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Con la fusione per incorporazione si estingue la società incorporata e con essa la legittimazione processuale di instaurare un giudizio tramite il suo rappresentante legale.
Federico Domenico Enrico De Silvo
Con la sentenza n. 21970, del 13-30 luglio 2021, le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione si sono pronunciate sulla natura giuridica della fusione societaria, asseverando che «la fusione per incorporazione estingue la società incorporata, la quale non può dunque iniziare un giudizio in persona del suo ex amministratore, ferma restando la facoltà per la società incorporante di spiegare intervento volontario in corso di causa, ai sensi e per gli effetti dell’art. 105 c.p.c., nel rispetto delle regole che lo disciplinano» (pag. 39).
Invero, i fatti di causa traggono origine da una fusione omogenea: una società a responsabilità limitata che si è fusa per incorporazione in altra società a responsabilità limitata, venendo contestualmente cancellata dal Registro delle Imprese; la stessa società fusa ha chiesto accertamento della simulazione ovvero, in via subordinata, revoca, ai sensi dell’art. 2901 c.c., di due successivi contratti di compravendita, aventi ad oggetto un medesimo immobile: in primo grado, è stata accolta la domanda di simulazione, mentre, in secondo grado, è stata respinta l’impugnazione presentata dai soccombenti. In particolare, la Corte territoriale ha ritenuto «che non fosse inesistente, né nullo l’atto introduttivo del giudizio di primo grado, proposto» (pag. 3) dalla società incorporata «sebbene tale società fosse stata cancellata dal registro delle imprese» (ibidem), considerandosi, da un lato, che la fusione comporterebbe, ai sensi dell’art. 2504 bis c.c., «una mera vicenda evolutivo-modificativa del medesimo soggetto, che permane e conserva la propria identità, pur in un diverso assetto organizzativo» (ibidem); e, dall’altro, la circostanza secondo la quale la società «incorporante si è costituita […] ratificando l’operato dell’amministratrice della incorporata, donde l’efficacia sanante degli atti compiuti dal falsus procurator» (ibidem). I soccombenti hanno presentato, altresì, ricorso per Cassazione, motivando, anzitutto, che «l’atto di citazione e l’intero procedimento sono inesistenti o, in subordine, viziati da nullità assoluta, in quanto la vocatio in ius proviene da soggetto inesistente» (pag. 4), a ciò conseguendo che il relativo ex amministratore unico non potesse agire in giudizio per conto della stessa.
Essendosi ravvisato un contrasto interpretativo in seno alla giurisprudenza relativa, appunto, alla legittimazione processuale, tanto attiva, quanto passiva, della società incorporata cancellata dal registro delle imprese, la causa è stata rimessa alle SS.UU., che hanno preso le mosse dalla ricostruzione «dei profili societari delle operazioni cc.dd. straordinarie, in particolare della fusione» (pag. 5). Sotto quest’ultimo profilo, infatti, la giurisprudenza di legittimità ha seguito, nel corso degli anni, due tesi distinte, invero «ispirate dal testo letterale – ante e post riforma del diritto societario, introdotta dal d.lgs. n. 6 del 2003 – dell’art. 2504 bis c.c.» (pag. 16): «la tesi della natura evolutivo-modificativa con sopravvivenza della società incorporata o fusa» (pagg. 10 e ss.), secondo cui «la fusione tra società non determina, nelle ipotesi di fusione per incorporazione, l’estinzione della società incorporata, né crea un nuovo soggetto di diritto nell’ipotesi di fusione paritaria, ma attua l’unificazione mediante l’integrazione reciproca delle società partecipanti alla fusione, risolvendosi in una vicenda meramente evolutivo-modificativa dello stesso soggetto giuridico, che conserva la propria identità, pur in un nuovo assetto organizzativo» (pag. 10), sicché la fusione non avrebbe verun riflesso esterno e verun effetto per i giudizi eventualmente in corso; e la tesi «dell’estinzione con effetto devolutivo-successorio» (pagg. 14 e ss.), secondo cui la legittimazione, attiva e passiva, anche in sede di impugnazione, spetta alla «sola società incorporante» (pag. 14) e «non la società incorporata, soggetto non più esistente a seguito della fusione» (pag. 15), attesa l’estinzione per incorporazione, sicché una precipua valenza viene assegnata, ai fini processuali, all’avvenuta cancellazione della società incorporata dal Registro delle Imprese.
Vale, infatti, la pena di rammentare che l’art. 2502, IV comma, c.c., nella sua originaria formulazione del 1942, stabiliva che «la società incorporante o quella che risulta dalla fusione assume i diritti e gli obblighi delle società estinte» e che l’art. 2504 bis, I comma, c.c., introdotto successivamente dall’art. 13 d.lgs. n° 22 del 1991, stabiliva che «la società che risulta dalla fusione o quella incorporante assumono i diritti e gli obblighi delle società estinte», di tal guisa facendosi esplicito riferimento, in entrambi i casi, alle società estinte e considerandosi la fusione per incorporazione quale fenomeno di successione a titolo universale, da cui si determina l’estinzione della società incorporata. Epperò la disciplina de qua è stata ulteriormente modificata in occasione della riforma del diritto societario di cui al d.lgs. n. 6 del 2003, di talché, ai sensi dell’art. 2504 bis, I comma, c.c. vigente, «la società che risulta dalla fusione o quella incorporante assumono i diritti e gli obblighi delle società partecipanti alla fusione, proseguendo in tutti i loro rapporti, anche processuali, anteriori alla fusione», in tal guisa non operandosi più il riferimento alle società estinte (pagg. 16-30, ove si passa in rassegna l’evoluzione normativa non soltanto civilistica, ma, altresì, fallimentare e tributaria della fusione): il legislatore della riforma societaria ha, infatti, inteso sostituire la vecchia espressione «società estinte», su cui si fondava la teoria della successione universale, con quella «società partecipanti alla fusione».
Ebbene, al termine della cennata ricostruzione, la Suprema Corte giunge ad asseverare, l’estinzione della società incorporata a seguito della fusione, che, «dando vita ad una vicenda modificativa dell’atto costitutivo per tutte le società che vi partecipano» (pag. 30), comporta un vero e proprio «fenomeno di concentrazione sia giuridica sia economica» (ibidem), sicché «tutti i rapporti giuridici, attivi e passivi, di cui era titolare la società incorporata o fusa, siano [rectius: sono] imputati ad un diverso soggetto giuridico, [corrispondente al]la società incorporante o[vvero al]la società risultante dalla fusione» (pag. 31). In sostanza, accogliendo il motivo del ricorso, la Suprema Corte ha ritenuto che la società fusa per incorporazione, con contestuale cancellazione dal Registro delle Imprese, nel momento in cui aveva proposto il giudizio, sarebbe stata priva di capacità e di legittimazione processuale, essendosi già estinta ed avendo, i propri organi amministrativi cessato le funzioni di legale rappresentanza; anzi, a ben vedere, cessano, «per la società incorporata, la sede sociale, la denominazione, gli organi amministrativi e di controllo, il capitale nominale, le azioni o quote che lo rappresentano, e così via; in una parola, la primigenia organizzazione si dissolve e nessuna situazione soggettiva residua» (pag. 32).
Sennonché, può osservarsi come, dal momento dell’iscrizione della fusione nel Registro Imprese, la società incorporata subisca un fenomeno di estinzione, che costituisce evento uguale e contrario all’iscrizione avvenuta all’atto di costituzione della società stessa, di cui all’art. 2330 c.c. Da questo punto di vista, risulta, in tal guisa, evidente che la fusione realizza una successione a titolo universale corrispondente alla successione mortis causa, producendo gli effetti, interdipendenti tra essi, della «estinzione della società incorporata e della contestuale sostituzione a questa, nella titolarità dei rapporti giuridici attivi e passivi, anche processuali, della società incorporante, che rappresenta il nuovo centro di imputazione e di legittimazione dei rapporti giuridici già riguardanti i soggetti incorporati» (pag. 35).
Dal precipuo punto di vista della legittimazione processuale, la prosecuzione dei rapporti giuridici nel soggetto unificato fonda la legittimazione dell’incorporante attiva ad agire e proseguire nella tutela dei diritti e, al contempo, passiva a subìre e difendersi avverso le altrui pretese: legittimazione che risulta riferita ed estesa, in particolare, anche ai rapporti originariamente facenti capo alla società incorporata: quest’ultima, infatti, «non mantenendo la propria soggettività dopo l’avvenuta fusione e la cancellazione dal registro delle imprese, neppure vanta una propria autonoma legittimazione processuale attiva o passiva» (p. 36). Resta, tuttavia, ferma, la facoltà, della società incorporante di spiegare «intervento [volontario] in corso di causa, ai sensi e per gli effetti dell’art. 105 c.p.c., nel rispetto delle regole che lo disciplinano» (p. 39).
Da ultimo, le SS.UU. procedono ad una precisazione circa la «fusione in corso di causa» (pagg. 36 e 37), affermando che l’interruzione del processo non è necessaria, proseguendo esso naturalmente in capo alla società incorporante, siccome si evince dalla ratio dell’art. 2504 bis c.c. e degli artt. 299 e ss. c.p.c.
Può, pertanto, osservarsi come la sentenza in commento offra una disamina degli aspetti sostanziali dell’operazione straordinaria della fusione societaria – ossia concentrazione, estinzione e successione – non disgiunta da quelli meramente processuali, secondo un iter argomentativo evidentemente ispirato a finalità di chiarezza e semplificazione: se veruna posizione giuridica soggettiva residua in capo alla società incorporata, allora non ha senso affermare la permanenza di un soggetto, privo di rapporti o situazioni soggettive di sorta nella propria sfera giuridica; la società incorporata è tout court da considerarsi estinta, a dispetto degli orientamenti che consideravano la fusione alla stregua di un fenomeno di vita delle società.
Sezione: Sezioni Unite
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