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Integra il reato di esercizio abusivo di una professione il compimento di condotte attuate con modalità tali che per continuità, onerosità ed organizzazione creano le oggettive apparenze di un´attività professionale svolta da un soggetto regolarmente abilitato

Giuseppe Pansa

La Sesta Sezione penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 8956, datata 8 novembre 2022 e depositata in Cancelleria il 1° marzo 2023, ha offerto un rilevante contributo giuridico inerente alla vexata quaestio in tema di esercizio abusivo della professione di giornalista ex art.348 cod. pen.

Nel corso del giudizio di merito, la Corte di Appello sostanzialmente confermava la sentenza del giudice di prime cure condannando l’imputato per il delitto ex art. 348 cod. pen. contestandogli di avere esercitato abusivamente la professione di giornalista senza essere iscritto né all'albo dei giornalisti professionisti né a quello dei pubblicisti.

Orbene, il condannato ricorreva al giudice di legittimità articolando due motivi deducendo, con il primo, la violazione di legge con riguardo all'art. 1 dell’Ordinamento della professione di giornalista da interpretarsi alla luce dell'art. 35 della medesima e, con il secondo, il vizio di motivazione.

Secondo l'imputato parrebbe viziato l'assunto della Corte di Appello in quanto, in assenza di una chiara e coerente descrizione della professione giornalistica, detta definizione si ricaverebbe in via ermeneutica da massime di esperienza e, il giudice di seconde cure, avrebbe errato nell’affermare che l'art. 1 della L. del 3 febbraio 1969, n. 63, interpretato alla luce dell'art. 35, offra una nozione restrittiva dell’attività giornalistica, nel senso che, al di fuori delle due figure professionali del “giornalista professionista e giornalista pubblicista” non emergerebbero distinte modalità con cui esplicare una professione paragonabile a quella del giornalista, senza il rischio di incorrere nel delitto di cui all’articolo 348 cod. pen.

Siffatta interpretazione restrittiva osteggerebbe con l'esistenza di mansioni professionali quali sono quella del documentarista e del cosiddetto articolista i quali, pur espletando un mestiere affine alla professione giornalistica, si allontanano da questa per l'assenza di continuità, organizzata e onerosa, delle attività di specifica competenza giornalistica, nonché della mancata iscrizione all'Albo.

Secondo la tesi difensiva la ratio della L. n.69/1963, istitutiva dell'Albo dei giornalisti, sarebbe da rintracciare nell’individuazione di specifiche modalità attraverso cui si esplicherebbe l'attività giornalistica, ma ciò non impedirebbe l'esercizio della professione in modalità analoghe. Da tale assunto sembrerebbe che l'art. 1 della L. n.69/1963 ammetterebbe che l’esercizio della professione giornalistica possa essere esercitato in modalità non continuativa, non esclusiva, occasionale, senza stipendio e, dunque, si consentirebbe l’esercizio di tale attività pur senza essere giornalisti professionisti o giornalisti pubblicisti iscritti in apposito albo professionale. Siffatta esposizione parrebbe garantita dall'articolo 35, L. n.69/1963, che annovera quale requisito fondamentale, ai fini della iscrizione all'albo professionale, l’espletamento di un'attività pubblicistica regolarmente retribuita nel minimo di due anni. Di contro, suddetta legge, comproverebbe la possibilità di svolgere attività di giornalista pur senza essere iscritto all'albo.

Per meglio comprendere i profili giuridici analizzati dalla Suprema Corte di Cassazione, appare necessario specificare che ex art. 1, L. n.69/1963, all'Ordine dei giornalisti aderiscono i giornalisti professionisti e i pubblicisti, iscritti nei rispettivi elenchi dell'albo professionale. Sono da considerarsi professionisti coloro che svolgono in maniera continuativa ed esclusiva la professione di giornalista e pubblicista. Questi ultimi sono coloro che svolgono l’attività giornalistica in maniera non eventuale e retribuita anche qualora esercitino professioni diverse dalla suddetta. Ex art. 35 della L. n. 69/1963: "per l'iscrizione all'elenco dei pubblicisti la domanda dev'essere corredata, oltre che dai documenti di cui ai numeri 1), 2) e 4) del primo comma dell'art. 31, anche dai giornali e periodici contenenti scritti a firma del richiedente, e da certificati dei direttori delle pubblicazioni, che comprovino l'attività pubblicistica regolarmente retribuita da almeno due anni".

I succitati precetti devono essere applicati in ossequio dell'art. 45 della medesima legge, così come rivista dalla L. n. 198/2016, la quale sancisce che: "nessuno può assumere il titolo né esercitare la professione di giornalista, se non è iscritto nell'elenco dei professionisti ovvero in quello dei pubblicisti dell'albo istituito presso l'Ordine regionale o interregionale competente. La violazione della disposizione del primo periodo è punita a norma degli articoli 348 e 498 del codice penale, ove il fatto non costituisca un reato più grave".

A fronte di ciò, per esercitare la professione di giornalista, risulta indispensabile l'iscrizione all'elenco dei professionisti o in quello dei pubblicisti e, dall'inosservanza di detta previsione normativa, appare congrua l’applicazione della fattispecie delittuosa di cui all’art. 348 cod. pen.

Orbene, antecedentemente al contributo apportato dalla L. n.198/2016 la giurisprudenza aveva già ampiamente posto chiarezza su tale tematica adducendo che, prescindendo dalla ripartizione dogmatica tra professionisti e pubblicisti, giacché la Costituzione assicura a chiunque il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con ogni mezzo di diffusione, ciascun consociato può intraprendere, pur saltuariamente, l'attività di giornalista e, pertanto, colui che privo di iscrizione all'albo dei giornalisti o a quello dei pubblicisti, contribuisca sporadicamente ad una rivista venendo retribuito non  incorre nel delitto di esercizio abusivo della professione di giornalista, ex artt. 348 cod. pen. e 45 L. n.69/1963.

Il reato di esercizio abusivo di una professione, ex art. 348 cod. pen., ricorre in conseguenza del compimento sine titulo di atti che, pur non assegnati in via esclusiva ad una specifica professione, siano nondimeno inequivocabilmente caratterizzanti di essa, allorquando la medesima attuazione venga eseguita con modalità tali, per stabilità, onerosità e organizzazione, da ingenerare concreta parvenza dell’esecuzione di una professione svolta da un soggetto regolarmente abilitato ed iscritto in apposito albo (Cass. Pen. Sez. Unite, n.11545/2012). Coerentemente alla riserva professionale legata all’assegnazione in via esclusiva del singolo atto, si rintraccia una riserva inerente all’esecuzione, con modalità specifiche della professione, di atti ricompresi nella sua competenza specifica (Cass. Pen Sez. VI, n. 23843/2013).

Nel caso di specie i Giudici di merito hanno chiarito, in punto di fatto, che l'imputato interveniva a conferenze stampa, compiva interviste, aderiva a servizi di cronaca e, nondimeno, collaborava ad una testata televisiva in modo organizzato e continuativo. Il Tribunale, a seguito delle risultanze probatorie, asseriva, oltre ogni ragionevole dubbio, che l'attività intrapresa dall'imputato aveva carattere divulgativo e che lo stesso soleva descriversi come un giornalista non iscritto all'albo.

A seguito di un limpido quadro argomentativo, il motivo del ricorso manifesta la sua strutturale inammissibilità in quanto non si raffronta con la motivazione della sentenza impugnata, non indica alcun vizio analitico diretto ad inficiare l'accertamento fattuale, non offre delucidazioni in merito ai motivi secondo cui la professione intrapresa dal ricorrente non parrebbe riconducibile a quelle attività per le quali è imprescindibile l'iscrizione all'albo professionale, né chiarisce sulla base di quali elementi i Giudici di merito sarebbero caduti in errore nel considerare continuativa la professione svolta dall’imputato.

Inoltre risulta inammissibile anche il secondo motivo di ricorso, essendosi limitata la Corte di Appello di Ancona a ridefinire la pena, e, pertanto, a rinnovare la sentenza del giudice di prime cure in riferimento ad un profilo meramente distinto rispetto all'appuramento della responsabilità penale e del fatto illecito posto a fondamento della pretesa risarcitoria.

La Corte di Cassazione ha specificato, con dovizia di particolari, che la soccombenza del ricorrente deve essere valutata solo in relazione ai fini della rifusione delle spese alla parte civile non dovendo l'imputato essere condannato al pagamento delle spese processuali, allorché il giudizio d'impugnazione sia terminato, come nel caso de quo, con il rigetto del motivo riguardante la sua responsabilità e con l'accoglimento di differenti motivi inerenti la concessione di attenuanti o la riduzione della pena (Cass. Pen. Sez. III, n. 3401/1975).

Il giudice di legittimità, nel corposo e articolato referto motivazionale, imputa di genericità e manifesta infondatezza i rilievi defensionali relativi ai denunciati vizi di motivazione e, alla dichiarazione d'inammissibilità del ricorso, ne consegue la condanna dell’imputato alla rifusione delle spese processuali e di un importo in favore della Cassa delle ammende.

Argomento: Dei delitti contro la pubblica amministrazione
Sezione: Sezione Semplice

(Cass. Pen., Sez. VI, 01 marzo 2023, n. 8956)

Stralcio a cura di Lorenzo Litterio

“[…] 2. […] Ai sensi dell'art. 1 della legge 1963 n. 69: "all'Ordine dei giornalisti appartengono i giornalisti professionisti e i pubblicisti, iscritti nei rispettivi elenchi dell'albo. Sono professionisti coloro che esercitano in modo esclusivo e continuativo la professione di giornalista. Sono pubblicisti coloro che svolgono attività giornalistica non occasionale e retribuita anche se esercitano altre professioni o impieghi. Ai sensi dell'art. 35 della legge indicata: "per l'iscrizione all'elenco dei pubblicisti la domanda dev'essere corredata, oltre che dai documenti di cui ai numeri 1), 2) e 4) del primo comma dell'art. 31, anche dai giornali e periodici contenenti scritti a firma del richiedente, e da certificati dei direttori delle pubblicazioni, che comprovino l'attività pubblicistica regolarmente retribuita da almeno due anni". Dette previsioni devono essere poste in connessione con l'art. 45 della stessa legge, così come modificato dalla legge 26 ottobre 2016, n. 198, secondo cui: "nessuno può' assumere il titolo ne’ esercitare la professione di giornalista, se non è iscritto nell'elenco dei professionisti ovvero in quello dei pubblicisti dell'albo istituito presso l'Ordine regionale o interregionale competente. La violazione della disposizione del primo periodo è punita a norma degli articoli 348 e 498 del codice penale, ove il fatto non costituisca un reato più grave". Dunque per esercitare la professione di giornalista è necessaria l'iscrizione nell'elenco dei professionisti ovvero in quello dei pubblicisti; l'inosservanza di detta previsione è punita ai sensi dell'art. 348 cod. pen. […] la giurisprudenza, già prima della modifica apportata dalla legge 198 del 2016, aveva chiarito che, al di là della distinzione tra professionisti e pubblicisti, poiché la Costituzione garantisce a tutti il diritto di manifestare il proprio pensiero liberamente e con ogni mezzo di diffusione, ogni cittadino può svolgere, episodicamente, l'attività di giornalista e dunque non commette il reato di abusivo esercizio della professione di giornalista, di cui agli artt. 348 cod. pen. e 45 legge 3 febbraio 1963, n. 69, colui che, senza essere iscritto all'albo dei giornalisti o in quello dei pubblicisti, collabori saltuariamente ad un periodico venendo retribuito volta per volta […]. Si è in particolare spiegato che [continua ..]

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