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Costituzionalmente illegittimo il termine di 24 ore per proporre reclamo avverso il provvedimento del magistrato di sorveglianza in tema di permessi premio

Agostino Sabatino

“1. Con l’ordinanza indicata in epigrafe la Corte di cassazione, sezione prima penale, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3,24, 27 e 111 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 30-bis, comma 3, in relazione al successivo art. 30-ter, comma 7, della legge del 26 luglio 1975, n. 354 (…) «nella parte in cui prevede che il termine per proporre reclamo avverso il provvedimento del Magistrato di sorveglianza in tema di permesso premio è pari a 24 ore». 3.1. (…) L’art. 30-bis ordin. penit., introdotto dalla legge 20 luglio 1977, n. 450 (…), disciplina il procedimento applicativo di tale beneficio, disponendo in particolare al comma 3 che tanto il detenuto quanto il pubblico ministero possono, entro ventiquattro ore dalla comunicazione del provvedimento del magistrato di sorveglianza, proporre reclamo al tribunale di sorveglianza (ovvero alla corte d’appello, se il provvedimento è stato adottato da altro organo). Come è noto, la legge 10 ottobre 1986, n. 663 (…) – la cosiddetta “legge Gozzini” – introdusse (…) il nuovo istituto dei permessi premio, disciplinato all’art. 30-ter, il cui comma 7 – in questa sede censurato – dispone che «[i]l provvedimento relativo ai permessi premio è soggetto a reclamo al tribunale di sorveglianza, secondo le procedure di cui all’art. 30-bis». In forza di tale richiamo, il termine per proporre reclamo contro la decisione del magistrato di sorveglianza in materia di permessi premio è il medesimo indicato dall’art. 30-bis, comma 3, ordin. penit. per il reclamo contro il provvedimento relativo ai permessi “di necessità”, ed è dunque pari a ventiquattro ore dalla sua comunicazione. 3.2. La sentenza n. 235 del 1996 di questa Corte, richiamata dalla Sezione rimettente, ha già esaminato questioni di legittimità costituzionale aventi a oggetto l’eccessiva brevità di tale termine, formulate – allora – sotto il concorrente profilo degli artt. 3, 25 e 27 Cost. Questa Corte aveva sottolineato, in quell’occasione, la funzionalità del permesso premio alla finalità di graduale reinserimento sociale del condannato nella società, definendolo anzi come uno «strumento cruciale ai fini del trattamento»; e ne aveva evidenziato la [continua ..]

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Nota di Agostino Sabatino

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 113 del 2020, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 30-ter, comma 7, della legge 26 luglio 1975, n. 354, «nella parte in cui prevede, mediante rinvio al precedente art. 30-bis, che il provvedimento relativo ai permessi premio è soggetto a reclamo al tribunale di sorveglianza entro ventiquattro ore dalla sua comunicazione, anziché prevedere a tal fine il termine di quindici giorni». La pronuncia in commento trae origine dall’ordinanza di rimessione con cui la Corte di cassazione ha sollevato – in riferimento agli artt. 3, 24, 27 e 111 Cost. – questioni di legittimità costituzionale dell’art. 30-bis, comma 3, ord. penit., in combinato disposto con il successivo art. 30-ter, comma 7, ord. penit., «nella parte in cui prevede che il termine per proporre reclamo avverso il provvedimento del Magistrato di sorveglianza in tema di permesso premio è pari a 24 ore». In realtà, questioni di legittimità costituzionale del tutto analoghe erano state già, in passato, sottoposte al vaglio della Consulta. La Corte, con la sentenza n. 235 del 1996, pur rilevando l’irragionevolezza della previsione di un identico termine per il reclamo contro i due diversi tipi di permessi, aveva sostenuto l’inammissibilità delle questioni prospettate, «non potendo rintracciare nell’ordinamento una conclusione costituzionalmente obbligata» che potesse rimediare in via diretta alla – pur riscontrata – eccessiva brevità del termine in oggetto. In quell’occasione, però, la Corte aveva invitato il legislatore a «provvedere, quanto più rapidamente, alla fissazione di un nuovo termine che contemperi la tutela del diritto di difesa con le esigenze di speditezza della procedura». Nella suddetta pronuncia la Consulta aveva, altresì, avuto modo di richiamare altra precedente decisione (sentenza n. 118 del 1990) in cui aveva affermato che i permessi premio costituiscono «un incentivo alla collaborazione del detenuto con l’istituzione carceraria», nonché «uno strumento di rieducazione, in quanto consente un iniziale reinserimento del condannato nella società». Tale configurazione imponeva, dunque, di collocare i permessi premio in una categoria completamente distinta da quella del [continua ..]

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