corte territoriale che qualifica i fatti avvenuti come di “estrema gravità” e dimostra l’esistenza di un “sistema collaudato” posto in essere dall’imputato e dai pubblici agenti.
La Suprema Corte, pertanto, ha rigettato il ricorso e condannato l’imputato al pagamento delle spese processuali.
Sezione: Sezione Semplice
(Cass. Pen., Sez. VI, 28 aprile 2023, n. 17918)
Stralcio a cura di Fabio Coppola
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