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L'incompletezza della cartella clinica rileva anche ai fini della prova della responsabilità del medico per il danno patito dal paziente

Michele Emanuele Leo

Il provvedimento in commento ha per oggetto il ricorso per Cassazione avanzato da due genitori che avevano adito l’autorità giudiziaria per vagliare il rigetto della propria domanda di risarcimento danni avanzata nei confronti della Azienda U.S.L. n.3 di Nuoro per la morte della propria figlia all’atto della nascita presumendo una responsabilità dei sanitari intervenuti durante il ricovero della madre primipara ultraquarantenne.

Secondo quanto affermato dagli attori in primo grado, i medici avevano disposto il parto cesareo solo quando il feto era già privo di vita. Evidenziavano inoltre un grave inadempimento dell'ospedale rispetto all'obbligo di custodia e cura della completezza della cartella clinica perché da essa non risultava il tracciato della penultima indagine cardiotocografica, eseguita la sera precedente al parto, la cui avvenuta esecuzione, oltre ad essere stata allegata (…), era stata accertata anche dal gip nel corso delle indagini e del procedimento penale apertosi a carico dei sanitari. Sostenevano che già in questo tracciato emergeva una sofferenza in atto del feto che, ove rilevata, avrebbe consentito con un intervento cesareo d'urgenza eseguito la sera prima del parto di evitare la morte della bambina.”

L’azienda sanitaria costituitasi in giudizio sosteneva la corretta esecuzione dell’intervento, tenuto conto che gli esami strumentali e diagnostici effettuati in quella sede non avevano riscontrato alcuna criticità tale da giustificare il siffatto intervento d’urgenza.

La domanda accolta in prima istanza, veniva ribaltata completamente in secondo grado per le risultanze della rinnovazione di consulenza tecnica d’ufficio disposta dal Collegio, laddove veniva riscontrato che l’esito infausto era stato determinato  da “un fatto repentino ed imprevedibile” derivato dal doppio giro del cordone ombelicale che di certo non poteva essere rilevato dagli esami strumentali, tanto che - fino al tracciato pomeridiano - non emergeva alcun dato indicativo di sofferenza fetale che consigliasse un intervento immediato e neppure emergeva un dato tale da suggerire l'esecuzione di controlli più ravvicinati. Riteneva pertanto conforme alle risultanze degli esami e frutto di una valutazione corretta secondo i dati a disposizione ex ante la decisione dei sanitari di non intervenire fin dalla sera prima con un taglio cesareo e di non eseguire altro controllo CTG fino alla mattina del 4 gennaio 2001 (…) “ Ancora, “la corte d'appello affermava che nessuna indicazione” del detto esame “ fosse contenuta nella cartella clinica, avente natura di certificazione amministrativa, e che, se anche se si volesse ritenere provato il fatto storico dell'avvenuto compimento dell'esame strumentale (come emergeva dalla prova testimoniale effettuata in sede penale, corroborata dal provvedimento del gip prodotto in causa), l'accertamento in fatto effettuato nel procedimento penale dell'avvenuta esecuzione di quell'esame non riportato nella cartella clinica non poteva essere sufficiente, da solo, per dimostrare o anche fare presumere che il tracciato avesse dato indicazioni certe di sofferenza fetale patologica, impositive di un più tempestivo taglio cesareo”.

Il ricorso per Cassazione si sofferma su quattro motivi di censura: Con il primo motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli2699 e 2700 c.c. in ordine alla natura di certificazione amministrativa della cartella clinica e alla necessità per gli attori di impugnarne il contenuto tramite querela di falso. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 1218, 2043 e 2236 c.c., oltre che l'impropria applicazione degli articoli 40 e 41 c.p., per non essersi la Corte d'appello attenuta al principio civilistico del più probabile che non in materia di nesso di causalità. Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano la violazione ed erronea applicazione degli articoli 1176, 1218, 2236 e 2697 c.c., in materia di riparto dell'onere della prova nella responsabilità contrattuale sanitaria, in particolare in riferimento al caso di cartella clinica incompleta nonché l'omessa o non corretta valutazione di un fatto decisivo per il giudizio e, particolarmente, della non corretta tenuta della cartella clinica da parte dell'ospedale, dimostrata dalla scomparsa del tracciato del 3 gennaio 2001 ore 20:00, con conseguente difetto assoluto di motivazione. Infine, con il quarto motivo di ricorso i ricorrenti si dolgono della violazione e falsa applicazione degli articoli 116, 191 e 196 c.p.c. in materia di valutazione delle prove per aver disposto la rinnovazione delle indagini in appello anche se non necessaria attesa l'esatta ricostruzione degli elementi istruttori formulata dal primo giudice sulla base della prima consulenza”.

Il primo motivo a base del ricorso è il più interessante per la nostra disquisizione perché si sofferma sul valore probatorio della cartella clinica e sulla natura giuridica di quest’ultima. Secondo l’orientamento consolidato del Giudice delle Leggi, la cartella clinica ha natura di certificazione amministrativa di talché “le diagnosi o comunque le manifestazioni di scienza o di opinione in essa espresse” non sono coperte da fede privilegiata, mentre rispondono agli artt. 2699 e 2700 c.c. le sole trascrizioni delle attività espletate nel corso di una terapia o di un intervento. La Suprema Corte infatti analizza ” il valore di certificazione amministrativa della cartella clinica, teso ad individuare la diversa rilevanza e il diverso metodo di confutabilità riservato, da un lato ai dati oggettivi in essa riportati, quali l'indicazione delle attività cliniche e strumentali svolte, delle terapie prescritte e poi eseguite in relazione al paziente, attestate dal soggetto che compila la cartella - che in relazione quella funzione è considerabile un pubblico ufficiale - contrastabili solo a mezzo della querela di falso, rispetto alle valutazioni eventualmente in essa inserita, non assistite da fede privilegiata in quanto tali.”. In questa ottica, quindi, è rilevante valutare il valore probatorio della cartella clinica quando non risultino indicate le attività diagnostiche e strumentali concretamente effettuate: “In relazione a ciò che non risulta dalla cartella clinica non è necessario alla parte che ne vuole far accertare una lacuna o una omissione proporre querela di falso, ma si apre la diversa problematica della lacunosa tenuta della cartella clinica e delle regole probatorie applicabili in relazione alla allegazione che una attività effettivamente svolta non risulti debitamente annotata nella stessa.”

 Ebbene, secondo il giudice di legittimità, qualora dovessero verificarsi omissioni in tal senso, i “dati mancanti” possono essere provati dalla parte interessata con ogni mezzo, valutazione affidata al giudice di merito. Inoltre, laddove la cartella clinica si dimostri incompleta sarà equiparata a “circostanza di fatto che il giudice può utilizzare per ritenere dimostrata l'esistenza di un valido nesso causale tra l'operato del medico e il danno patito dal paziente (allorché proprio tale incompletezza abbia reso impossibile l'accertamento del relativo nesso eziologico e il professionista abbia comunque posto in essere una condotta astrattamente idonea a provocare il danno ) (…). Il principio che opera in questo caso è quello della vicinanza alla prova, secondo il quale "In tema di responsabilità medica, la difettosa tenuta della cartella clinica da parte dei sanitari non può pregiudicare sul piano probatorio il paziente, cui anzi, in ossequio al principio di vicinanza della prova, è dato ricorrere a presunzioni se sia impossibile la prova diretta a causa del comportamento della parte contro la quale doveva dimostrarsi il fatto invocato. Tali principi operano non solo ai fini dell'accertamento dell'eventuale colpa del medico, ma anche in relazione alla stessa individuazione del nesso eziologico fra la sua condotta e le conseguenze dannose subite dal paziente.” Ergo l’incompletezza della cartella clinica giova a chi si assume danneggiato.

Nel caso che qui ci occupa, vi sarebbe stato l’errore di fondo di non considerare la rilevanza del tracciato intermedio non rinvenuto nel documento sanitario: “e a non valutare le risultanze istruttorie diverse dalla cartella clinica (prove testimoniali, svolte sia nel processo civile che nel precedente procedimento penale)” le quali evidenziavano invece l’espletamento dell’esame diagnostico. Pertanto, la conclusione a cui giunge la S.C.C.  è la seguente: “Le attestazioni contenute in una cartella clinica, redatta da un'azienda ospedaliera pubblica, o da un ente convenzionato con il servizio sanitario pubblico, hanno natura di certificazione amministrativa, cui è applicabile lo speciale regime di cui agli artt. 2699 e segg. c.c., per quanto attiene alla indicazione ivi contenute delle attività svolte nel corso di una terapia o di un intervento. La prova dell'effettivo svolgimento di attività non risultanti dalla cartella clinica stessa può essere invece fornita con ogni mezzo. Non sono coperte da fede privilegiata le valutazioni, le diagnosi o, comunque, le manifestazioni di scienza o di opinione in essa annotate”.

Veniva, quindi, disposto il rinvio alla Corte d’Appello territorialmente competente in diversa composizione per la valutazione nel merito della vicenda per verificare “ se tempestivamente presi in considerazione” i valori innanzi indicati “ la morte della bambina avrebbe potuto essere evitataseguendo non il criterio penalistico - non pertinente - della certezza oltre ogni ragionevole dubbio, ma seguendo il criterio civilistico del più probabile che non” e per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità. Stessa sorte seguiva il motivo attinente alla validità della rinnovazione di CTU disposta nel secondo grado, accertamento rimesso alla decisione al giudice di merito non censurabile in sede di legittimità.

 

 

Argomento: Della responsabilità medica
Sezione: Sezione Semplice

(Cass. Civ., Sez. III, 17 giugno 2024, n. 16737)

Stralcio a cura di Giorgio Potenza

 

“… l'incompletezza della cartella clinica è circostanza di fatto che il giudice può utilizzare per ritenere dimostrata l'esistenza di un valido nesso causale tra l'operato del medico e il danno patito dal paziente solo quando proprio tale incompletezza abbia reso impossibile l'accertamento del relativo legame eziologico, e il professionista abbia comunque posto in essere una condotta astrattamente idonea a provocare il danno (Cass., 21/11/2017, n. 27561, Cass., 14/11/2019, n. 29498, pag. 5, Cass., 08/07/2020, n. 14261, pag. 7). L'incompletezza della cartella ha ricadute, cioè, quando va a innestarsi in un contesto specifico che è proprio la fonte della sua rilevanza; la conformazione della condotta del sanitario nel senso di astratta idoneità alla causazione dell'evento dannoso è logicamente il primo elemento da vagliare, mentre soltanto se, al contrario, la condotta del sanitario fosse astrattamente ovvero assolutamente inidonea a causarlo, non occorrerebbe alcuna ulteriore ricostruzione fattuale. Entro i rigorosi limiti citati, la valenza dell'incompletezza della cartella, attraverso il mezzo presuntivo che integra il riflesso del principio della vicinanza probatoria, si risolve coerentemente a favore di chi deduce di essere stato danneggiato, giacché, diversamente, la stessa verrebbe a giovare proprio a colui che, rimanendo inadempiente rispetto al proprio obbligo di diligenza, ha determinato quella lacuna, che, diversamente opinando impedirebbe di accertare la sua responsabilità (Cass., 18 settembre 2009 n. 20101 sottolinea che "il medico ha l'obbligo di controllare la competenza e l'esattezza delle cartelle cliniche e dei relativi referti allegati, la cui violazione comporta la configurazione di un difetto di diligenza rispetto alla previsione generale contenuta nell'art. 1176, secondo comma, cod. civ. e, quindi, un inesatto adempimento della sua corrispondente prestazione professionale": conf., ad es., Cass., 26 gennaio 2010 n. 1538 e Cass., 5 luglio 2004 n. 12273).”.

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