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La valorizzazione del dato processuale-probatorio nell´accertamento del dolo eventuale e l´inammissibilità del concorso colposo nel reato doloso. La Cassazione fornisce una “nuova” lettura del caso Ciontoli/Vannini

Valentina Acanfora

“22. Il tema dell’accertamento [del dolo eventuale] (…) è di particolare complessità «dovendosi inferire fatti interni o spirituali attraverso un procedimento che parte dall’id quod plerumque accidit e considera le circostanze esteriori, caratteristiche del caso concreto, che normalmente costituiscono l’espressione o accompagnano o sono comunque collegate agli stati psichici» (…) La Corte di assise di appello ha passato in rassegna i vari indicatori che l’elaborazione giurisprudenziale ha nel tempo affinato per l’indagine sul dolo eventuale, sì come richiamati dalla più volte citata sentenza delle Sezioni unite con l’importante precisazione che sono solo alcuni tra quelli possibili e formano un catalogo aperto, dovendosi in ogni caso aver riguardo alla vicenda concreta, che «può mostrare plurimi segni peculiari in grado di orientare la delicata indagine giudiziaria sul dolo eventuale» (…) Il perno intorno al quale ruota il ragionamento è che il fine che animò la condotta di C.A. (…) dal ferimento colposo in poi, fu di evitare conseguenze dannose sul piano lavorativo; e che l’affermazione di tale finalità è incompatibile, in netto contrasto, con l’assunto di un’adesione volontaria all’evento morte (…). L’affermazione di quella finalità non comporta per nulla, secondo quel criterio di necessità ritenuto dalla sentenza impugnata, che C.A. non volle la morte. (…) L’indicatore costituito dall’apprezzamento delle conseguenze negative per C.A. in caso di verificazione dell’evento morte è stato del pari mal utilizzato (…) Sopravvissuto o meno il ferito, l’accertamento sarebbe stato assai poco evitabile: ed anzi, proprio col pensare che la morte non si sarebbe verificata, il timore di un accertamento di responsabilità ancora più completo e fedele ai fatti sarebbe stato ragionevolmente più fondato, perché le indagini si sarebbero potute avvalere del contributo di conoscenze della vittima (…). La Corte di assise di appello ha, per altro verso, affermato che C.A. evitò consapevolmente e reiteratamente di osservare l’unica possibile condotta in quelle circostanze di tempo e di luogo, e cioè l’immediata chiamata dei soccorsi. E ciò fece – ha [continua ..]

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Nota di Valentina Acanfora

Il quesito in diritto più delicato che la nota vicenda ha consegnato ai giudici concerne l’elemento soggettivo ravvisabile in capo ad A.C. per aver cagionato la morte di M.V. tardando e depistando i soccorsi dopo averlo accidentalmente ferito con un colpo d’arma da fuoco detenuta per ragioni di servizio. La soluzione corre lungo il crinale scivoloso tra dolo eventuale e colpa cosciente, risultando che egli, pur non volendo direttamente la morte, ne avesse previsto la verificazione come conseguenza probabile della sua condotta, viste le condizioni di crescente malessere manifestate dal ferito. Com’è noto, secondo la più recente giurisprudenza di legittimità, la cifra volitiva del dolo eventuale non è espressa dalla semplice determinazione ad agire nonostante la rappresentazione dell’evento (condivisa con la colpa cosciente), ma dalla determinazione ad agire anche a costo di cagionare l’evento, accettando il verificarsi dello stesso come prezzo necessario per conseguire il fine perseguito con la condotta. Per accertare tale quid pluris soccorre una serie di indici oggettivi, utili a ricostruire in via indiziaria, ma senza perdere concretezza, l’iter motivazionale dell’agente. È proprio rispetto al governo di tali indicatori che la Cassazione, con la pronuncia in commento, ha censurato l’operato della Corte d’Assise d’Appello di Roma, annullandone con rinvio la sentenza che degradava l’imputazione del C. da omicidio volontario a omicidio colposo aggravato dalla previsione dell’evento. Il ragionamento del giudice di secondo grado fu, in estrema sintesi, il seguente: acclarato che l’imputato ritardò i soccorsi per dissimulare la reale causa del ferimento al fine di preservare la propria sfera professionale, la verificazione dell’evento-morte è un prezzo della condotta che l’imputato non può aver accettato, giacché avrebbe non solo disvelato l’utilizzo negligente della pistola di ordinanza, ma altresì aggravato le responsabilità a suo carico; l’incidenza fallimentare del decesso sul piano d’azione indizia nel senso di ritenere che se l’agente si fosse rappresentato come certa la verificazione dell’evento, si sarebbe astenuto dalla condotta (c.d. prima formula di Frank). Illogica, secondo la Cassazione, la motivazione resa dal giudice d’appello, in [continua ..]

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