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L'ingerenza legislativa non prevedibile viola il diritto a un equo processo
Emanuele Vannata
(Corte EDU, Sez. I, 9 luglio 2020, Ricorso n. 6561/10, Avellone e altri c. Italia) Traduzione a cura del Ministero della Giustizia
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Nota di Emanuele Vannata
Nella sentenza di cui in epigrafe la Corte di Strasburgo ha condannato all’unanimità l’Italia per violazione del diritto all’equo processo come sancito nell’art. 6 § 1 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950 (CEDU), nella misura in cui esso “preclude, salvo che per motivi imperativi di interesse generale, l’ingerenza del legislatore nell’amministrazione della giustizia finalizzata a influenzare la determinazione giudiziaria di una controversia”. All’origine della causa un ricorso presentato da una pluralità di soggetti compresi in una delle categorie (ex combattenti, invalidi di guerra, vedove di guerra, vittime civili di guerra) per le quali la L. 15 aprile 1985, n. 140 aveva introdotto un aumento mensile delle pensioni. L’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS), tuttavia, aveva riconosciuto l’applicazione di tale maggiorazione pensionistica a decorrere dalla data in cui gli aventi diritto soddisfacevano i requisiti richiesti, piuttosto che dall’anno di entrata in vigore della Legge (1985), il che aveva dato abbrivio ad una serie di azioni, prima amministrative, poi giudiziarie, attraverso le quali questi agivano per ottenere la perequazione automatica del trattamento pensionistico. Invero, fino alla fine del 2007, il giudice nazionale si era pronunciato sempre a favore dei ricorrenti[1], obbligando l’INPS a calcolare l’adeguamento dell’aumento a decorrere dall’anno in cui era entrata in vigore la Legge. La promulgazione della L. 24 dicembre 2007, n. 244 – peraltro considerata conforme al principio di uguaglianza e di ragionevolezza dalla Corte costituzionale (Corte Cost., 5 dicembre 2008, n. 401) – nel fornire l’interpretazione autentica della Legge n. 140/1985, aveva, invece, modificato la giurisprudenza consolidata[2] compiendo, secondo i giudici di Strasburgo “un’ingerenza a favore di una parte di un procedimento in corso” e così negando loro il diritto a un equo processo di cui all’art. 6 della CEDU. Nell’accertare (e riconoscere) preliminarmente la ricevibilità del caso, la Corte europea dei diritti dell’uomo si pronuncia sul mancato esaurimento dei ricorsi interni eccepito dal Governo italiano, rilevando che esso non ha dimostrato che i ricorsi che i ricorrenti avrebbero [continua ..]