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Punti fermi in materia di interruzione del nesso causale nell´ambito della responsabilità del datore di lavoro per infortunio del lavoratore

Luca Napolitano

(Cass. Pen., Sez. IV, 2 marzo 2020, n. 8164)

“5. [N]ell’ambito della sicurezza sul lavoro emerge la centralità del concetto di rischio, in un contesto preposto a governare ed evitare i pericoli connessi al fatto che l’uomo si inserisce in un apparato disseminato di insidie. Rispetto ad ogni area di rischio esistono distinte sfere di responsabilità che quel rischio sono chiamate a governare; il “garante è il soggetto che gestisce il rischio” e, quindi, colui al quale deve essere imputato, sul piano oggettivo, l’illecito, qualora l’evento si sia prodotto nell’ambito della sua sfera gestoria. Proprio nell’ambito in parola (quello della sicurezza sul lavoro) il D.Lgs. n. 81 del 2008 (così come la precedente normativa in esso trasfusa) consente di individuare la genesi e la conformazione della posizione di garanzia, e, conseguentemente, la responsabilità gestoria che, in ipotesi di condotte colpose, può fondare la responsabilità penale. Nel caso che occupa l’imputata (quale soggetto onerato della “posizione di garanzia” nella materia prevenzionale, come spiegato dai Giudici del merito) era il gestore del rischio e l’evento si è verificato nell’alveo della sua sfera gestoria (cfr. Sez. Un., n. 38343 del 24/04/2014, Rv. 261108). La eventuale ed ipotetica condotta abnorme del [lavoratore] non può considerarsi interruttiva del nesso di condizionamento poiché essa non si è collocata al di fuori dell’area di rischio definita dalla lavorazione in corso. In altri termini la complessiva condotta del [lavoratore] non fu eccentrica rispetto al rischio lavorativo che il garante (la ricorrente) era chiamato a governare (cfr. Sez. Un., n. 38343 del 24/04/2014, cit.); nella condotta del [lavoratore] non si possono, in vero, riscontrare i requisiti di eccezionalità ed imprevedibilità poiché trattasi di manovra realizzata nel contesto della lavorazione cui lo stesso era addetto e finalizzata (sia pure imprudentemente) ad aggirare gli ostacoli alla prosecuzione del ciclo lavorativo. Più esattamente, in tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l’evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un [continua ..]

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Nota di Luca Napolitano

Con la sentenza in commento, la IV sez. della Suprema Corte di Cassazione è chiamata a pronunciarsi sulla impervia materia della sicurezza sul lavoro, con particolare riferimento ai contenuti del debito di sicurezza gravante sulla figura datoriale ed alla sua gestione del rischio – in quanto garante ex art. 40 cpv. c.p. – di infortuni dei lavoratori. La fattispecie si presta a riflessioni in punto di causalità materiale, nella ispecie omissiva, e di causalità della colpa. La prima mira a verificare che la condotta sia condizione necessaria e sufficiente dell’evento (teoria condizionalistica, art. 40 c.p.), la seconda ad accertare che l’evento costituisca la concretizzazione proprio del rischio che la regola cautelare violata intende prevenire. Nelle ipotesi di fattispecie omissive colpose, però, di tale duplice momento valutativo (causalità materiale e causalità della colpa) è difficile – impossibile secondo taluni – coglierne la reciproca alterità. La giustapposizione appena accennata consiste nell’accertare con un medesimo giudizio controfattuale (c.d. doppiamente ipotetico: si ipotizza, prima, la condotta doverosa da sostituire idealmente a quella omissiva, e, poi, la sua valenza salvifica/riduttiva del rischio del verificarsi dell’evento) la c.d. causalità omissiva (comunque attinente al piano oggettivo) e la c.d. causalità della colpa, accettando che l’equivalenza normativa (ex art. 40 cpv. c.p. “non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”) si intenda materializzata alla luce non della valenza salvifica (i.e. azzeramento del rischio) della condotta doverosa, bensì di quella – ipoteticamente attribuita al c.d. agente modello – riduttiva del rischio del verificarsi dell’evento. Con maggiore sforzo esplicativo, pare ritenersi provato che l’agente abbia “cagionato” l’evento ogniqualvolta non abbia tenuto una condotta doverosa, che – in concreto – avrebbe ridotto (e non azzerato) il rischio del prodursi dell’evento. A questo accertamento deve seguire quello della c.d. evitabilità – secondo un certo orientamento assorbente la c.d. concretizzazione del rischio – e della c.d. prevedibilità dell’evento, le quali danno la stura alla c.d. dimensione soggettiva della colpa, il [continua ..]

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