home / Archivio / Diritto Civile raccolta del 2023 / Cammina a piedi scalzi sul bordo della piscina, nessun risarcimento per la caduta
indietro stampa contenuto leggi libro
Cammina a piedi scalzi sul bordo della piscina, nessun risarcimento per la caduta
Domenica Russo
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 21675 del 2023, torna nuovamente a pronunciarsi sul tema dell’esclusione del risarcimento del danno nell’ipotesi di prevedibilità dello stesso da parte del danneggiato.
La pronuncia in esame muove da una domanda giudiziale proposta da una donna nei confronti di una società per ottenere il risarcimento dei danni, alla persona e patrimoniali, conseguenti ad una caduta sopraggiunta mentre stava camminando lungo il bordo della piscina ubicata nello stabilimento termale gestito dalla società convenuta.
La domanda era stata rigettata nei precedenti gradi di giudizio adducendo quale motivazione l’esclusione del nesso causale in forza del concorso colposo della ricorrente, avendo quest’ultima tenuto una condotta imprudente, percorrendo a piedi nudi il bordo di una piscina all’aperto, da ritenersi prevedibilmente e normalmente scivoloso.
Viene proposto ricorso per Cassazione, adducendo come unico motivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c. la violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2051 c.c., 115 c.p.c., 14 co.1, D.M. n. 18 marzo 1996 e della delibera della Giunta Regionale Emilia Romagna n. 1092 del 2005.
Secondo la deducente il Giudice d’Appello avrebbe errato sotto due aspetti: la mancata considerazione della violazione delle norme di sicurezza per la tenuta degli impianti, indice di colpa della società convenuta e che confermavano la legittimità della camminata senza calzature e il non aver effettuato il bilanciamento tra obbligo di cautela della vittima e la pericolosità della cosa gestita/custodita.
Il caso sottoposto al vaglio della Corte di Cassazione integra una forma di responsabilità derivante non dal diretto comportamento di un soggetto bensì da una cosa (art. 2051 c.c.): in tal caso la responsabilità viene addossata al proprietario, al gestore, al custode o comunque a chi con quella cosa abbia un rapporto qualificato da un punto di vista normativo e fattuale.
Com’è noto, uno degli elementi costitutivi della responsabilità civile (oltre al fatto illecito, l’imputabilità, la colpevolezza e il danno), è la sussistenza di un nesso eziologico tra il fatto e l’evento dannoso (c.d. causalità materiale). Esso assolve alla duplice finalità di criterio di imputazione del fatto illecito e di delimitazione della risarcibilità del danno: per addossare ad un soggetto l’obbligo risarcitorio è necessario verificare che proprio la sua condotta sia causa di quell’evento.
Orbene, qualora nella concatenazione causale degli eventi subentri un fatto ulteriore (umano o naturale) dotato di un autonomo impulso causale, tale da consentire di ricondurre il danno all'elemento esterno anziché alla cosa che ne è fonte immediata, il nesso eziologico si interrompe.
Diretta ed immediata conseguenza è la liberazione dalla responsabilità del custode o gestore, purché tale fatto costituisca la causa esclusiva del danno (cfr. anche Cass. civ., Sez. VI - 3, 09/11/2017, n. 2653).
In riferimento a ciò, la giurisprudenza di legittimità ha più volte ribadito – da ultimo Cass., 01/02/2018, n. 2482, Cass., Sez. U., 30/06/2022 – la necessità di valutare sul piano del nesso eziologico se il contegno del danneggiato sia “apprezzabile come ragionevolmente incauto” e stabilire, dunque, se la causa del danno sia la scorretta gestione/custodia della cosa, il comportamento della vittima oppure se vi sia stato concorso causale tra i due fattori: “Ove la condotta del danneggiato assurga, per l’intensità del rapporto con la produzione dell’evento, al rango di causa autonomamente sopravvenuta dell’evento del quale la cosa abbia infine costituito, in questo senso, una mera occasione, viene meno il nesso eziologico con la “res”, anche se la condotta del danneggiato possa ritenersi astrattamente prevedibile, ma debba essere esclusa come evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale da verificare dunque secondo uno “standard” oggettivo”.
Tale principio vale sia in ipotesi di responsabilità per cose in custodia ex art. 2051 c.c., quanto in ipotesi di responsabilità ex art. 2043 c.c.; il comportamento colposo del danneggiato può, in base ad un ordine crescente di gravità, o atteggiarsi a concorso casuale colposo (valutabile ai sensi dell’art. 1127 c.c., comma 1), ovvero escludere il nesso causale tra cosa e danno, integrando gli estremi del caso fortuito a norma dell’art. 2051 c.c.: “mancando la prova del nesso non può sussumersi la fattispecie concreta nel paradigma della responsabilità civile, né custodiale né generale.”
La Corte Suprema, nel rigettare il predetto ricorso, ha motivato affermando che: “la condotta del danneggiato che entri in interazione con la cosa si atteggia diversamente a seconda del grado d’incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione – anche ufficiosa – dell’art. 1227, primo comma, cod. civ., e dev’essere valutata tenendo anche conto del dovere generale di ragionevole cautela riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 Cost.; a questo fine non è necessario che si tratti di condotta abnorme, dunque, bensì colposamente incidente nella misura apprezzata”.
Ciò è accaduto nel caso de quo, posto che la vittima poteva prevedere con l'ordinaria diligenza la situazione di pericolo dipendente dalla cosa – ossia la normale scivolosità del bordo piscina – ma ha tenuto ugualmente un comportamento imprudente ed incauto – camminandovi a piedi nudi – determinando, autonomamente e volontariamente, la propria esposizione al pericolo, scegliendo di non premunirsi degli accorgimenti minimi per evitare di subirne gli effetti.
Nel proprio iter argomentativo, la Corte sottolinea che, al fine di valutare la relativa incidenza causale, non sia necessaria una condotta “abnorme” del danneggiato ma sia sufficiente la mancata adozione delle normali cautele: “quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione, da parte dello stesso danneggiato, delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo del danno, fino a rendere possibile, nei termini appena specificati, che detto comportamento superi il nesso eziologico astrattamente individuabile tra fatto ed evento dannoso”.
Non è stato sufficiente sollevare la questione – seppur fondata – relativa alla violazione delle norme di sicurezza da parte della società, in quanto “la violazione delle norme di sicurezza dettate per regolamentare le autorizzazioni amministrative, e certamente indici di una possibile colpa soggettivamente imputabile al gestore (art. 2043 cod. civ.), così come al custode (art. 2051 cod. civ.), non possono spostare la conclusione poiché non giustificano la condotta incauta che sia giudicata tale in modo decisivo e assorbente ai fini ricostruttivi del nesso oggettivo; (…)”
Sulla base di tali motivazioni la S.C. ha dunque confermato la sentenza di merito che aveva escluso la responsabilità della società gestrice, nonostante la prospettata violazione, da parte del custode, delle norme di sicurezza regionali, sul rilievo dell'agevole prevedibilità e percepibilità della situazione di pericolo da parte della vittima.
Sezione: Sezione Semplice
(Cass. Civ., Sez. III, 20 luglio 2023, n. 21675)
stralcio a cura di Ciro Maria Ruocco
Articoli Correlati: responsabilità civile - nesso causale - risarcimento