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La causa di estinzione del reato per condotte riparatorie ha natura soggettiva e, di conseguenza, non si estende ai correi

Valeria Ferro 

Con la sentenza in commento la seconda sezione della Cassazione ha chiarito che la causa di estinzione del reato di cui all’art. 162-ter c.p. ha una natura soggettiva e, di conseguenza, non si estende al concorrente che non ha contribuito alla riparazione del danno. La vicenda concreta da cui trae origine la questione riguardava due soggetti imputati per aver commesso, in concorso tra loro, il delitto di cui all’art. 640 c.p. Mentre nei confronti di uno dei due imputati il giudice di primo grado dichiarava l’estinzione del reato, ai sensi dell’art. 162-ter c.p., per intervenute condotte riparatorie, nei confronti dell’altro pronunciava, invece, una sentenza di condanna, la quale veniva poi integralmente confermata in sede di impugnazione. Nel proporre ricorso in Cassazione avverso la sentenza di appello, la difesa del condannato deduceva, come primo motivo, la violazione dell’art. 162-ter c.p., sostenendo che il giudice di merito avesse errato nel non estendere al correo il beneficio dell’estinzione del reato conseguente alle condotte riparatorie poste in essere dall’altro imputato. Secondo la difesa del ricorrente l’interpretazione in chiave esclusivamente soggettiva della predetta causa di estinzione si porrebbe in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost. A fronte del totale annullamento dell’offesa arrecata al bene giuridico tutelato, sarebbe, difatti, irragionevole – a parere del ricorrente – precludere ad alcuni concorrenti il beneficio dell’estinzione del reato per il solo fatto di non aver contribuito alla riparazione del danno. La causa di estinzione di cui all’art. 162-ter c.p. andrebbe, invece, considerata in modo oggettivo e applicata a tutti i partecipanti alla commissione del reato. La Suprema Corte, nell’affrontare il thema decidendum sopra anticipato, procede, anzitutto, a una sintetica analisi dei tratti essenziali della causa di estinzione del reato per condotte riparatorie. L’art. 162-ter c.p., inserito nel codice penale con la L. 4 dicembre 2017, n. 103, prevede che, nei casi di procedibilità a querela soggetta a remissione, il giudice dichiari estinto il reato, ove verifichi che l’imputato abbia interamente riparato il danno derivante dall’illecito commesso e ne abbia, ove possibile, eliminato le (eventuali) conseguenze dannose o pericolose. La introduzione di detta causa estintiva, coerentemente alla direttrice politica della riforma del 2017, è motivata principalmente dall’esigenza di recuperare l’efficienza e la ragionevole durata del processo penale, in particolare incentivando la deflazione di quei procedimenti incentrati su meri interessi individuali. In buona sostanza, ponendo in essere delle condotte restitutorie o risarcitorie, valutate congrue dal giudice di merito, l’imputato di un delitto procedibile a querela può unilateralmente ottenere un risultato, quello della non punibilità, che è ordinariamente rimesso a un atto del querelante (i.e. remissione della querela ex art. 152 c.p.). Nonostante gli evidenti intenti deflattivi perseguiti dalla Novella, la disposizione in esame risponde altresì a degli obiettivi di politica criminale protesi alla reintegrazione dell’offesa arrecata al bene giuridico tutelato, sicché, a parere della Cassazione, «deve comunque valorizzarsi la finalità del N. istituto tesa primariamente a favorire il risarcimento del danno da reato». La logica «spiccatamente premiale», sottesa all’art. 162-ter c.p., risulta analoga a quella di molti altri meccanismi risarcitori previsti nell’ordinamento penale, ai quali l’archetipo della causa di estinzione del reato per condotte riparatorie risulta chiaramente ispirarsi. Tra i predetti istituti la sentenza annovera, in particolare, la causa estintiva prevista dall’art. 35 della L. n. 274 del 2000, in tema di reati di competenza del giudice di pace ovvero, ancora, la circostanza attenuante del risarcimento del danno di cui all'art. 62, co. 1, n. 6, c.p. Atteso che la disposizione di cui all’art. 162-ter c.p. appare espressione della stessa ratio delle norme testé richiamate e che il sistema dei meccanismi risarcitori non può che essere ispirato ai medesimi principi, alla causa di estinzione del reato per condotte riparatorie possono, allora – evidenzia la Suprema Corte – essere trasposte tutte le valutazioni effettuate dalla giurisprudenza con riguardo ai summenzionati istituti. Muovendo da tale assunto, la Cassazione ribadisce, in linea rispetto all’orientamento prevalente, che l’estinzione del reato ai sensi dell’art. 162-ter c.p. presuppone una riparazione che, ancorché realizzata indirettamente, tramite l’intervento di un terzo soggetto, sia «spontanea, integralmente satisfattiva né indotta attraverso provvedimento giurisdizionale». In questo senso si era, peraltro, già espressa la giurisprudenza di legittimità in ordine alla omologa causa estintiva di cui all’art. 35 della L. n. 274 del 2000 (Cass., sez. IV, n. 48651 del 6 dicembre 2022, Monetti). Con riguardo, poi, alla natura della causa in esame, la Suprema Corte ribadisce le conclusioni in precedenza rassegnate dalle Sezioni Unite in tema di circostanza attenuante del risarcimento del danno (Cass., Sez. Un., n. 5941 del 22 gennaio 2009, Pagani), affermando come, anche nel caso della causa di estinzione per condotte riparatorie, il legislatore abbia inteso privilegiare «non il concreto soddisfacimento degli interessi della persona offesa del reato bensì l’aspetto psicologico e volontaristico della riparazione, ossia la condotta del colpevole dopo il reato, come sintomo della sua attenuata capacità a delinquere». Sulla scorta di quanto detto «non può, dunque, essere ragionevolmente posta in discussione la natura schiettamente soggettiva della causa estintiva di cui all’art. 162-ter c.p.», applicabile a favore del soggetto che, mediante la compensazione dell’offesa arrecata, manifesti un «comportamento sintomatico di ravvedimento e di minore pericolosità sociale». La riferibilità dell’evento risarcitorio alla volontà dell’imputato diviene, allora, secondo la Suprema Corte, il requisito dirimente circa la vexata quaestio dell’estendibilità della causa estintiva ai correi nel caso in cui il danno sia stato cagionato da più persone in concorso tra loro. E, invero, a tal proposito, la consolidata linea ermeneutica in tema di circostanza attenuante del risarcimento del danno è netta nell’affermare che «qualora uno solo dei correi abbia provveduto, in modo integrale, al risarcimento, l’altro concorrente, per fruire della menzionata attenuante, deve almeno dimostrare la sua concreta e tempestiva volontà di riparazione del danno cagionato, non più direttamente verso la parte lesa – ormai priva del titolo a ricevere altro – ma indirettamente, provando di aver rimborsato al complice più diligente la propria quota prima del giudizio». Sulla scorta dell’eadem ratio sopra ravvisata esistente tra i due istituti, a parere della Suprema Corte, il principio appena citato può essere applicato anche alla disposizione di cui all’art. 162-ter c.p. Il beneficio dell’estinzione del reato si estende al concorrente che non ha materialmente contribuito alla riparazione del danno soltanto qualora egli manifesti una concreta volontà, entro i termini perentori previsti dalla legge, di rimborsare il correo più diligente. In caso contrario, ai sensi dell’art. 182 c.p., «l’estinzione del reato avrà effetto soltanto per coloro ai quali la causa di estinzione si riferisce». In conclusione, la Suprema Corte si sofferma sulle censure di legittimità costituzionale prospettate dal ricorrente. L’interpretazione in chiave soggettiva dell’art. 162-ter c.p. non si pone, secondo la Cassazione, in contrasto rispetto agli artt. 3, 24 Cost. Con riguardo al principio di ragionevolezza, consacrato dall’art. 3 Cost., nessuna censura è possibile muovere alla posizione assunta dalla giurisprudenza prevalente. Il paragone ventilato dal ricorrente con altre norme che prevedono l’esclusione della punibilità del soggetto agente, come quella di cui all’art. 131-bis c.p., è, difatti, del tutto inconferente. Il fondamento premiale della causa di estinzione del reato per condotte riparatorie è rappresentato, come sopra esposto, dalla volontaria e spontanea rimozione da parte del soggetto agente dell’offesa conseguente al reato (c.d. danno criminale). Le disposizioni richiamate alla stregua di tertium comparationis hanno, viceversa, «una natura e una struttura schiettamente oggettive ed operano su un piano diverso da quelli relativi alla personalità del reo». Il diverso trattamento riservato dalla giurisprudenza di legittimità all’applicazione della causa di estinzione del reato di cui all’art. 162-ter c.p. non può, pertanto, essere definito irragionevole. Parimenti insussistente è la lamentata violazione del diritto di difesa garantito dall’art. 24 Cost. Nessun limite, evidenza la Suprema Corte, è stato posto alla libera difesa dell’odierno ricorrente, da quest’ultimo «liberamente dispiegabile in ogni sede procedimentale ed extragiudiziaria, [ancorché] nei termini perentori voluti dal legislatore – non irrazionali in un’ottica di contenimento della durata del processo e di limitazione di pratiche dilatorie, oltre che di deflazione».

Argomento: Della estinzione del reato e della pena
Sezione: Sezione Semplice

(Cass. Pen., Sez. II, 31 marzo 2023, n. 20210)

Stralcio a cura di Giulio Baffa

“2.1. L’art. 162-ter c.p., introdotto dalla L. 4 dicembre 2017, n. 103, art. 1, rubricato “Estinzione del reato per condotte riparatorie”, prevede che, per i reati procedibili a querela soggetta a remissione, il giudice dichiara estinto il reato, quando verifica che l’imputato abbia riparato interamente il danno cagionato dal reato, mediante le restituzioni o il risarcimento, e ne abbia eliminato, ove possibile, le conseguenze dannose o pericolose. 2.2 La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che la causa estintiva in questione presuppone condotte restitutorie o risarcitorie spontanee e non coartate (…). 2.3. Il legislatore del 2017, per il (…) [l’]istituto (di natura inequivocabilmente premiale), si è ispirato dunque alla circostanza attenuante di cui all’art. 62 c.p., comma 1, n. 6, nonché alla struttura procedimentale delineata dal D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274, art. 35, che disciplina l’analogo meccanismo estintivo per intervenuta riparazione del danno nel procedimento dinanzi al giudice di pace. 2.3.1. Invero, già la consolidata linea ermeneutica in materia dell’attenuante del risarcimento del danno era netta nell’affermare che, quando il danno sia stato cagionato da più persone concorrenti nel reato, la circostanza non può essere riconosciuta al singolo che non abbia contribuito all’adempimento, di modo che, qualora uno solo dei correi abbia provveduto, in modo integrale, al risarcimento stesso, l’altro concorrente, per fruire della menzionata attenuante, deve almeno dimostrare la sua concreta e tempestiva volontà di riparazione del danno cagionato, non più direttamente verso la parte lesa - ormai priva di titolo a ricevere altro - ma indirettamente, provando di avere rimborsato al complice più diligente la propria quota, prima del giudizio (…). 2.3.2. Il requisito imprescindibile della spontaneità era, d’altronde, già assodato anche nella esegesi del D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 35 (…). 2.4. Inoltre, nonostante non manchino evidenti intenti deflattivi nella Novella che ha introdotto la nuova causa estintiva, limitata ai reati che incidono esclusivamente su interessi privati, in mancanza di espresse disposizioni contrarie, deve comunque valorizzarsi la finalità del N. istituto tesa primariamente a favorire il risarcimento del danno da reato [continua ..]

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