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Applicazione retroattiva del divieto di concessione di benefici e misure alternative alla detenzione introdotto dalla L. c.d. “Spazzacorrotti”: dichiarata l'illegittimità costituzionale
Francesco Contu
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Nota di Francesco Contu
Le ordinanze di rimessione, tra “Spazzacorrotti” e diritto vivente. L’art. 1, co. 6, lett. b), l. 3/2019, nota all’opinione pubblica come “Legge Spazzacorrotti”, aveva assoggettato ex novo vari delitti contro la P.A. al regime “ostativo” di cui all’art. 4-bis ord. pen. (l. 354/1975). A seguito della novella, la concessione dei benefici penitenziari doveva intendersi dunque subordinata, anche per tali fattispecie, a una previa condotta di collaborazione con la giustizia ai sensi degli artt. 58-ter ord. pen. o 323-bis c.p., senza alcun riguardo al tempo del commesso reato. Con undici ordinanze di rimessione, la Corte costituzionale è stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità della disposizione in relazione al risultato interpretativo imposto dal diritto vivente, che avrebbe voluto le norme sull’esecuzione penale assoggettate al tempus regit actum (Cass., Sez. Un., 24561/2006). A favore del regime di irretroattività ex art. 25, co. 2, Cost., nella valutazione comune a tutti i rimettenti, avrebbe invece deposto l’idoneità della norma censurata a trasformare la natura delle pene previste (e prevedibili) al momento del fatto, nonché la sua capacità di incidere direttamente sullo status libertatis, stante il rinvio all’art. 4-bis contenuto nell’art. 656, co. 9, lett. a), c.p.p. (divieto di sospensione dell’ordine di esecuzione della pena). La disciplina sull’accesso ai benefici penitenziari, in definitiva, inciderebbe in termini sostanziali sulla qualità della pena da scontare, sicché un ampliamento del suo regime ostativo non potrebbe disporre che per l’avvenire. Per altro verso, secondo un giudice a quo, l’applicazione retroattiva delle nuove preclusioni in relazione ai permessi premio si sarebbe posta in contrasto con gli artt. 3 e 27, co. 3, Cost. ogniqualvolta il condannato, prima dell’entrata in vigore della norma, avesse già maturato i requisiti per la concessione del beneficio. La Corte costituzionale ha accolto le due questioni in esame. La sentenza di accoglimento. Con riguardo alla dedotta violazione dell’art. 25, co. 2, Cost., la Corte ha ritenuto dirimente la capacità della norma censurata di trasformare la natura della pena da eseguire rispetto a quella comminata in origine; ciò, in riferimento a tre istituti specifici: misure alternative alla [continua ..]